mercoledì 28 maggio 2014

Addolorata in viaggio



Claudio Capraro

Chissà che viaggio dovettero fare dal laboratorio di Napoli fino a palazzo Calò le due statue di Gesù morto e dell’Addolorata. Su carri trainati da cavalli, su strade sconnesse e polverose. Chissà quali precauzioni furono prese all’epoca per preservarle da urti accidentali. E quando finalmente, nel cortile del palazzo nobiliare, mentre i cavalli stanchi e sudati si abbeveravano nella vasca di pietra viva, i facchini scaricavano il prezioso carico dai carri, il maggiordomo di casa dava raccomandazioni su come effettuare le operazioni creando più disordine che aiuto, chissà che espressione dovette disegnarsi sul volto di don Diego Calò quando aperte le casse di legno, tolta la paglia poté scorgere i volti del Gesù e della sua mamma Addolorata.

Come era fiero di quelle statue don Diego e con lui tutta la sua famiglia. Ogni venerdì Santo per lui e poi successivamente per i suoi eredi, poter dar vita alla processione di quelle due statue, con la essenziale collaborazione delle confraternita cittadine, era motivo di onore e di vanto.

Chissà se nella sua mente o in quella dei suoi successori sarà mai passata l’idea che dopo oltre 250 anni quella processione si sarebbe ancora svolta e che il Papa avrebbe concesso per quella straordinaria occasione un anno giubilare e che addirittura un giorno almeno una di quelle due statue sarebbe potuta andare davanti al Santo Padre. Era impensabile perché i tempi erano diversi, le distanze siderali. Nel 1765 Taranto era parte del regno borbonico delle due Sicilie, retto al tempo da re Ferdinando. Roma era invece la capitale dello stato del Vaticano su cui regnava il Papa re Clemente XIII, quindi uno stato estero, distante giorni e giorni di viaggio e per raggiungere il quale ci sarebbero voluti permessi per attraversare le dogane, dazi da pagare e soprattutto, lungo il tragitto, protezione dai briganti che imperversavano al tempo. La strada da percorrere sarebbe stata abbastanza simile a quella attuale, la consolare Appia che attraverso le attuali Puglia e Campania arrivava sino a Roma. Poi in meno di un secolo dall’anno della donazione di Francescantonio Calò, prima i moti del ’48 e poi l’unità del 1861 e nasceva l’Italia; in tutto questo la confraternita del Carmine ogni venerdì santo portava in processione le due statue originarie e poi man mano tutte le altre.

E poi un giorno del 2014, nel corso dell’anno giubilare concesso da Sua Santità Francesco, una delle due statue, quella della Beata Vergine Addolorata, fu portata fuori dalla sua nicchia, preparata con tutti gli accorgimenti del caso, e partì. Destinazione Roma, Vaticano, piazza San Pietro per essere benedetta dal Santo Padre. Portata a spalle da otto confratelli e posta sul sagrato della Basilica, mentre la piazza brulicava di tarantini e da casa tanti collegati alla tv o al pc per scorgere qualche immagine.

Nemmeno un mese prima aveva fatto rientro, la mattina del sabato Santo, nella chiesa del Carmine al termine di quella memorabile processione dei Sacri Misteri. Memorabile per tanti motivi, ma uno in particolare che riguardò le due statue donate dal Calò che rientrarono attaccate: le sdanghe della Mamma unite a quelle del Figlio, senza staccarsi un attimo, in un silenzio strano. Sul sagrato della chiesa, oltre le immancabili e struggenti note di Jone si poteva ascoltare solo il rumore dei medaglieri e quello delle sdanghe delle due statue che si toccavano leggermente, tutti gli altri suoni sembrava restassero al di là delle transenne. 


La statua della Vergine Addolorata della Confraternita del Carmine ricorderà per i prossimi 250 anni e per tanti altri ancora che quel maggio, il suo mese, del 2014 nel quale oltre ad uscire per la processione dei Misteri poté fare una “uscita straordinaria” affinché il successore di Pietro, quel Pietro che Lei aveva conosciuto, quello che suo Figlio aveva designato come suo successore, potesse benedirla. E don Diego da lassù avrà visto, sarà stato felice ed avrà approvato, ancora una volta, la scelta che suo successore Francescantonio fece quell’aprile del 1765.

martedì 27 maggio 2014

La nostra storia: la Riforma Teresiana

Giovanni Schinaia

Continuiamo il nstro breve viaggio nella storia a della famiglia religiosa cui anche la nostra Confraternita appartiene per carisma e tradizione, la Famiglia del Carmelo. Abbiamo già ripercorso le origini della spiritualità e dell'Ordine Carmelitano (qui), e abbiamo raccontato di quando, passato dalla Terrasanta all'Occidente, l'Ordine rischiò di scomparire (qui). Arriviamo ora alla stagione delle grandi riforme interne alla Chiesa che coinvolse anche la famiglia carmelitana.

Alla fine di quello che la storiografia illuminista insiste a chiamare Medio Evo, ma che noi preferiamo nomare "Evo Crstiano", specialmente dopo le sofferenze della Chiesa nel periodo in cui i Papi, lasciata Roma, si trasferirono ad Avignone e durante lo Scisma d’Occidente, si sentì ovunque il desiderio e il bisogno di riforme. Fu così che si vide nella Chiesa realizzarsi una serie di provvedimenti in questo senso e i Concili di Costanza (1414 - 1418), di Basilea (1431 - 1437) e di Ferrara-Firenze (1438 - 1442) sono tappe di questo programma, come pure le grandi opere apostoliche di predicatori di penitenza, quali San Vincenzo Ferreri, San Bernardino da Siena, San Giovanni di Capistrano.

