lunedì 31 marzo 2014

Claudio Capraro: "Otto giorni" - Mercoledì


Claudio Capraro: "Otto giorni"

MERCOLEDI

Paolo era pronto per uscire già da una decina di minuti, ma era ancora presto e quindi gironzolava per casa impaziente. Ogni trenta secondi i suoi occhi si posavano sulla mozzetta che da due giorni aveva appeso fuori dall’armadio. Cercava di distrarsi, ma senza riuscirci. Allora si fermava, la guardava, la toccava; analizzava tutta la superficie per verificare che non ci fosse qualche macchia sfuggita a tutte le precedenti ispezioni. Prendeva il cappello e lisciava il pelo di coniglio seguendo il verso giusto. Ripeteva mentalmente tutto il processo della vestizione per verificare ancora una volta, forse la centesima, che avesse preparato tutto, che non si fosse dimenticato nulla.

Guardava fuori dalla finestra per scrutare il cielo. Non pioveva più, si era alzato il vento e le strade pian piano si asciugavano. Ma di sole non se ne vedeva molto. 

Tornava a camminare per le stanze di casa, mentre Giulia rifacendo il letto cercava di distrarlo dai suoi pensieri, ma senza molto successo.

Stava ripassando mentalmente, per l’ennesima volta, tutti i passaggi da fare durante il pellegrinaggio: cosa avrebbero dovuto fare quando avrebbero incontrato un’altra posta, quando sarebbero arrivati in chiesa e quando si sarebbero dovuti inginocchiare davanti al Santissimo.

Tutti questi pensieri lo accompagnarono anche nel tragitto che da casa conduceva in ufficio e che solitamente compiva a piedi. In quei giorni poi era obbligatorio trovare un buon posto per parcheggiare l’auto e non spostarla più fino a sabato. Muoversi nel traffico e riuscire a parcheggiare il giovedì e il venerdì santo era un’impresa che lo faceva stare male al solo pensiero.

Dopo aver pranzato, Fabrizio si concesse una pennichella.

“Mi appoggio sul letto.” disse ai suoi, in realtà dormì profondamente per oltre due ore.

Quando si svegliò aveva bisogno urgente di un caffè. Si alzò dal letto ancora intontito e andò in cucina.

La moka era già pronta sul fornello, bisognava soltanto accendere il gas. 

Sua madre era intenta agli ultimi ritocchi all’abito che Fabrizio avrebbe indossato il venerdì per la processione.

“Nà a mammà, mò accendo il caffè.”
“Grazie.”
“Qua è tutto pronto, lavato, stirato e tutto, devi solo mettere nella valigia.”
“Loredana, per favore, versi il caffè?”
“Mooooo.”
“Attenzione che sta lo scapolare sul tavolo.”
“Siiiiiii, l’ho visto.”
“Che quello è del nonno.”

Lo scapolare che Fabrizio utilizzava era del suo nonno materno, nonno Ciccio, confratello anche lui tanto del Carmine quanto dell’Addolorata. Il nonno, prima di passare a miglior vita, aveva diviso tra i suoi tre nipoti alcuni pezzi importanti del suo abito da confratello. Ai suoi cugini che portavano entrambi il nome del nonno, Francesco, erano toccati rispettivamente il cappello, la cinghia nera, a curege, e la mozzetta con la corona del Rosario, Fabrizio aveva ereditato lo scapolare.

“Che fai mangi qua stasera?” chiese la madre.
“No mà, mò faccio un salto da Daniela, poi devo passare in Congrega e poi vado a prendere servizio. Prima di montare mi prendo un pezzo di focaccia.”
“Vabbè. Come vuoi tu.” rispose delusa sua madre.

Quando Fabrizio arrivò, i pochi metri di marciapiede di via Giovinazzi che partendo da via D’Aquino, scendendo verso lungomare, arrivano sino al portone di ingresso alla sagrestia della Chiesa del Carmine, erano pieni di gente. Erano tutti i confratelli che attendevano di salire e nel frattempo si erano fermati a fare due chiacchiere. L’aria era elettrica, tutti quanti non vedevano l’ora che arrivasse il giorno successivo. C’era chi rideva, e chi rimaneva serio, ma tutti avevano la mente al giorno dopo.

Fabrizio si guardò intorno e dopo un po’ vide Gianni. I due rimasero imbarazzati entrambi, per una frazione di secondo, poi continuando a guardarsi negli occhi percorsero i pochi metri che li dividevano, si strinsero la mano e si abbracciarono forte.

“Fabrì… ti volevo chiedere scusa, ma…”
“Quando ti devi stare zitto? Al massimo sono io che ti devo chiedere scusa.”
“No Fabrì davvero.”
“No Gianni, sono io che non ho capito tante cose, e che… avevo fatto delle promesse… ho fatto un voto…”
“Fabrì, non lo voglio sapere. Immagino di capire quello a cui ti riferisci e sono cose tue. Se è a tua madre che ti riferisci, alla sua salute, basta non mi devi dire niente.”
“Vabbè, mò basta. Tu che devi fare?”
“Domani pomeriggio faccio la Messa con la lavanda dei piedi. Almeno mi vesto pure quest’anno.”

Mentre continuavano a chiacchierare, arrivò Enzo, il compagno di Fabrizio, insieme a Franco e Paolo ed il gruppetto continuò a chiacchierare fino a quando Franco non propose di salire invece di stare per strada dove tra l’altro faceva fresco.

Nei locali della Confraternita c’era un andirivieni di gente. Chi correva a destra e chi a sinistra; il segretario era al telefono ed urlava con il suo interlocutore; il priore era impegnato in una discussione con un confratello dallo sguardo perplesso, il maestro dei novizi ed i suoi assistenti davano le ultime istruzioni a chi il giorno successivo avrebbe compiuto per la prima volta il pellegrinaggio. Era strano vedere quei ragazzi, in abiti borghesi con il bordone in mano, esercitarsi a compiere u’ salamelicche, o mimare di abbassarsi il cappello sulla schiena come se stessero mettendo piede in una chiesa.

Tutti quanti non stavano più nella pelle, ormai c’erano quasi; meno di ventiquattr’ore. La tensione si tagliava ed era mista alla gioia di molti ed alla tristezza di altri. Avevano aspettato un anno, anzi per la precisione 378 giorni erano passati dalla Pasqua dell’anno precedente.

Paolo ripercorse mentalmente tutto quell’anno e si rese conto ancora una volta come tutta la sua vita ( e sicuramente quelle di tutti quanti i confratelli), fosse nel corso del passare dei mesi proiettata verso quella settimana.

Ricordò che il precedente mese di luglio, un pomeriggio, di ritorno dal mare, forse c’erano quaranta gradi, lui e Giulia erano sul divano a riposarsi e guardare la tv; le persiane erano chiuse per non permettere al sole di entrare a rendere ancora più caldo quel soggiorno; il ventilatore era al massimo, ma gli effetti al contrario erano minimi. Ad un certo punto Paolo credette di sentire una musica, chiese conforto a Giulia ma lei non aveva sentito nulla. Andò a sbirciare dalle liste delle persiane ma vide soltanto la strada deserta e assolata. Chi sarebbe uscito di casa con quel caldo?

Tornò a sedersi sul divano, ma dopo un po’ risentì quella musica, non poteva sbagliarsi, e questa volta anche Giulia la sentiva. Si fiondò alla finestra, spalancò la persiana e si affacciò al balcone. Era la banda, ed erano le note di “Tristezze” che accompagnavano l’ultimo viaggio di un piccolo boss ammazzato qualche giorno prima nelle campagne intorno alla città dai suoi rivali in affari. 