Anche nell’Ordine Carmelitano vi furono monaci e monache che non se ne stettero inattivi, come Bartolomeo Fanti, Angelo Mazzinghi, Giovanni Scopelli, Arcangela Ghirlani, Giovanni Soreth, e Beato Battista Mantovano che diede vita alla cosidetta Congregazione Mantovana. 
Soprattutto importante fu tuttavia quella che passa sotto il nome di Riforma Teresiana

Il 1500 fu il secolo d’oro per la Spagna, in cui essa raccolse il frutto di una lunga crociata di 777 anni (715 - 1492) per la conquista del suolo e della libertà di fede contro gli Arabi. Questo fatto impresse al carattere cattolico spagnolo un calore eroico, inconfondibile. In questo clima nacque, il 28 marzo 1515, S. Teresa de Ahumada, che entrò fra le Carmelitane della sua città natale (Avila) a ventun anni, rimanendovi fino al 1562 presso il monastero dell'Incarnazione. Con un gruppetto di suore riunite nella sua cella Teresa decise di tornare all’antico spirito carmelitano, quello eremitico: con la fondazione del piccolo monastero di San Giuseppe (24 agosto 1562), Teresa da inizio alla sua riforma fra le monache; riforma che avrebbe poi esteso anche fra i frati (Duruelo 1568) con l'aiuto di S. Giovanni della Croce. L’ideale Carmelitano Teresiano è insieme contemplativo e apostolico. Le caratteristiche fondamentali dei "mezzi" che la Santa considera essenziali per il raggiungimento dei suoi ideali sono l’orazione, lo zelo apostolico, la solitudine (silenzio, ritiro, clausura), la vita comunitaria (piccolo gruppo, vita fraterna, semplicità, libertà spirituale, umanesimo), lo spirito Mariano, l’ascesi e il lavoro.

Per diversi secoli ci fu una sorta di diffidenza reciproca fra i Carmelitani di S. Teresa, cosiddetti “Scalzi” e i Carmelitani dell’A.O.. Basti pensare che nel 1631 furono i Carmelitani Scalzi, nella persona di Padre Prospero dello Spirito Santo, a ritornare sui luoghi di nascita, sul Monte Carmelo, da cui quattro secoli prima quegli altri erano stati costretti a fuggire. Il fatto è che entrambi i rami dell’Ordine si ritenevano eredi legittimi e continuatori ideali dello spirito primitivo del Carmelo. E in effetti eredi legittimi lo erano entrambi…

Per la nostra Confraternita il 2015 è il 250mo anno dalla donazione delle statue dei Misteri da parte della famiglia Calò, una ricorrenza che stiamo giustamente solennizzando nel contesto di un Anno Giubilare straordinario, concesso appositamente alla nostra comunità dal Santo Padre Francesco. Una provvidenziale coincidenza, colloca però nel 2015 un'altra ricorrenza di cui è bene che non ci dimentichiamo: il 500mo anniversario dalla nascita di Santa Teresa d'Avila, la grande riformatrice del Carmelo.
Come vedremo in un successivo appuntamento, si deve proprio a Santa Teresa l'introduzione dello scalzismo penitenziale nel patrimonio spirituale e carismatico già ricco della famiglia Carmelitana; quello stesso scalzismo che ha caratterizzato la nostra Confraternita sin dalle origini nello svolgimento delle funzioni della Settimana Santa.

Noi andiamo scalzi! E andiamo scalzi perchè siamo figli di Santa Teresa d'Avila!

domenica 25 maggio 2014

Insieme, insieme è un motto di fraternità

24 maggio 2014

I locali dell'ala nord restaurati e restituiti
alle attività delle opere parrocchiali


Le note e le parole di uno dei canti scout più conosciuti e diffusi - Insieme - hanno dato inizio, la sera del 24 maggio, a una semplice ma significativa cerimonia di inaugurazione dei locali di recente restaurati nell'edificio della nostra Chiesa. Si tratta dei locali dell'ala nord, quella che da quasi 70 anni ospita le attività degli Scout della parrocchia del Carmine, lo storico gruppo AGESCI Taranto 5.
Erano ormai circa quattro anni che i locali, dichiarati inagibili, erano in attesa di sistemazione e della messa in sicurezza. Finalmente, circa due mesi fa, è stato possibile dare avvio ai lavori già da tempo approvati dall'Assemblea dei Confratelli e Consorelle. In prossimità della Settimana Santa la ditta incaricata riconsegnava i locali. Sabato 24 l'inaugurazione ufficiale con la benedizione.

"Insieme", come nelle parole del canto, si sono ritrovati i bambini più piccoli - i Lupetti -, quelli più grandicelli - gli Esploratori e le Guide del Reparto "Croce del Sud" - e tutti i capi con i Capi Gruppo; la Confraternita era rappresentata dal Priore Antonello Papalia e da alcuni componenti del Consiglio; e naturalmente il nostro mons. Marco Gerardo nella doppia veste di Padre Spirituale e Parroco, e quindi di Assistente del Gruppo Scout.
Il Priore ha ricordato come il ripristino della funzionalità dei locali era fra le priorità di questo Consiglio sin dall'inizio del mandato, non tanto e non solo per una mera questione logistica - l'oggettiva difficoltà creata dalla condivisione dei pochi spazi disponibili fra tutte le realtà parrocchiali - ma anche per coerenza con quel ritrovato spirito di fraternità e solidarietà a cui questo Consiglio, sin dall'inizio, ha voluto che fossero informati i rapporti fra la Confraternita e tutti i gruppi della Parrocchia.
E la difficoltà è stata anche foriera di almeno un frutto positivo: quattro anni di condivisione degli stessi spazi, ci ha in qualche modo, come comunità parrocchiale, obbligato a camminare insieme, a conoscere tutto gli uni degli altri, a guardare con rispetto e cordialità le attività e gli impegni dell'altro; le ristrettezze insomma, ci hanno insegnato ad essere più famiglia, più comunità cristiana. E' questa l'analisi del nostro don Marco, del quale è nota a tutti noi la capacità di guardare "oltre", di scorgere i segni della Provvidenza divina anche nelle situazioni che diremmo le più impensate.
Certo, ora che finalmente abbiamo la possibilità di... "stare un po' più larghi", si spera tutti che quanto è stato guadagnato in termini di crescita e maturità, non vada ora disperso. E questo non accadrà sicuramente.
Il Capo Gruppo AGESCI, Giorgio Lepore, nel suo intervento ha ringraziato la Confraternita per l'impegno e ha ribadito anche lui i vincoli di fraternità che ci uniscono, non foss'altro per la doppia appartenenza - Taranto 5 e Confraternita, di tantissimi di noi, nel passato e nel presente. Al termine dell'intervento ha anche consegnato al Priore una somma raccolta dai ragazzi con attività di auto finanziamento, con la quale contribuire ai lavori di ripristino della sede. Il Priore, nell'accettare l'assegno ha già annunciato che la somma sarà impiegata per la sostituzione, che si è resa necessaria, di alcune luminarie all'interno della chiesa.
In conclusione, la benedizione di tutti i locali e di quanti vi faranno uso per la maggior gloria di Dio.