Intanto anche gli altri balconi si erano riempiti di curiosi, ma dopo un po’ la maggior parte delle persone, Giulia compresa, erano tornate in casa, all’ombra ed al fresco chi di un condizionatore, chi di un ventilatore. Paolo e qualche altro come lui no. Restarono lì ad ascoltare quelle note sino al termine della marcia. Gli sguardi di Paolo e di quegli altri sconosciuti si incrociarono più volte durante quella esecuzione, e loro si capirono. Sembravano volersi dire: “quando arriverà?”, “siamo ancora a fine luglio, fa un caldo bestiale, ma come vorrei che fosse giovedì santo”. 

Quando finalmente rientrò in casa, richiudendo saggiamente le persiane, Paolo cercò di spiegare a Giulia che anche in piena estate quelle note avevano un effetto particolare, ma non ci fu verso.

Poi, passata l’estate, l’autunno e poi man mano che i giorni scorrevano, arrivava Santa Cecilia che a Taranto vuol dire Natale. Pettole e pastorali, sempre bande a far da protagoniste, ma con altre musiche (bellissime anche queste): “Pace e amor, è la Pastoral…” che bello, ma per Paolo si trattava di una parentesi che si chiudeva senza deroghe il 6 gennaio quando Giulia, fan del Natale, non voleva saperne di riporre albero e festoni sul tramezzo. Qualche giorno e poi Sant’Antonio Abate, cominciava il carnevale. Una festa per lui inutile, non capiva chi la pensava diversamente, capiva i bimbi che la domenica mattina sperando nel sole volevano andare a fare una passeggiata con mamma e papà a lungomare, arrivava a capire i Massafresi, ma per lui il carnevale era inutile, o meglio aveva la sua utilità nel far montare man mano l’attesa sino al mercoledì delle Ceneri, quando sarebbe cominciata la Quaresima.

Le Quarant’ore, le Via Crucis, le Via Matris erano state un susseguirsi di emozioni, di attesa, ma soprattutto erano state occasioni per fermarsi e riflettere, pregare, osservare alcune prescrizioni che forse potevano anche essere ritenute inutili, ma che invece avevano la loro importanza.

Astenersi, almeno in alcuni giorni, dalle carni, digiunare, fare opere di carità erano cose che tutti i confratelli compivano abitualmente e che chi muoveva loro tante critiche non conosceva, non vedeva, non sapeva. 

La madre di Paolo, riferendosi al digiuno, in quel periodo ripeteva spesso:

“I peccati non sono quelli che entrano, ma quelli che escono.”

L’adagio conteneva certamente una verità, ma allora si sarebbe potuto trovare un escamotage a tutto ciò che non ci piace o che non ci è comodo, pensava Paolo.

I suoi pensieri furono interrotti dalla voce stentorea del segretario che invitata tutti a salire al terzo piano per poter cominciare la riunione organizzativa.

Nel corso di questa riunione, dopo una breve introduzione del Padre Spirituale, furono date una serie di informazioni da parte del segretario e del Priore. I percorsi da effettuare, gli orari da rispettare, le chiese da visitare durante i due pellegrinaggi e tante altre piccole comunicazioni che suscitavano volta per volta l’approvazione o la disapprovazione di parti differenti del pubblico presente.

Dopo circa un’oretta, finita la riunione, i cinque che erano stati seduti insieme, tornarono giù a scambiare qualche altro commento, dopodiché ognuno prese la sua strada, chi per casa, chi per il siderurgico.

Ancora poche ore.

domenica 30 marzo 2014

I Calò: la famiglia della donazione

Mattia Giorno


Tutti ormai sappiamo che il 4 aprile 1765 Francesco Antonio Calò ratificò, con un atto notarile, la donazione delle statue di Cristo Morto e dell’Addolorata alla confraternita del Carmine. In pochi però conoscono la storia della famiglia Calò, e ancor meno sono le persone che conoscono le reali motivazioni che hanno spinto Francesco Antonio Calò ad effettuare tale donazione.

La storia ha inizio nel 1580 quando Pietro Antonio Calò, capostipite della famiglia, giunse a Taranto; sposatosi con la nobile tarantina Ippolita Imberverato i due ebbero un figlio, Francesco Antonio, non il Francesco Antonio autore della donazione, bensì il suo trisavolo, il quale ebbe a sua volta quattro figli. Pietro Antonio, primogenito di questi quattro figli, sposatosi con Francesca Cimino, ebbe sette figli tra cui Diego e Francesco Antonio, quest’ultimo nonno del Francesco Antonio a cuoi noi dobbiamo la nostra processione.

È importante comprendere l’albero genealogico della famiglia Calò per capire come cominciò la prima processione dei Misteri nella quale erano presenti solo le statue di Cristo Morto e dell’Addolorata.

Accertata la discendenza della famiglia Calò, bisogna ora far riferimento a Don Diego, fratello del nonno di Francesco Antonio, e reale padre della processione dei Misteri. Forse, a detta del defunto priore Nicola Caputo nell’opera “Il cammino del silenzio”, fu nel 1703, anno in cui giunse a Taranto una terribile carestia, che Don Diego, spinto da animo cattolico, decise di far costruire a Napoli le due statue, convinto che per il tramite della penitenza e della devozione la città si sarebbe potuta riprendere dalla brutta pestilenza. Si dice però che non fu solo la devozione di Don Diego la causa dell’inizio di tale rito perché a quei tempi era opinione diffusa che bastava mostrarsi timorati di Dio e generosi verso il prossimo per assicurasi l’accesso al Paradiso. Proprio così: timorato e generoso; un uomo come Don Diego infatti aveva la necessità di farsi perdonare dalla cittadinanza tarantina per alcuni gesti commessi mentre era alla guida del porto. Don Diego fu precisamente accusato di azione “indecorosa” e “disonesta” nello svolgimento della sua funzione. Al nipote, Pietro Antonio, capitò addirittura di finire in carcere, per poi essere scagionato e promosso a regio doganiere, segno questo della sua presunta innocenza o tantomeno di una esagerazione nella formulazione delle accuse.

Da Diego Calò, per le motivazioni sopra elencate, a Francesco Antonio ed infine a Pietro Antonio, le statue di Cristo Morto e dell’Addolorata continuarono ad essere portate in processione la sera del Venerdì Santo. Poi, alla morte di Pietro Antonio, ecco giungere sulla scena il suo unico figlio maschio: Francesco Antonio “juniore”, vero protagonista di questa storia poiché, con la donazione, mutò la processione da un semplice evento privato ad un rito cittadino.

Probabilmente, come sosteneva il priore Nicola Caputo, Francesco Antonio volle letteralmente disfarsi della processione e quindi delle due statue. Sempre secondo il compianto priore, Francesco Antonio non era proprio il tipo da stare dietro a certe cose. Nel 1765, quando decise di donare le due statue, aveva appena 23 anni, ma era già un personaggio di spicco nella Taranto di allora. Dedito alla politica Francesco Antonio fu per ben due volte sindaco di Taranto e presidente della Repubblica Partenopea durata appena 29 giorni. Troppi, per un uomo come lui, gli oneri per l’organizzazione della processione, tanto che optò per l’affidamento di tale compito ad una confraternita.

Quel che a noi confratelli più di ogni altra cosa importa è uno spezzato del documento di cessione dove Francesco Antonio scrisse di aver scelto la confraternita di S. Maria del Carmine poiché essa è stata “la comunità che ha mostrata maggior inclinazione e divozione verso di detta Pia opera di detta Processione”. Forse è stata proprio questa, ossia la forte devozione della confraternita del Carmine, ad aver spinto Francesco Antonio a concedere tale onore al nostro sodalizio, un’ipotesi che ci renderebbe ancor più fieri del nostro operato.

Tornando a noi, è giusto sapere che, in compenso alla donazione, Francesco Antonio Calò chiese semplicemente di essere invitato ogni anno alla processione per “occupare il primo luogo tra gli Officiali” e chiese inoltre “un torcio di cera lavorata di libre due in ricompensa della detta donazione”. Un accordo questo che la confraternita del Carmine ha onorato per tanto tempo.

Così facendo il 5 aprile 1765, Venerdì Santo, le statue di Cristo Morto e dell’Addolorata uscirono per l’ultima volta dalla cappella Calò senza farvi più ritorno. Dall’anno seguente infatti, 1766, sino ad oggi, i due simulacri sarebbero usciti dalla chiesa del Carmine dove erano entrati il Venerdì Santo dell’anno precedente.

Francesco Antonio, dopo la donazione si sposò con Maria Raffaella de Angelis di Manfredonia, ma non avendo avuto figli la famiglia si estinse con lui. Egli, dopo anni dedicati alla politica, tra incarichi e carcere, si spense a Taranto il 7 agosto 1817.

Vorrei terminare con le parole di Nicola Caputo grazie al quale ho potuto cogliere queste informazioni: «Questi era Francesco Antonio Calò, l’uomo della donazione. A lui la confraternita del Carmine, ma anche la città intera di Taranto, devono molto per quel che ci ha lasciato. Che differenza tra l’ingresso per la prima volta al Carmine delle statue di Cristo Morto e dell’Addolorato quella notte del 1765 e il rientro di oggi delle otto statue dei Misteri. Allora non c’era quasi nessuno, oggi c’è la folla. E i confratelli piangono. Il cappuccio bagnato di lacrime, varcano a capo chino e singhiozzando la soglia del nostro tempio. E il pianto è un atto di fede. Anche le perdùne piangono

sabato 29 marzo 2014

28-29 marzo 2014: “Il perdono di Dio è più forte del peccato”

Valeria Malknecht

Il carisma e la semplicità di Papa Francesco sono quasi disarmanti.
Le sue parole ed i suoi gesti arrivano all’essenza, non hanno bisogno di essere spiegati o interpretati dalle grandi menti, perché sono le parole ed i gesti dei semplici.

Uno dei messaggi più forti che il Papa ci ha voluto trasmettere, fin dai primi istanti del suo pontificato, è il dono (e la pratica) della misericordia.
Parlando del Sacramento della Confessione, Papa Francesco lo ha definito “il Sacramento della guarigione” e lo ha descritto come “l’abbraccio dell’infinita misericordia del Padre”.
Mi viene in mente l’immagine di un papà che abbraccia il proprio figlio che gli ha chiesto scusa, calmandolo dal pianto.
Quell’abbraccio è il segno del perdono. Un perdono sincero che allevia il dolore e riempie il cuore di pace.

Il Sacramento della Riconciliazione è un bisogno del figlio e, allo stesso tempo, una promessa del padre.
Ma questo bisogno deve partire dall’uomo penitente. Deve essere l’uomo a volerlo, a cercarlo e a chiederlo, con semplicità, al padre.
Ed il padre, che ama infinitamente e senza condizioni, non avrà motivo di non concederglielo.
L’uomo cerca il perdono di Dio, come un figlio cerca il perdono del proprio padre…È come la parabola del figliol prodigo.
Il padre attende che il figlio ritorni, ma deve essere il figlio a decidere di farlo.
A volte il figlio si mostra un po’ scettico e titubante. Altre ancora pensa che sia tutto scontato e che il perdono gli sia quasi dovuto. E ancora, altre volte, pensa addirittura che chiedere scusa non sia necessario.
Altre volte prova vergogna… una vergogna, però, che diventa quasi necessaria perchè è la sola che  conferisce consapevolezza della propria colpa e da cui poi scaturisce l’esigenza di chiedere perdono e di sentirsi perdonato.
E, alla fine, basta che il padre ne scorga da lontano la sola ombra, perché quel perdono si concretizzi e diventi motivo di gioia e di festa per un figlio che era perduto e che è stato ritrovato.
Non c’è giudizio, non c’è condanna. C’è solo amore.

Durante questo tempo di Quaresima, in cui il messaggio della Misericordia si fa ancora più forte ed attuale, il nostro Papa ha voluto istituire una intera giornata dedicata al perdono.
Dalle 17:00 di venerdì 28 fino alle 17:00 di sabato 29 marzo la Chiesa del Carmine, l’unica in tutta la nostra Diocesi, resterà sempre aperta per coloro che vorranno adorare il Santissimo Sacramento e per quanti desidereranno praticare il Sacramento della Riconciliazione.
A questo scopo, infatti, alcuni sacerdoti saranno a disposizione a turno per le Confessioni, ininterrottamente.

In un mondo così frenetico e caotico, in cui a volte manca il tempo di capire, di riflettere e di chiedere perdono, quello del nostro Papa Francesco è un invito a fermarci un attimo e a ritrovarci un po’ come quel figliol prodigo … “Mi leverò e andrò da mio padre, e gli dirò: Padre, ho peccato contro il cielo e davanti a te; non sono più degno di essere chiamato tuo figlio; trattami come uno dei tuoi lavoratori salariati" (Luca 15,18-19)… ed il Padre sarà pronto a scorgerci da lontano e a perdonarci ancor prima di aver ricevuto le nostre scuse, se sapremo trovare la strada per tornare da lui.


Lasciamoci abbracciare dal Padre e abbandoniamoci con fiducia alla sua comprensione… il perdono di Dio è più forte del peccato.

venerdì 28 marzo 2014

Claudio Capraro: "Otto giorni" - Martedì


Claudio Capraro: "Otto giorni"

MARTEDI

Fin dal mattino il cielo era stato minaccioso e cupo e Paolo si era più volte chiesto quando sarebbe scoppiato il temporale. Non era caduta una goccia; a volte il vento soffiava forte e alzava mulinelli di foglie secche e cartacce sparse per strada, altre volte si fermava completamente e l’aria sembrava statica. In quei brevi momenti sembrava che tutto fosse immobile. Paolo credeva per qualche istante di avere dei tappi nelle orecchie, quelli che ti fanno sentire i suoni lontani, ovattati. Intuiva che i suoi sensi volevano dirgli qualcosa, volevano avvisarlo che qualcosa stava per accadere, ma non aveva il tempo di fermarsi ad ascoltare, a riflettere.

Poi ad un certo punto verso le cinque del pomeriggio il cielo diventò ancora più scuro e mentre Paolo era intento nel suo lavoro, sentì da lontano un rumore strano, ma nello stesso tempo atteso. Andò a sbirciare dalla finestra e vide che pioveva. Era una pioggia sottile sottile, ma che in pochi minuti aveva già reso completamente lucido l’asfalto. Non era una buona notizia, ma Paolo non fu dispiaciuto. Se l’aspettava. Sapeva che sarebbe arrivata la pioggia, altrimenti che Settimana Santa sarebbe stata. Adesso tutti quanti i confratelli (sia che si fossero aggiudicato un simbolo o meno) avrebbero dimostrato la loro competenza metereologica nel fare le previsioni per i giorni a venire. Tutti avrebbero consultato le previsioni del tempo in tv o su internet e si sarebbero preoccupati per quello che sarebbe potuto accadere in caso di pioggia. Si sarebbero fatte strada in città - perché i Riti non riguardano soltanto i confratelli dell’Addolorata e del Carmine, ma riguardano tutta quanta la città ed una grandissima fetta di tarantini che vivono lontani dai due mari – una serie di teorie su cosa sarebbe accaduto se fosse venuto a piovere durante lo svolgimento di una delle due processioni, dove si sarebbero potute riparare la statua dell’Addolorata o le statue dei Misteri, cosa sarebbe accaduto se la sosta per ripararsi dal cattivo tempo fosse durata più di un certo tempo; ognuno avrebbe avvalorato la sua teoria con il racconto fattogli da qualche amico o parente che “aveva visto di persona” o che “era amico del fratello, del cognato di un confratello” e che quindi non poteva non sapere bene cosa prevedessero i regolamenti in casi come quelli.