Per le immagini ringraziamo Caterina Perrone


giovedì 22 maggio 2014

Comunicato Stampa ufficiale per la celebrazione del 21 maggio 2014

 Comunicato stampa




Oggi, mercoledì 21 maggio, il Santo Padre ha benedetto una corona per la Statua dell’Addolorata dell’Arciconfraternita del Carmine ed una riproduzione del Suo Stemma Pontificio, che verrà collocato sul Velo della Statua di Gesù Morto. Il Rito della Benedizione della Corona, per l’Incoronazione Canonica del Simulacro della Vergine, e dello Stemma Pontificio per il Simulacro di Gesù morto si colloca all’interno delle Celebrazioni dell’Anno Giubilare, indetto dallo stesso Papa Francesco, in occasione del 250° anniversario della donazione delle due Statue dalla Famiglia Calò all’Arciconfraternita del Carmine.

Una delegazione di 150 Confratelli e Consorelle del Carmine – guidati dal Priore Antonello Papalia – hanno partecipato all’Udienza Generale del Santo Padre, accompagnando l’Effige della Madonna Addolorata del Carmine in Piazza San Pietro. Forte è stata la commozione dei tarantini presenti, quando, al termine dell’Udienza, il Santo Padre ha ricevuto i saluti dell’Arcivescovo Metropolita di Taranto, S. E. R. Mons. Filippo Santoro, e del Padre spirituale, Mons. Marco Gerardo, ed ha benedetto i due simboli di devozione, volendo così benedire le speranze, le gioie e le sofferenze che l’intera Arciconfraternita e tutti i devoti depongono ai piedi di quella venerata e amata Immagine.

Il Simulacro è stato allestito all’interno delle Mura Vaticane e portato a spalla da otto Confratelli, varcando l’Arco delle Campane (da dove di solito esce il Pontefice in papamobile per le Udienze). Attraversando l’inizio della Piazza, è stato portato sul Sagrato di San Pietro e collocato alle spalle del Santo Padre, fino al momento rituale della Benedizione.

Grande gioia è stata espressa dall’Arcivescovo Santoro, per questo felice momento per l’Arciconfraternita e per l’intera Città. Il Priore Papalia ha espresso la gratitudine della Comunità confraternale all’Arcivescovo che si è fatto portavoce, presso il Santo Padre, del desiderio della Confraternita in questo anno di celebrazioni giubilari, nonché la commozione e la trepidazione di tutti nel poter vedere il Pontefice sostare in preghiera dinanzi alla Madonna Addolorata, portata in Processione a Taranto il Venerdì Santo. Il Priore, inoltre, sente il bisogno di esprimere la propria riconoscenza ai Confratelli e Consorelle che hanno lavorato e si sono sacrificati per il viaggio notturno, pur di essere presenti all’Udienza del Santo Padre.
Le celebrazioni giubilari proseguiranno con ulteriori momenti di fede e di approfondimento teologico e pastorale sul ruolo della pietà popolare nell’annuncio del Vangelo e nella testimonianza della carità.

Dott. Giorgio Vegliante
Ufficio del Priore e
Pubbliche Relazioni


martedì 20 maggio 2014

Il rumore delle medaglie ..una dolce melodia

Luciachiara Palumbo 

Sono assorta nella preghiera davanti al SS. Sacramento, contemplo quel meraviglioso corpo di Cristo sotto sembianza di pane, illuminato da una moltitudine di candele. 
La mia mente viaggia, il mio cuore invoca e mi isolo completamente dalla realtà circostante. Nel silenzio che mi avvolge però, odo provenire dal fondo della Chiesa quel suono inconfondibile ed unico, nato dall'agitazione delle medaglie del rosario.

Nessuno resta immobile a quel quasi richiamo e tutti si voltano sapendo che alle loro spalle avanzano con passo composto i nostri amati confratelli. 

Ecco il rumore che mi ha cresciuto, quello splendido rumore che mi provocava i brividi ogni qual volta, da bambina, lo sentivo provenire dalla Sagrestia. Sorridevo e guardavo la mamma che faceva cenno con la testa volendomi confermare che si… erano i "perdoni". 

Non un rosario come tanti altri,molto più che questo… Un segno, un particolare segno della nostra fedeltà a Cristo, per mezzo di Maria. 