Paolo riprese posto alla scrivania e si affrettò a terminare il suo lavoro; aveva ancora un giorno e poi avrebbe preso giovedì e venerdì di ferie e quindi per mercoledì sera doveva assolutamente chiudere tutte le pratiche ancora aperte. Non che avesse tantissimi giorni di ferie, anzi, ma avrebbe rinunciato volentieri ad una parte delle ferie estive a favore di quei due giorni per poter vivere pienamente ed intensamente tutto ciò che lo attendeva.

A differenza del giorno precedente, quella fu una giornata tranquilla per Fabrizio. Era di secondo turno, quindi di pomeriggio. La mattina si era potuto alzare con calma ed aveva atteso in casa la telefonata di Daniela che era arrivata alle dodici e trenta. Finalmente, mentre stava per mangiare un boccone prima di andare a prendere servizio, il telefono squillò: “procedura penale, ventotto.” Fabrizio fu felice, ma Daniela non poté dilungarsi, doveva correre se voleva riuscire a prendere l’autobus della Sud-Est e tornare a casa il prima possibile. Si salutarono e si diedero appuntamento alla sera.

Quel pomeriggio sugli impianti volò in un baleno. Per fortuna l’aria era più serena rispetto al giorno precedente e Fabrizio ad un certo punto poté fermarsi e telefonare al suo compagno di posta.

“Ciao Enzo, Fabrizio sono. Ti disturbo?”
“No, no, dimmi, dimmi.”
“Ti volevo sentire. Tutto a posto? Pronti?”
“Si pronti. Hai visto che pioggia?”
“Ho visto, ho visto, ma non ti preoccupare tanto mò scampa.”
“Speriamo. Senti che devi fare stasera, devi passare dalle suore di piazza Immacolata?”
“No Enzo, sono di turno e quando esco stasera vado a prendere la mia ragazza che stamattina ha fatto l’esame a Bari. Tu che fai? Vai?”
“Io? Si vado a fare una scappata.”
“Vabbè mo ti devo lasciare, ci sentiamo prossimamente.”
“Ok, mi faccio vivo io domani così ti racconto di stasera, comunque domani c’è la riunione in confraternita…”
“Madò è vero! E allora ci vediamo domani sera in congrega.”
“Vabbè allora a domani.”
“Ok. Ciao a domani.”
“Ciao.”

Paolo, fece lo slalom nel traffico per arrivare in centro e soprattutto, una volta arrivato, trovare un parcheggio per l’auto. Come al solito bastava un po’ di pioggia per far impazzire gli automobilisti. In realtà nel giro di poco più di una ora si era passati da una pioggerella ad un vero e proprio temporale. I tergicristalli erano alla velocità massima e nonostante ciò la visibilità non era delle migliori. Fece un paio di giri alla ricerca di un posto, poi alla fine si arrese e parcheggiò in prossimità di un incrocio, sulle strisce pedonali, confidando nella annosa assenza di vigili urbani per le strade della città, figurarsi poi con quell’acqua.

Prese l’ombrello che aveva nel bagagliaio, ma nel tempo necessario per effettuare quella operazione si bagnò comunque. Attraversò velocemente, al centro della strada, l’ultimo tratto di via Berardi e spuntò in piazza Maria Immacolata. Diede uno sguardo veloce a destra e a sinistra: via Di Palma e via D’Aquino erano deserte, c’erano pochissime persone che si affrettavano sotto il diluvio. Percorse un breve tratto di via Mignogna e finalmente trovò riparo nell’androne dell’Istituto “Maria Immacolata”. Passò davanti al gabbiotto e come ogni volta pensò alla suora che era lì dentro come ad un ufficiale di picchetto all’ingresso di una caserma. Si trovò nel corridoio dell’Istituto e passò dal rumore del traffico e della pioggia al silenzio assoluto. Si sentiva appena il rumore dei passi ed un leggero brusio prodotto dai confratelli che qualche metro più avanti riempivano la cappella.

Paolo entrava in quella cappella una volta all’anno, in quella occasione, e riceveva sempre la stessa impressione. Quel luogo era differente da tutte le altre cappelle, chiese o chiesette conosciute. Le altre, antiche o moderne, avevano comunque un filo conduttore, erano chiese dell’Italia meridionale. A Paolo, invece, quella cappella dava la sensazione di non trovarsi in Italia. Ogni volta che ci entrava e vedeva la figura della Vergine su di una nuvola, con dietro una luce bluette a voler significare il cielo, le stazioni della Via Crucis di un insolito colore blu, le vetrate con i disegni colorati, Paolo aveva la sensazione di essere in un luogo diverso, nel quale era stato qualche anno prima: a Parigi, in Rue du Bac, nella cappella della “Madonna del Miracolo”.

Ritornò velocemente alla realtà, diede una occhiata in giro alla ricerca di volti noti e soprattutto di Franco. Non lo vide, ma sapeva che sarebbe arrivato, d'altronde con quel traffico e quella pioggia. Salutò qualche amico e scambiò qualche frase di circostanza. I sacerdoti avevano già cominciato le confessioni; c’erano i padri spirituali delle due confraternite, ed una serie di altri sacerdoti a disposizione di tutti i confratelli per il Sacramento della riconciliazione.

Paolo decise di sedersi prima un attimo a pregare e a raccogliere le idee. Lui si confessava regolarmente con il suo parroco “di fiducia”, quello che aveva celebrato le sue nozze e che quindi sapeva tutto di lui e al quale non era necessario fare un “riassunto delle puntate precedenti”. In questo caso era diverso, chi avrebbe confessato Paolo avrebbe avuto bisogno di una introduzione per meglio comprendere quello che avrebbe ascoltato. Scelse un banco centrale e guardando l’immagine della Vergine iniziò a pregare.

Ogni tanto faceva una sosta e si guardava in giro e vedeva le file di confratelli vecchi e giovani, di gente che si era aggiudicata simboli e altri che sarebbero stati “su un marciapiede”, di consorelle che attendevano il loro turno per confessare ognuno le loro mancanze e gli tornarono alla mente le tante stupidaggini che ogni volta che si parlava di Riti o di confraternite, doveva ascoltare sul conto dei confratelli. Avrebbe voluto che quella gente ora fosse lì, a vedere, avrebbe voluto che quella gente capisse davvero cosa significa vestire l’abito di una confraternita, calarsi un cappuccio sul volto, camminare a piedi scalzi, portare un peso sulle spalle per tante e tante ore, solo per Amore. Per un amore immenso. Avrebbe voluto parlare con tutte queste persone e fare in modo che lo ascoltassero, che capissero, ma non era possibile convincere tutti delle proprie idee, ovviamente, ma almeno sperava che tanta gente avesse evitato di buttare fango inutilmente soprattutto senza conoscere a fondo l’argomento. Certo, come sempre, c’era l’altra faccia della medaglia e cioè che davvero qualche confratello faceva tutto il possibile (e magari anche di più) per dar modo alla gente di parlare e parlar male. Anche in questo caso non sarebbe stata impresa facile convincere queste “teste gloriose” a cambiare il loro modo di pensare e di agire. Una preghiera perché le loro menti fossero state illuminate sarebbe potuta essere una buona idea.

Si guardò in giro per decidere quale fila prendere per confessarsi e per vedere se fosse arrivato il suo compagno. Vide Franco che invece si era già sistemato in una delle prime file ed era quasi arrivato il suo turno, si salutarono con lo sguardo e si fecero cenno: “a dopo”.

“Bè? Tutto a posto?”
“Tutto a posto. E tu? Che pioggia.”
“Speriamo….”
“Ho visto le previsioni, portano pioggia fino a sabato.”
“E ti pareva.”

E continuando a chiacchierare Paolo e Franco uscirono nel corridoio, dove man mano tutti quanti si erano sistemati per scambiare qualche parola senza disturbare chi era ancora dentro. Ogni tanto passava una suora ed invitava tutti ad abbassare il tono della voce. Come al solito i gruppetti erano in continua evoluzione: c’era chi costituiva il nucleo e chi passava da un gruppetto a quello immediatamente vicino per passare da un argomento ad un altro.

Quando si accorse che si era fatto tardi, Paolo salutò tutti e se ne tornò a casa per cena. Dal lunedì Giulia aveva ricevuto disposizioni tassative a proposito dell’alimentazione di suo marito che soffrendo di tutti i problemi noti e meno noti a carico dell’apparato gastrointestinale, in quei giorni si sarebbe nutrito esclusivamente di riso in bianco con una spolverata di parmigiano, carne ai ferri, mele e banane. 

“Che amarezza!”, pensò mentre si sedeva a tavola, ma era un sacrificio che faceva volentieri pensando alle motivazioni che lo avevano determinato.

Uscito dalla stabilimento, Fabrizio che si sentiva a pezzi, fece un salto veloce a casa di Daniela. Lei era stanca e non aveva voglia di uscire, lui era combattuto tra la voglia di vedere un po’ il suo amore e il desiderio di tornare a casa e sdraiarsi nel letto. 

A casa di Daniela avevano cenato da un pezzo ed erano tutti davanti alla tv: i suoi futuri suoceri e la sua futura sposa. Il fratello di Daniela non c’era, sicuramente doveva essere andato a giocare a calcetto. La padrona di casa insistette con Fabrizio perché accettasse qualcosa per cena. Lui rifiutò, non perché non avesse fame, ma perché voleva sfruttare quei brevi momenti non per mangiare, ma per stare un po’ con il suo futuro avvocato; ormai era a meno tre esami!

C’era un altro motivo per il quale Fabrizio rispondeva no alle sollecitazioni della mamma di Daniela: ritornare a casa e comunicare alla madre di aver già mangiato e soprattutto di averlo fatto a casa della suocera… “apriti cielo!”. 

Alla fine davanti ad una cotoletta con contorno di patatine fritte, le sue resistenze cedettero e si accomodò a tavola.

Mentre cenava, i genitori di Daniela gli rivolsero qualche domanda sui Riti, su ciò che lo aspettava nelle prossime ore. Quando Fabrizio aveva la bocca piena, interveniva in suo soccorso Daniela, informatissima quanto e forse anche più di lui.

Finalmente i due, riuscirono ad avere un po’ di intimità. Finito di cenare, i genitori si ritirarono saggiamente in camera da letto e lasciarono il tinello ai due piccioncini. 

Chiacchierando un po’ di tutto, della prossima laurea di Daniela, del lavoro di Fabrizio, del loro futuro, delle processioni dei giorni a venire, si fece l’una senza i che se ne fossero accorti. A quel punto Fabrizio, schizzò via e se ne tornò a casa. 

Appena fu entrato in auto, d’improvviso sentì tutta la stanchezza che per un paio d’ore grazie alla vicinanza di Daniela, aveva dimenticato.

giovedì 27 marzo 2014

La mia, personale, sentita, tradizionale "terza di Quaresima"


Salvatore Pace

Come ogni anno, in una particolare domenica di Quaresima, la terza, ho trovato posto sull'Altare Maggiore per seguire la Via Crucis insieme ad altri confratelli contattati dal solerte segretario Francesco Tamburrini.
E' tradizione oramai.., infatti, sul calendario che abbiamo in ufficio, dedicato alla  programmazione dei turni mensili, da qualche anno la terza domenica di Quaresima mi "segno" libero, mi ritaglio quel giorno per seguire meglio delle altre volte, in modo più partecipe e vicino a Lui, la Sua Via Crucis.
Si perché, lontano dalle umane distrazioni, sull'Altare, sotto gli occhi della Chiesa gremita che non permette la possibilità di estraniarsi dalle meditazioni e dai canti struggenti, si comunica perfettamente con Gesù e con la Sua Mamma Addolorata, immedesimandosi appieno in quello che fu il loro Calvario. 
Come non commuoversi quando il magnifico coro intona  i canti più struggenti, come non emozionarsi nelle 14 genuflessioni guardando il maestoso Crocifisso, come non farsi cullare dalle note e dalle voci nel canto alla "Desolata"?
E dall'Altare che si può osservare quanto i fedeli siano rapiti e concentrati nel Rito, quanto i miei fratelli che compongono la terna siano composti nel loro Decoro, quanto anche lo squillo di un cellulare, imprudentemente lasciato acceso sia come un tuono nel silenzio di alcuni momenti di preghiera.
Ma di questa esperienza, che ho la fortuna di fare da qualche anno a questa parte, mi piace condividere con voi in queste due righe un particolare, coincidenza vuole che da tre anni abbia affianco uno dei Confratelli anziani del nostro sodalizio, non se ne vorrà a male se cito il suo nome, Franco Pignatelli, storico portatore di Gesù Morto, colonna dei nostri Riti appartenente ad una famiglia che i nostri Riti, appunto, insieme a qualche altra, ha contribuito a perpetuare. 

La partecipazione, la compostezza, il decoro e la commozione con le quali Franco segue l'intero svolgersi delle Via Crucis è da esempio per i Confratelli più giovani, come me per esempio, le note che ricordano il "suo" Gesù Morto o l'Addolorata immobile ai suoi piedi,  accompagnate dalla sua tangibile emozione, le meditazioni seguite senza un attimo di disattenzione e con una comunione assoluta nel Rito mi fanno pensare che fino a quando, all'interno della chiesa e durante le nostre funzioni, avremo Confratelli così attaccati alle nostre cose per mezzo di una forte passione,  il dono della famiglia Calò al nostro sodalizio sarà sempre meritato. 
Terminata la Via Crucis, infine, arriva l'Adorazione alla Croce, fatta con il compagno di sempre, sulle note di una marcia struggente e che mi riporta alla realtà della Settimana Santa imminente, alle "nazzicate", alle squadre da organizzare o già organizzate, ai compagni di posta e, con un briciolo di nostalgia, come tutto ciò che riguarda la "Sumana Sanda", do appuntamento alla mia "terza di quaresima" per il prossimo anno, quando, a Dio piacendo, sarò pronto a provare sull'Altare giovani emozioni di un sempre più "anziano" confratello. 

mercoledì 26 marzo 2014

Il programma delle Celebrazioni Quaresimali


Luca Tegas

Come ogni anno il programma delle celebrazioni dell’Arciconfraternita del Carmine, che vede il suo momento più alto nella Settimana Maggiore, è ricco e nutrito di importanti eventi di fede ed aggregazione.

Il cammino verso la Settimana Santa è ufficialmente iniziato con la celebrazione di domenica 2 marzo, presieduta dall’Arcivescovo Mons. Filippo Santoro, dell’apertura dell’anno giubilare concesso alla congrega da Papa Francesco in occasione del 250° anniversario della donazione delle figure di Gesù Morto e della Vergine Addolorata. Al termine della messa, un primo gruppo di confratelli ha dato il via alle Solenni Quarantore, pregando e vegliando sul Santissimo per 40 lunghe ore.

Mercoledì 5 marzo alle ore 18:30 si è tenuta, presso la chiesa del Carmine, alla presenza del Vicario Generale del Vescovo Don Alessandro Greco, la Santa Messa del Mercoledì delle Ceneri che, con l’imposizione della cenere sul capo dei fedeli, ha dato il via ufficialmente al tempo di Quaresima.