Le medaglie simbolo del cammino percorso,sono arricchite di volta in volta da nuove, aggiunte per l'appunto dopo viaggi intrapresi o dopo pellegrinaggi compiuti. Non posso sapere cosa spinga i confratelli a comprarne sempre di più ma penso a quanto sia bello, in qualunque posto ci si trovi, avere un pensiero fisso volto a quella corona. La catena dell'amore di Dio, così mi piace definirla, quel modo di aggrapparsi a Lui tramite la preghiera. 
Quante volte, in un momento di sconforto, ci stringiamo a noi il rosario e invochiamo l'aiuto del Padre. Sul mio comodino, accanto al letto c'è la coroncina del conforto, nei momenti peggiori la prendo in mano e posiziono il crocifisso sul mio cuore, come una pomata che cura una ferita. Ma da sdraiata,con la testa sul cuscino mi basta alzare lo sguardo e muovere il braccio per risentire il fatidico suono della mia serenità. 

Qualche anno fa due amici confratelli mi hanno regalato il dono più bello che potessi desiderare, il rosario della confraternita. E ogni volta che lo spolvero affinchè sia impeccabile come se dovesse essere usato, penso a quanto vorrei che mio padre, mio fratello o un membro della famiglia lo portasse con sé. 
Non vorrei stesse costantemente lì sul mio letto, vorrei cadesse su un camice o fosse impugnato da un confratello, vorrei poterlo udire nelle sale della parrocchia o vederlo procedere lungo la navata, vorrei che un bimbo o una bimba nell'ascoltarlo potesse sorridere, come facevo io (non che ora non lo faccia). 

La dolce melodia delle medaglie, sottofondo delle processioni, delle celebrazioni e dei rituali è diventato sottofondo della mia fede…

lunedì 19 maggio 2014

La nostra Confraternita e il Santo Patrono

Mattia Giorno

Come ormai consuetudine della nostra Arciconfraternita, e come impone lo Statuto Sociale all’art. n. 26, alcuni dei nostri fratelli hanno preso parte, anche quest’anno, alla processione in onore del Santo Patrono.

Un legame forte che unisce la figura di San Cataldo alla nostra città, un’unione secolare che richiama il senso missionario di quel vescovo irlandese che, per volere di Dio, è giunto sulle sponde di Mar Piccolo per ridare un’impronta cristiana ad una città ormai pagana.

Ad oggi si potrebbe confermare la riuscita dell’opera missionaria del Santo poiché, proprio nel triduo maggiore dedicato ai suoi festeggiamenti, la gente si stringe attorno all’imponente effige d’argento portata in processione, per vivere un momento di gioia, preghiera e di affidamento.

La città intera si consegna a quella benedizione che il Santo, tramite quelle sue tre dita, vuole donare, ed anche noi, assieme ai nostri fratelli, amici o semplicemente concittadini, ci stringiamo in preghiera attorno all’immagine del nostro San Cataldo, accompagnandolo in processione per le strade della città vecchia e del borgo.

Insomma, una tradizione molto antica che ogni anno rinnoviamo con piacere e fede, sentendoci accarezzati dallo sguardo rassicurante del nostro Patrono. In particolare la nostra Confraternita si rende disponibile ad aiutare con impegno e spirito propositivo la buona riuscita di questi festeggiamenti. Come già detto vi è anzitutto la partecipazione dei confratelli in abito di rito alla solenne processione, momento tanto atteso e di enorme bellezza, ma sicuramente preceduto da intensi giorni di lavoro e preparazione.

In tutto questo è importante la collaborazione che il nostro Priore, tramite il suo contributo personale, mette a disposizione del Comitato Festeggiamenti di San Cataldo, del quale ne è membro. Inoltre, come tutti abbiamo potuto vedere, la nostra Confraternita offre il balcone centrale della chiesa per concedere al nostro Arcivescovo, al quale poco prima abbiamo rinnovato obbedienza e fedeltà, di leggere il consueto discorso di saluto alla città, seguito da solenne benedizione. Proprio quel balcone dal quale Sua Eccellenza porge il saluto alla città ed ai confratelli in occasione della processione dei Sacri Misteri, balcone dal quale, data la vicina canonizzazione di San Giovanni Paolo II, lo stesso Santo Padre si affacciò nel lontano 1989.


Una festa quindi carica di eventi culturali, religiosi e civili che hanno visto la partecipazione del nostro sodalizio e di molti confratelli; una festa che ogni anno, dopo la gioia della Resurrezione, noi tarantini siamo chiamati a vivere con fede e speranza.

Quante volte abbiamo sentito la parola “speranza” dal nostro Arcivescovo nel periodo della festa patronale, quante volte ci siamo sentiti ripetere il messaggio della grandezza dell’amore di Dio. Già, se ci lasciamo amare da Dio, la speranza non ci abbandonerà mai. Non ci resta allora che continuare a pregare e ripetere ancora una volta la triplice invocazione al nostro Santo Patrono, affinché interceda per noi e per la nostra città verso il Padre che è nei cieli.

San Cataldo, prega per noi!

domenica 18 maggio 2014

Messa di ringraziamento del 15.05.2014


Antonino Russo

Si è tenuta il 15 maggio alle 20.30 nella nostra Chiesa del Carmine la Santa Messa di ringraziamento per i doni Spirituali ricevuti durante il Pellegrinaggio e la Processione dei sacri Misteri.

Ho seguito la Celebrazione in piedi dato che il colpo d’occhio, entrando, è stato quello di una Chiesa piena in ogni ordine di posto: volti familiari di Confratelli e Consorelle con cui abbiamo condiviso la catechesi e l’aggregazione ma anche tanti novizi accanto a Confratelli più anziani.

Le Letture avevano un comune denominatore evidenziato dal nostro Padre Spirituale, Mons. Marco Gerardo: per quanto possiamo fare bene nell’organizzazione di eventi religiosi come le nostre processioni e per quanto bene questi possano riuscire, restiamo degli strumenti nelle mani del Signore. E’ Lui che opera e dispensa doni Spirituali.