Alla celebrazione del Mercoledì delle Ceneri è seguita la Liturgia Stazionaria, organizzata dall’Arciconfraternita del Carmine, per la prima volta, coinvolgendo tutte le parrocchie della Vicaria. In processione è stato, eccezionalmente, portato a spalla dai confratelli il Crocifisso che è esposto in questi giorni nella chiesa del Carmine. La processione ha visto alternarsi le letture e le meditazioni di tutti i parroci della Vicaria, per poi rientrare intorno alle 20:30 dove il nostro l’Arcivescovo ha impartito la benedizione alla folla presente in forze, malgrado le avverse condizioni climatiche.

Gli appuntamenti più sentiti ed emozionali delle settimane quaresimali e che più fanno respirare aria di “Sumana Sanda”, sono le Via Crucis che, per ognuna delle cinque domeniche di quaresima, si celebrano nella Chiesa del Carmine, immediatamente dopo la Santa Messa domenicale.

Tre confratelli, in abito di rito, ripercorrono attraverso le quattordici stazioni il cammino di Cristo verso la crocefissione sul Golgota. Il percorso è reso ancor più suggestivo dalle grevi note dell’organo e del coro della Parrocchia del Carmine.

Al termine di ogni Via Crucis si svolge, privatamente, il rito dell’Adorazione della Croce. Le poste di confratelli senza abito di rito ma con in testa una corona di spine e ed impugnando il bordone, sulle note delle marce funebri e al tipico passo della “nazzecata”, percorrono la navata centrale raggiungendo l’altare maggiore dove è disposta una Croce. 

In occasione dell’ultima domenica di Quaresima, l’antichissimo rito dell’Adorazione della Croce viene svolto in forma solenne ed aperto a tutti i fedeli. Le coppie di confratelli, oltre ad essere preceduti dalla troccola, in questa occasione sono in abito di rito e a piedi nudi.

Molto importanti e sentiti dai confratelli gli incontri di Casa Confraternita che si terranno ogni mercoledì a partire dal 26 marzo. Casa Confraternita è un importante momento di aggregazione e preparazione alla Settimana Santa. È l’occasione per ascoltare i racconti e gli aneddoti dei confratelli più anziani sui Riti e sulle nostre secolari tradizioni o per chiacchierare in piena libertà sulle emozioni e sui sentimenti di quei giorni. Da segnalare inoltre, mercoledì 2 aprile, la gradita presenza, all’incontro, del priore della confraternita dell’Addolorata, Raffaele Vecchi. Faccio inoltre presente che il nostro Priore, Antonello Papalia sarà ospite agli incontri della confraternita dell’Addolorata lunedì 31 marzo alle ore 19:30 ed ovviamente tutti confratelli sono invitati a partecipare numerosi.

A partire da giovedì 20 marzo e per i successivi giovedì (27 marzo, 3 e 10 aprile) alle ore 19:30, nella chiesa del Carmine, verranno celebrate le da Mons. Marco Gerardo Predicazioni Quaresimali sul Sacramento della Riconciliazione.

La tanto attesa Settimana Santa avrà inizio la Domenica delle Palme, 13 aprile 2014, con la solenne celebrazione eucaristica. Alla sera, dopo i vespri, avrà luogo l’assemblea straordinaria per l’aggiudicazione dei simboli, presso i saloni della Provincia di Taranto. L’assemblea è ovviamente riservata ai soli iscritti al sodalizio.

Martedì Santo 15 aprile verrà celebrata la Liturgia Penitenziale, in cui gli aggiudicatari avranno la possibilità di confessarsi prima di vestire l’abito di rito per il pellegrinaggio o per la processione del Venerdì Santo. 

Giovedì Santo 17 aprile alle ore 15:00 il portone della chiesa del Carmine si schiuderà per permettere alla Prima Posta di iniziare il proprio giro di Pellegrinaggio ai “Sepolcri”. Le poste che usciranno dal portone principale, quello di Piazza Carmine, visiteranno le chiese della Città Vecchia: Chiesa San Giuseppe, Chiesa San Domenico, Basilica Cattedrale San Cataldo, Chiesa del Carmine. Alla stessa ora, dal portoncino di Via Giovinazzi, farà la sua comparsa la Prima Posta Città Nuova, che guiderà le altre poste di confratelli nel pellegrinaggio alle chiese del borgo: Chiesa San Francesco di Paola, Chiesa SS.mo Crocifisso, Chiesa San Pasquale, Chiesa del Carmine.

Sempre il Giovedì Santo, alle ore 16:30, nella chiesa sarà celebrata la Messa in Coena Domini, il memoriale dell’istituzione del Sacramento dell’Eucarestia da parte di Nostro Signore Gesù Cristo durante l’ultima cena con i discepoli. Durante la funzione, molto suggestiva è la lavanda dei piedi, a cui partecipano dodici confratelli in abito di rito. Al termine della celebrazione eucaristica, la breve processione del SS. Sacramento, percorrerà perimetralmente la piazza per poi rientrare nella chiesa dove il celebrante deporrà nel Repositorio l’Ostia Consacrata. 

Venerdì Santo 18 aprile, alle prime luci dell’alba, riprende il pellegrinaggio delle poste di Perdoni. Molto suggestivo è l’incontro delle coppie di confratelli con la Beata Vergine Addolorata che in quelle ore sta giungendo nelle vie del borgo. 

Alle ore 11:00 sarà la volta dell’Azione Liturgica dell’Adorazione della Croce ove sarà possibile prendere la comunione fatta con le “Particole” consacrate il Giovedì Santo.

Alle ore 17:00 in punto il portone della chiesa del Carmine si spalancherà per dar modo al Troccolante, agli otto corpi statuari e alla Processione dei Sacri Misteri tutta di compiere il pellegrinaggio per le vie del Borgo cittadino, con un’unica pausa nella chiesa di San Francesco da Paola intorno alla mezzanotte. 

La processione snodandosi poi per via Anfiteatro nelle ore notturne, riprenderà la strada verso la chiesa del Carmine. Nelle prime ore del mattino, giunto dinanzi al portone della chiesa, il Troccolante busserà per tre volte con il suo bordone permettendo a tutta la Processione di rientrare, sancendo la fine della Settimana Maggiore Tarantina.

martedì 25 marzo 2014

Claudio Capraro: "Otto giorni" - Lunedì


Claudio Capraro: "Otto giorni"

LUNEDI

Alle sette in punto Fabrizio era già al suo “posto di combattimento”. 

Quella notte aveva dormito profondamente ed il mattino si era svegliato con difficoltà. Si era lavato, aveva buttato giù il caffè che sua madre gli aveva preparato, alzandosi anche quel giorno alle cinque esclusivamente per lui. A niente servivano le raccomandazioni ed a volte anche i rimproveri, sia pur bonari, che Fabrizio le faceva affinché non si alzasse, che tanto il caffè lo avrebbe preso al bar, ma non c’era verso, sua madre non lo ascoltava.

Arrivato nello stabilimento, i suoi colleghi che conoscevano la sua passione gli chiesero informazioni su cosa avesse fatto il giorno precedente, ma Fabrizio non aveva molta voglia di parlare anche perché sapeva dove alcuni di loro avrebbero voluto portare il discorso:

“Ma tutti ‘sti soldi…”
“Sono dei fanatici…”
“Prima vanno a rubare e poi fanno la processione…”

Tante volte Fabrizio aveva provato a spiegare a questa gente il suo punto di vista, a far capire loro che molti dei loro pensieri erano in realtà preconcetti, ma quella mattina non aveva voglia di parlare. Il suo era un misto di gioia per poter partecipare alla processione dei Misteri e di tristezza per non poter partecipare a quella dell’Addolorata. Voleva stare solo con i suoi pensieri.