Infatti il voler primeggiare nell’organizzazione fine a se stesso, come comunità Parrocchiale o Confraternale, rappresenta un tradimento rispetto al vero scopo delle feste o delle processioni religiose che è da sempre l’evangelizzazione.

Tradimento che nel Vangelo di Giovanni (13,16-20) proclamato ieri sera viene descritto così da Gesù: ‘‘Colui che mangia il pane con me, ha levato contro di me il suo calcagno’’

Poi Don Marco ha ringraziato il Priore, il Consiglio di Amministrazione, gli Assistenti, i Confratelli e le Consorelle per la riuscita delle processioni evidenziando come lo sguardo di invocazione, preghiera e supplica dei tanti fedeli che fissavano le immagini di Gesù o Maria portate sulle spalle dei Confratelli, rappresenta uno dei grandi risultati che la Processione del Venerdì Santo ha donato.

Il solcare le strade della nostra quotidianità con spirito Evangelico, il farlo con la compostezza e il decoro che hanno caratterizzato il Pellegrinaggio e la Processione nonostante le condizioni meteo poco felici rappresentano, sottolineava il nostro Padre Spirituale, solo la punta dell’iceberg di una organizzazione puntale e instancabile.

E’ stata infine ribadita da Don Marco la comunione di intenti tra tante realtà parrocchiali: un ringraziamento particolare è stato dato anche agli scout, “Angeli custodi” silenziosi delle nostre processioni come li ha definiti in più occasioni il nostro Priore.

Il nostro Padre Spirituale ha infine voluto raccontare simpaticamente l’opera di “mediazione” del Priore rispetto alla scelta degli orari di rientro della Processione del Venerdì, quando, a causa della pioggia, l’uscita della stessa è stata ritardata di due ore circa: ancora una volta, è stato sottolineato come il Priore si sia preoccupato di non far affaticare ulteriormente i Confratelli scartando di fatto la possibilità di accelerare, in alcuni tratti, l’andamento della Processione per recuperare del tempo.

E’ stata poi la volta del Cav. Antonello Papalia che ha voluto ringraziare tutti e raccontare come in tanti gli abbiano confidato “i desideri del profondo del proprio cuore”, quella spinta cioè che ha motivato i Confratelli a partecipare ai Riti del Giovedì e del Venerdì Santo.

Il Priore ha quindi ricordato come quei pensieri siano stai consegnati ai bambini che hanno baciato i piedi della statua di Gesù Morto, statua che è rientrata insieme a quella dell’Addolorata, in un unico simbolico abbraccio.

Un altro aspetto che è stato evidenziato, è il sacrificio di una squadra di portatori di sdanghe composta da Confratelli di altezza diversa che hanno dovuto quindi adattarsi non senza difficoltà: un'altra immagine di comunione e fratellanza, la stessa comunione di intenti che ha visto unite le tante realtà Parrocchiali.

Il Priore ha inoltre ringraziato le personalità da lui scelte che hanno accettato di portare il “Laccio” di Gesù Morto, una scelta dettata da motivazioni profonde.Infine il Priore ha volte dire il suo e nostro grazie a Don Marco per le tante belle parole spese in ogni occasione per la Confraternita.

E’ in occasioni come questa che il senso di appartenenza alla Confraternita diventa motivo di orgoglio e di speranza affinché questi sentimenti si possano estendere e trasmettere all’intera città.

venerdì 16 maggio 2014

Il mese di maggio, tradizione e pietà popolare

Antonello Battista

Il mese di Maggio è sicuramente il mese più dolce e spirituale dell'anno, perchè come tutti sanno è interamente dedicato alla Vergine Maria. Noi come carmelitani abbiamo fortemente radicato dentro di noi il carisma mariano, in particolare per la Vergine onorata sotto il titolo del Carmelo e in ogni modo è la nostra Mamma Celeste la fonte delle nostre preghiere.


Riscoprire e rifrequentare i luoghi dello spirito mariani, rafforzare i pii esercizi dedicati alla Madonna, sono cibo spirituale per la nostra vita e cemento per le mura del tempio dell' anima.


In questi giorni, provate a dedicare un' ora della vostra vita alla Vergine Maria, recitate un rosario, partecipate ad una messa in Suo onore, riscoprire la bellezza del suo amore materno, la dolcezza del suo abbraccio, la potenza delle sue preghiere.


Sin da bambino sono stato immerso nella devozione alla Beata Vergine Maria, ricordo con piacere quando mia nonna durante il mese di Maggio recitava insieme alle sue più care amiche il giro del rosario giornaliero nelle case, ero affascinato quando in concomitanza con l'inizio del mese mariano, preparava un altarino con le sacre effigie della Vergine Celeste, e con gli occhi curiosi di un bimbo, mi avvicinavo con timore a queste devote che con zelo, recitavano incessantemente gli "Ave Maria" e i "Salve Regina", ma sapevo che dietro quelle parlole e quei gesti che per me erano molto poco intelleggibili, c'era tutta la fede e l'amore con il quale delle pie donne si consacravano alla Vergine.


Ed è forse da questa fede che parte dal basso, dai piu umili, alla quale guardavo da piccolo con meraviglia, che è nata la mia passione verso la pietà popolare, perchè anche la tradizionale preghiera delle nostre nonne ed i loro antichi gesti, sono pietà popolare. Come dice la parola stessa, essa è pietà che parte dal popolo, pietà che secondo l'accezione latina del termine PIETAS significa proprio devozione, consacrazione.