Per fortuna a tirarlo su arrivo un sms di Daniela, che oltre a dargli il buongiorno, chiedeva di chiamarla appena si fosse potuto liberare.

Fabrizio l’avrebbe chiamata subito, ma fu il suo capo a chiamare lui e dovette rimandare; l’altoforno non poteva aspettare.

Nonostante quella notte Paolo avesse dormito poco, i suoi occhi erano spalancati già molto tempo prima che la sveglia suonasse. Quando questa si attivò fu per lui una liberazione, non vedeva l’ora di alzarsi per cominciare quella nuova ed intensa settimana.

Raccontò velocemente a Giulia della sera precedente, volle sapere cosa avesse fatto lei ed in anticipo sul solito orario uscì da casa. Non che avesse fretta di andare in ufficio; la sua fretta era di correre in edicola per leggere sul “Corriere” maggiori dettagli delle Gare della sera precedente. L’edicolante quel giorno fu più loquace del solito, anche lui confratello, si erano incrociati la sera precedente. Scambiarono due chiacchiere e poi Paolo corse via.

Leggeva e camminava alzando di tanto in tanto la testa per guardare la strada e soprattutto per scrutare il cielo che era pieno di nuvole che non promettevano nulla di buono.

Arrivato in ufficio, i suoi colleghi gli chiesero cosa avesse fatto la sera precedente e così mentre prendevano posto ognuno alla propria scrivania, si scambiarono qualche commento.

Paolo approfittò per chiamare sua madre e comunicarle la notizia. Era pieno di entusiasmo, come un bimbo che ha portato a casa una pagella piena di sette e otto.

Purtroppo il suo entusiasmo scemò in breve tempo, visto che la madre incapace di gioire della sua gioia, ancora una volta pronunciò le sue solite frasi che per Paolo avevano un effetto peggiore dell’orticaria:

“Mi raccomando, vestiti pesante da sotto.”

“Ma non fa freddo con quei piedi scalzi?”

“Ma lo devi fare proprio? Ma se vuoi, poi ad un certo punto ti puoi fermare?”

La pressione arteriosa di Paolo ebbe un’impennata; più sua madre incalzava con le domande, più il tono della voce di Paolo aumentava e quella che sarebbe dovuta essere una telefonata privata divenne ben presto pubblica. Poi Paolo fece lentamente ammenda, decise di far finta di ascoltare e cercò di concludere rapidamente la telefonata, ma gli effetti si sarebbero visti sul suo volto ancora per qualche minuto.

Non fu una giornata liscia in stabilimento e Fabrizio ebbe un gran da fare. I problemi erano differenti e sembrava che quella mattina più di qualcuno si fosse alzato dalla parte sbagliata del letto. Arrivò a fine turno senza quasi rendersene conto e soprattutto senza aver trovato modo di poter telefonare a Daniela; era riuscito a mandarle solo un messaggio mentre si fermava un attimo per andare in bagno.

Andò nello spogliatoio a cambiarsi e farsi una doccia e solo allora si rese conto di essere arrivato al termine della sua giornata lavorativa senza aver pensato neanche una volta all’impegno che lo attendeva il venerdì.

Aveva già fatto richiesta per dei giorni di ferie; riepilogò mentalmente cosa lo aspettava per quella settimana: martedì secondo, mercoledì notte e poi smontava e andava in ferie fino al martedì dopo Pasquetta. In quel momento, però, venne preso da un lieve timore: e se fosse sorto qualche problema e gli avessero bloccato le ferie? Era già successo qualche volta e con l’aria che tirava quel giorno… Quel pomeriggio più di qualcuno non si era presentato e a più di qualcun altro era toccato rimanere per mezzo turno, poi sarebbero arrivati quelli del “terzo” con qualche ora d’anticipo e così si sarebbero ripartiti il lavoro degli assenti.

Mentre era nel parcheggio alla ricerca della sua auto Fabrizio vide il suo capo e decise di avvicinarsi e chiedere come se niente fosse:

“Signor Cuocci, tutto a posto per le ferie?”
“Si, si, non ti preoccupare. Ti fai Pasqua fuori? Parti?”
“No, no resto qui a Taranto…”
“Ah già tu fai il perdono. Che hai preso quest’anno?
“Faccio la processione dei Misteri, seconda posta davanti al Crocifisso.”
“Ah, il giovedì notte a Taranto vecchia.”
“No il venerdì pomeriggio e non a Taranto vecchia.”

Il signor Cuocci fece una faccia che sembrava volesse dire: “moh tu mi devi dire a me certe cose?!”, ma Fabrizio che aveva capito la piega che la conversazione rischiava di prendere non gli diede modo di ribattere, salutò e andò via.

Non sapeva spiegarsi se ad infastidirlo fosse la ciucciaggine del suo capo a proposito dei riti, il suo neanche tanto velato sarcasmo o cos’altro. Si infilò in macchina, mise in moto, ingranò la prima e partì, contemporaneamente con l’altra mano componeva il numero di Daniela e finalmente riuscì ad ascoltare la voce del suo amore.

Nella pausa pranzo, Paolo riusciva a tornare a casa, a mangiare e magari anche a farsi una pennichella sul divano. Quel giorno la pennichella saltò. Mentre Giulia finiva di sparecchiare, Paolo aprì l’armadio ed iniziò a tirar fuori il camice, la mozzetta e poi via via il cappello, lo scapolare e la busta che conteneva i guanti, il cappuccio, la corona del Rosario, la cintura nera. Si chiese se mancasse nulla. Aprì la custodia della mozzetta in modo che potesse prendere un po’ di aria dopo essere stata chiusa nell’armadio con la naftalina. Diede una occhiata generale al tutto e rimandò le operazioni più dettagliate per la sera, adesso aveva i minuti contati.

Il pomeriggio in ufficio per fortuna volò e Paolo riuscì a trovare il tempo per mandare una mail a tutti i suoi amici per informarli di cosa si fosse aggiudicato la sera prima. Era importante soprattutto avvisare quelli che vivevano fuori Taranto e che erano la gran parte della sua vecchia comitiva. Diede una occhiata veloce anche ai siti internet dedicati ai Riti e lesse alcuni interventi sui forum a tema. La felicità per essersi aggiudicato un simbolo o il malumore per non essere riuscito a farlo ormai seguivano altre strade che non fossero le chiacchiere all’angolo di via D’Aquino con via Giovinazzi: viaggiavano sul web. Diede un ultima occhiata alla sua casella di posta e vide con gioia che i primi “fuori sede” rispondevano alle sue mail, promettendo che avrebbero fatto di tutto per tornare a Taranto in tempo per godersi i Riti.

Fabrizio passò a prendere Daniela; arrivato sotto casa della sua ragazza le fece uno squillo col cellulare e questa volta dopo pochi minuti lei si materializzò davanti ai suoi occhi. Fabrizio non fece in tempo a scendere dalla macchina per andarle incontro che lei aprì lo sportello, si infilò dentro la Punto e saltò al collo del suo fidanzato riempiendolo di baci.

Lo sommerse di domande su come fosse andato il lavoro e soprattutto su cosa lo aspettava il Venerdì Santo, sulla Gara della sera precedente, chiese informazioni sul suo compagno di posta e tante altre domande. Ad un certo punto Fabrizio riuscì ad interromperla; anche lui avrebbe avuto delle domande da farle, ma soprattutto era digiuno e aveva assoluto bisogno di mettere qualcosa nello stomaco. Aveva già affrontato una discussione al telefono con la madre che pretendeva che tornasse a casa a mangiare ed invece lui aveva fretta di vedere Daniela. Difficili gli equilibri!