Dunque consacrarsi attraverso la fede popolare, è l'essenza dei nostri Riti e delle nostre processioni, ed il popolo da sempre si affida alla Madonna affinchè accolga le sue preghiere, quindi è proprio ai piu convinti sotenitori delle nostre tradizioni; è ai tutti i nostri confratelli e alle nostre consorelle che rivolgo un invito: dedicate un pò di tempo in questo mese di Maggio alla Vergine Maria, riscoprite la bellezza del suo amore, riaccendete l'ardore della preghiera, avrete più amore anche nella vostra vita e riempirete di essenza cristiana i vostri gesti ed il vostro carisma.

mercoledì 14 maggio 2014

Sorgi Gerusalemme!

Antonello Battista
Dall'Oratorio Quaresimale del 12 aprile 2014



Commento al "Jerusaleme surge" di Vittadini

Sorgi Gerusalemme e spogliati delle vesti della gioia;
rivestiti di cenere e cilicio; 
perché in te è stato ucciso il salvatore di israele


Basilica del Santo Sepolcro a Gerusalemme
Gerusalemme, la città del popolo “dalla dura cervice”, non si cura del dolore della madre e non si rende conto delle sofferenze atroci del figlio, che in silenzio si è caricato la croce per la nostra salvezza e ha addossato su di sé i mali del mondo come vittima sacrificale per nostri peccati.

Gerusalemme, città superba, siamo noi popolo di Dio, stirpe eletta; e non ci accorgiamo di quanta sofferenza procuriamo a Cristo e alla Vergine ogni qual volta coi nostri peccati, facciamo ricadere di nuovo sulle spalle di Nostro Signore quel rigido legno della croce.

“Gerusalemme…. rivestiti di cenere e cilicio, perché in te è stato ucciso il salvatore di Israele” recita il testo del prossimo canto. La cenere, simbolo ancestrale della contrizione e del ritorno alla fredda terra, rammenta all’Uomo la sua natura mortale e deve essere per noi simbolo di un cambiamento interiore e di conversione. La superbia della nostra natura, fonte del nostro peccato, deve tramutarsi in carità e amore, per non scaraventare più, impassibili, ancora una volta addosso al Cristo, il peso della croce.

Gerusalemme, città santa, che solo pochi giorni prima avevi accolto festante Gesù come Re e Salvatore, ora sei indifferente dinnanzi alle sue sofferenze, anzi sei tu che lo hai mandato a morte, gridando: “crocifiggilo!”. E noi, popolo di Dio, eredi della Gerusalemme celeste, mandiamo a morte Nostro Signore tutte le volte che col nostro atteggiamento, ci diciamo Cristiani e spesso ce ne vantiamo proclamando la regalità del Cristo coi gesti, ma col cuore, vinti inesorabilmente dalla superbia, offendiamo, umiliamo e calpestiamo la dignità del nostro fratello, nel quale, persino nel più piccolo, dovremmo scorgere lo sguardo misericordioso di Gesù.

Gerusalemme, città di Dio, città del popolo santo - convertiti e credi al Vangelo! - unica via di redenzione e di vita eterna. Rialzati e guarda con pentimento lo sguardo dolente di Maria, Vergine e Madre, madre del mondo, madre dell’umanità, che accoglie le preghiere dei suoi figli, quei figli che han messo a morte il suo bene più prezioso.

Gerusalemme, città indolente, tu sei quell’ umanità che Lei non ha mai smesso di amare, anche quando sotto la croce, versava le lacrime più amare e disperate. 


martedì 13 maggio 2014

Taranto, culla e scenario dei nostri riti



Luciachiara Palumbo


Non la pioggia, non il freddo hanno fermato i nostri riti. Taranto si è svegliata, sorridendo, Giovedì Santo mattina nonostante quei nuvoloni coprissero il cielo. 

Dopo un anno di letargo, la città con un grosso sbadiglio ha iniziato a muoversi. E così passeggiando per le vie del centro si osservavano coloro che collocavano quei fantastici cordoni verdi ai lati, coloro che pulivano le strade e persone, grandi e piccini, intente a guardare le locandine affisse alle vetrine dei negozi. 

Mamma chi sono i perdoni?", una bimba chiedeva alla madre. Nasce spontanea una smorfia di felicità perche si nota come anche i bambini partecipino alle nostre tradizioni e come i genitori si preoccupino di tramandarle. All'ora di pranzo vuoto, silenzio e pace, tre elementi preparatori per il gran fervore che ci sarà dopo. 

Dalle 15, dal rumore del portone della Chiesa del Carmine che si apre, tutto ha inizio. La bellezza della nostra città, le luci dei lampioni nella notte e quel poco di sole, che ogni tanto spunta da qualche nuvola durante il giorno, sono una costante essenziale per la nostra Settimana Santa. 

Non è solo l'enorme teatro che ci ospita a rendere emozionante il tutto ma è anche e soprattutto l'affetto e il calore che i cittadini riservano all'evento e ai turisti, che curiosi vogliono assaporare uno stralcio di storia pugliese, uno stralcio di storia cristiana. I mille colori degli ombrelli assiepati alle transenne, i tantissimi cappucci calati sulla testa per sconfiggere quella crudele pioggia, manifestano che un rito come questo non può essere solo folklore ma anche amore, fede e devozione. 

Una tradizione svuotata del suo senso più profondo non può accogliere così tante persone, non può destare lo spavento e la preoccupazione di tutti nel momento in cui si assiste esterrefatti all'indietreggiare del troccolante sulla soglia della porta… E se il clima ha bloccato molta gente giovedi e venerdì, quando sabato mattina il sole è spuntato in tutto il suo splendore, piazza Carmine era un bagno di folla, che a stento lasciava spazio ai confratelli e consorelle partecipanti alla processione. 

Ma è questo il bello dei nostri riti, essere abbracciati dal chiasso, dal pianto e dalla commozione di una città che implora e supplica quel Gesù morto e quella Mamma Addolorata perché ci sia pace, perché ci sia gioia in un mondo di dolore e sofferenza. E quando così bruscamente ci viene chiuso il portone alle spalle…. non c'è più nulla. Quel silenzio e quel vuoto mostrano una terra a lutto per la morte della Vita e un'attesa per la Resurrezione di un popolo.

lunedì 12 maggio 2014

Ricordo di una Settimana Santa, tra pioggia, preghiera e speranza.

Mattia Giorno 

È ormai consuetudine dei confratelli ribadire l’incertezza delle condizioni climatiche nel periodo della Settimana Santa. Un’usanza non del tutto errata, direi, dato che anche quest’anno, più del solito, il tempo si è reso complice tenebroso della Passione di nostro Signore. 

Chi di noi non ha pregato affinché il tempo fosse clemente? Chi di noi non ha avuto timore nella possibilità di una pioggia continua? Chi di noi non ha emesso un sospiro di rammarico nel vedere il portone richiudersi innanzi al troccolante mentre, la banda Lemma, interrompeva l’esecuzione di “A mio padre”?

Tutti noi, aggiudicatari e non, abbiamo temuto, pregato e sperato che la pioggia cessasse per dar finalmente inizio alla tanto attesa processione dei Sacri Misteri. Era dal lontano 1992 che i Misteri non tardavano nell’uscita a causa del maltempo. Era dal 1992 che, proprio a causa del maltempo, i Misteri non rientravano in tarda mattinata con le splendide ombre dei simulacri sull’asfalto. Era dal 1992 che i confratelli non provavano simili emozioni di sconforto seguiti da gioia ed ammirazione per l’atmosfera creata dagli effetti solari.

Anche i vangeli ci ricordano come, prima della morte di Gesù, si fece buio su tutta la Terra. Le tenebre vinsero la luce, il velo del tempio si squarciò e catastrofi naturali si abbatterono sull’umanità colpevole di aver messo a morte il proprio Dio. È proprio pensando a tutto questo che sento dentro me una voce domandarmi: “che Settimana Santa sarebbe senza la pioggia?” La mia mente si sforza per cercare un ricordo di una Settimana Santa avuta con il bel tempo, senza quelle nuvole incerte, senza la pioggia e senza quel vento a volte anche gelido. Dal mio primo anno di aggregazione alla famiglia del Carmelo, e dalla mia prima esperienza di Settimana Santa, ho sempre avuto la fortuna di trovarmi con il tempo incerto, se non proprio con la pioggia. Voi direte: “fortuna?” Ebbene si, fortuna! Nonostante l’asfalto bagnato, nonostante la difficoltà di aderenza al suolo e nonostante la possibilità di rovinare la mozzetta con il nastro del cappello, direi che la pioggia ed il maltempo sono ormai parte viva e consolidata di questa tradizione.

Proprio quest’anno, in cui assieme abbiamo vissuto quei tristi momenti di dubbio, ho avuto la fortuna di partecipare per la prima volta alla processione dei Misteri e, non vi nascondo, il mio timore nella possibilità di non uscita della processione. Non vi nascondo nemmeno la paura ancor più grande di dover uscire e poter trovare pioggia durante il percorso. Non vi nascondo la gioia che ho avuto nel mettere i piedi sul marmo bagnato, pensando proprio al momento della morte di Gesù. Lui, il re dei re, morto in croce per noi in un giorno buio, freddo e tenebroso; noi, peccatori penitenti, a piedi nudi, per ricordarlo e soffrire con Lui in un giorno buio, freddo e piovoso.

Un accomunarsi di fattori che ponevano sempre più dentro me la certezza dell’amore di Dio per noi e la sicurezza che un domani, grazie a quel sacrificio, il nostro Dio ci donerà la salvezza eterna.

Vi confesso che mentre sono qui, seduto dietro la mia scrivania a scrivere questo articolo, mi scende qualche lacrima. Non sono solo lacrime di tristezza date dal profondo senso di nostalgia, ma anche lacrime di gioia, scaturite dal senso di orgoglio nell’appartenenza alla nostra Confraternita che, ogni anno, continua a darci la possibilità di poter servire il Signore, dal momento della Sua concezione sino a quello della Sua morte e passione. 



A tutto ciò non mi resta che aggiungere un ringraziamento per quanto è stato di questa Settimana Santa, in particolar modo al Priore, al Padre Spirituale, al Consiglio ed ai collaboratori. Esprimo inoltre un ringraziamento a tutti i confratelli e le consorelle che hanno contribuito per la realizzazione di “NazzecanneNazzecanne” ed a tutti coloro che, puntualmente, sono presenti per onorare quel voto di servizio fatto alla nostra Beata Vergine del Carmelo, sacrificandosi e cercando di dare sempre il meglio di sé in tutto. Prosit fratelli!

domenica 11 maggio 2014

S.E. mons. Filippo Santoro: Discorso nella solennità del Santo Patrono Cataldo

10 maggio 2014
Balcone del Carmine


fonte: Sito dell'Arcidiocesi di Taranto


Care sorelle e cari fratelli,
ci ritroviamo a sperimentare nella solennità del nostro Patrono, San Cataldo vescovo di Taranto, la Gioia del Vangelo. È una gioia che nasce dall’annuncio ricevuto dalla testimonianza di questo nostro grande padre; annuncio che si manifesta nella sua protezione e nella nostra devozione popolare. La gioia nasce dal fatto che ci sentiamo parte di un popolo, amato e salvato a prezzo del sangue di Gesù, l’unico e grande Pastore buono.