Decisero di andare in un bar non molto lontano dove si sarebbero potuti sedere a chiacchierare e, soprattutto per Fabrizio, a mangiare. Daniela però aveva altri piani, la mattina dopo aveva l’esame a Bari e sarebbe dovuta tornare a casa a terminare gli ultimissimi appunti, ma prima di rientrare e dopo il bar, strappò a Fabrizio la promessa che avrebbero passato un’oretta in macchina a farsi un po’ di coccole. Fabrizio fece finta di essere stanco, ma in realtà quell’idea lo stuzzicava parecchio e avrebbe voluto molto più di un’ora, ma sapeva già che allo scadere del tempo previsto Daniela sarebbe stata irremovibile; pazienza.

Tornato a casa, trovò sua madre che aveva recuperato dall’armadio la vecchia valigia con dentro l’abito della confraternita e tutti gli annessi e connessi e aveva disposto il camice sull’asse da stiro. Fabrizio sapeva che ci sarebbe potuta essere aria di tempesta, visto il suo rifiuto di tornare a casa a pranzo, ma sapeva già come comportarsi, aveva un metodo collaudato. Appena entrato si fiondò da sua madre e le diede due baci, uno per guancia, poi l’abbracciò dicendole frasi del tipo: “bella la mamma mia!” che ebbero in pochi istanti l’effetto sperato.

“Nah a mammà ti faccio un poco di pasta?”
“No, mà grazie. Ho mangiato un panino.”
“Un panino? E che devi fare con un panino?”
“Ma sono quasi le sette, non ho fame, tra un’ora mangiamo tutti assieme tanto stasera non esco resta a casa.”
“Non ti devi andare dall’amore tuo?”
“Maaaà, la finisci! Lo sai che Daniela domani c’ha l’esame a Bari.”
“Ah già.”

Fabrizio cambiò intelligentemente discorso:

“Ma già oggi lo stai stirando il camice?”
“Non lo sto stirando, stò dando un’occhiata se è tutto a posto, poi lo lavo – e speriamo che co stò tempo si asciuga - e poi te lo stiro. Fammi fare a me che sò quello che devo fare, non ti preoccupare, per venerdì è tutto pronto.”
“Si, si, fai tu… e non fare piovere.”

Tornato a casa, Paolo riprese le operazioni che aveva dovuto lasciare a metà dopo pranzo. Giulia era al lavoro e sarebbe tornata non prima di un’ora. Accese il lettore Dvd e si immerse totalmente nella melodia di “A Gravame”. 

Verificò i nastri del cappello e dello scapolare, erano un po’ aggrinziti, poi passò ai bottoni del camice e della mozzetta; spesso mentre si vestiva nei locali della Confraternita per prendere parte ad una processione, qualche bottone gli era rimasto in mano e si era dovuto arrangiare alla meglio. Verificò che le medaglie della corona del Rosario fossero tutte salde e dopo aver finito con l’abito da confratello, passò a quello che avrebbe dovuto indossare da sotto il camice. Quel lunedì era stato nuvoloso, ma non freddo. Tirava un vento di scirocco, ma Paolo sapeva bene che nei giorni a venire sarebbero arrivati freddo, vento e soprattutto pioggia e che quindi bisognava equipaggiarsi.

Il suo abbigliamento era ormai collaudato: il pantalone di una vecchia tuta da jogging, le cui gambe Paolo provvedeva a piegare e fermare con delle “spille francesi” all’altezza dei polpacci. Sopra avrebbe indossato un vecchio maglione di lana infeltrito. Questa caratteristica se da un lato rendeva non facili i movimenti, dall’altro faceva in modo che attraverso quelle fibre non passasse un filo d’aria.

Giulia arrivò e dopo aver salutato Paolo, iniziò contemporaneamente a raccontare della sua giornata lavorativa ed a “fingere” di lamentarsi per le note che invadevano la casa; ora era il turno di “Inno a Cristo Morto"

lunedì 24 marzo 2014

Prima predicazione quaresimale: la Confessione, "luogo" di misericordia

Mattia Giorno


Ha avuto luogo giovedì 20 marzo la prima predicazione quaresimale di Mons. Marco Gerardo relativa al Sacramento della Riconciliazione.

Il titolo scelto dal padre spirituale dell’Arciconfraternita per l’occasione è stato: “Sacramento della riconciliazione: lettino dello psicologo? Tribunale del giudizio? Salotto delle confidenze o luogo della sincerità e della misericordia?”

È il titolo stesso a delineare il senso ultimo della catechesi, ossia il sacramento della confessione come luogo della misericordia di Dio e non come luogo del giudizio finale.

Come più volte Don Marco ha ricordato durante la sua predicazione, la confessione, maggiormente rispetto agli sacramenti, è il luogo dove è possibile comprendere l’amore e la misericordia di Dio. Essa non deve essere il momento per raccontare al sacerdote le ansie, le preoccupazioni ed dubbi su come affrontare le situazioni della vita. La confessione deve bensì essere un momento di sincerità per mezzo della quale aprirsi al sacerdote per ottenere la misericordia di Dio. Non una semplice seduta da uno psicologo, ma un’apertura sincera davanti al ministro di Dio in terra.

La confessione non deve nemmeno incutere, nel fedele, la paura del giudizio. Il sacerdote, per il tramite dello Spirito di Dio, emana una sentenza spirituale. Di per sé il termine “sentenza” da l’immagine di una confessione legalista ma, come ha ricordato Don Marco, si è alla presenza di una sentenza di assoluzione, un giudizio di misericordia. Nel progetto di Dio tutto è stato effettuato nel modo giusto: egli fa amministrare il sacramento della confessione ai sacerdoti, esseri umani come noi, i quali capiscono le debolezze e le tentazione dell’uomo. Per questa ragione non va vista la confessione come tribunale del giudizio ma, ancora una volta, come luogo dove è possibile comprendere l’amore di Dio. Se si concepisce il momento della riconciliazione come momento del giudizio si rischia di temere una condanna, probabile causa questa della non completa apertura verso il sacerdote nel riconoscimento dei propri peccati, condizione questa che necessita di essere superata.

Don Marco ricorda come per sentirsi liberi e non tristi, per fare vera esperienza della libertà, bisogna sempre dire la verità al confessore. Il penitente deve aprire il cuore al ministro di Dio, elencando sia i peccati che le azioni positive. Il consiglio che Don Marco ha dato è stato proprio questo: vivere la confessione come confessione dei peccati e come confessione di lode, elencando anche ciò che c’è stato di buono.

Un’altra ammonizione espressa dal padre spirituale durante la sua catechesi è stata quella di non confondere la confessione con un salotto per le confidenze, si rischia in questo caso di non dire i propri peccati al confessore. Bisogna vivre con una coscienza delicata, capace di accorgersi dei propri peccati. Tutte ragioni queste per vivere la confessione con sincerità, perché diventi espressione della misericordia di Dio. Può sembrare banale ma in realtà racchiude in sé un profondo senso di verità l’esempio presentato da Don Marco: la confessione deve essere come una visita dal medico, bisogna dire i propri mali per avere una giusta diagnosi ed una giusta cura. Dire quindi tutti i propri peccati, dirli con sincerità per essere abbracciati dalla misericordia perché Dio non si spaventa né si disgusta dei nostri peccati; non si stanca di ascoltarli come non si stanca di abbracciarci e donarci il suo perdono.

Questo, sommariamente, è il contenuto della prima catechesi di Don Marco, primo aiuto per comprendere bene cosa è la confessione e come fare per viverla nel modo più opportuno.

Il resto, per scoprire la bellezza e l’importanza di questo sacramento, ci sarà esposto nei prossimi due appuntamenti ai quali tutti sono invitati a partecipare.
Copyright © 2014 Alessandro Della Queva prove