Dobbiamo, cari tarantini, esprimere grande gratitudine all’azione creativa dello Spirito di Dio, che nella bimillenaria storia della nostra Chiesa locale ha suscitato in ogni angolo della diocesi espressioni della fede, che continuamente ricordano a ciascuno che la Chiesa è viva, perché è chiamata a trasmettere, a testimoniare la fede, anche con gli atti semplici ed evocativi delle nostre processioni. Alle processioni si devono unire le testimonianze della carità, l’accoglienza e l’attenzione a chi è più colpito dalla crisi che attraversiamo.

La pietà popolare, infatti, manifesta una sete di Dio che solo i semplici e i poveri possono conoscere e che rende capaci di generosità e di sacrificio fino all’eroismo, quando si tratta di manifestare la fede e di testimoniarla attraverso la carità.

Papa Francesco, attingendo a piene mani nei documenti dei suoi predecessori e nel documento di Aparecida, parlando della pietà popolare la descrive come «spiritualità popolare» o «mistica popolare». Si tratta di una vera spiritualità incarnata nella cultura dei semplici. Così oggi, seguendo il nostro santo Patrono, pratichiamo un modo legittimo di vivere la fede, un modo di sentirsi parte della Chiesa, e di essere missionari; testimoni fattivi della speranza. Chiediamo a San Cataldo la grazia di essere, di uscire da noi stessi e di essere veri compagni di viaggio dei nostri fratelli

Il partecipare a queste manifestazioni della pietà popolare, portando con sé anche i figli o invitando altre persone, come voi avete fatto oggi, assiepandovi lungo le vie di Taranto Vecchia e del Borgo, è in sé stesso un atto di evangelizzazione. Noi oggi, con il nostro peregrinare, affermiamo con semplicità che vogliamo bene a Cristo, che vogliamo bene a San Cataldoe vogliamo nene a Taranto.

Una fede che si abbandona fiduciosa non è meno teologale di altri modi di vivere la propria fede. Anzi. Proprio il papa ci incoraggia ad avvicinarsi a questo modo di comprendere la fede dei poveri, la fede che cerca senza tregua di amare.
Questa è la domenica cosiddetta del Buon Pastore, in tutte le chiese del mondo dalla messa vespertina di oggi e in quelle di domani, risuonerà uno dei salmi più belli. Il Salmo 22 che ci fa pregare con una fede che si abbandona e che allo stesso tempo, rischia perché, cari fratelli, una fede che non azzarda, non è una fede autentica, perché essa è farmaco di speranza, di fiducia e soprattutto di coraggio e di audacia. Non possiamo rimanere a guardare le difficoltà, ci dobbiamo buttare nella mischia per superarle, con la grazia di Dio e con l’impegno di tutti.
Preghiamo quindi con il  salmista:
Anche dovessi andare per una valle oscura,
non temo alcun male, perché tu sei con me.
Il tuo bastone e il tuo vincastro mi danno sicurezza.

Il credente non arretra di fronte a nessuna difficoltà, anche se il mondo intorno a noi non sembra cambiare, se le difficoltà, come un cerchio stringente ci scoraggiano perché sembrano lontane e sconosciute vie di risoluzione ai nostri molteplici problemi, noi non dobbiamo «dare tregua a Dio» e nemmeno agli uomini, nella preghiera e nell’impegno comune.

Pregheremo senza mai stancarci, pregheremo Dio e pregheremo anche gli uomini! Sollecitandoli, appellandoci alle coscienze. Non ci stancheremo di visitare, di interpellare tutti quelli che, anche nel potere centrale, hanno un grande debito con la città di Taranto.

Nei festeggiamenti del Patrono non possono non essere presenti tutte le emergenze della nostra città; l’indifferenza non ci tenti e né ci colga, la rassegnazione. Abbiamo un’arma che ci è data nel nostro sistema democratico: il voto. Usiamolo bene ed usiamolo con coscienza.
In ogni angolo della città spuntano presidi di protesta che scongiurano licenziamenti. Pensiamo a quelle famiglie. Il loro dramma non può non interessarci. Non si può andare avanti“ammortizzando” le situazioni lavorative, bisogna cambiarle. E’ ora di ricostruire. Con urgenza e lungimiranza, non solo per salvare l’esistente o appena il proprio interesse. Con una visione ampia, aperta al vero bene di Taranto nelle sue molteplici risorse senza fossilizzarci in un solo aspetto.
Ho fiducia che Dio ci aiuterà a rialzarci, perché siamo tutti qui che professiamo la nostra fede e la nostra fede è vera se è impegnata, è vera se è solidarietà.
Penso e prego sempre più per l’emergenza salute e ambiente; lavoro e occupazione; poi al degrado urbano e alla Città vecchia che è il cuore della nostra storia. Passando per le nostre strade ho benedetto i negozi e con loro la piccola e media impresa perché ci sia anche in questo campo una ripresa tra noi. Ho benedetto tanti bambini che sono accorsi festanti e che sono il nostro futuro.

Tocca a noi trasmettere la Risurrezione facendo quotidianamente rinascere il mondo intorno a noi. Congiungiamo sì le mani in preghiera, ma con le maniche rimboccate!
Nel discorso di consegna del simulacro del santo al Sindaco di Taranto, ho chiesto indirettamente a tutti i cittadini un atto di amore per la città, ispirato dal servizio evangelico.
Il servizio che nasce dal Vangelo, non è frutto di sottomissione e di schiavitù, ma di amore, di amore che si dona, di amore che non antepone nulla alla persona che ama. L’amore evangelico va liberandosi ogni giorno da qualsiasi forma di egoismo. Il ruolo della chiesa tarantina continuerà ad essere quello di tessere relazioni e attenzioni perché sia rispettata la dignità della persona, la vita, la famiglia, l’educazione delle nuove generazioni e, particolarmente l’attenzione ai più bisognosi, e di stimolo perché tutti abbiano voce e ascolto.

Il pensiero conclusivo vorrei mutuarlo dalla metafora della vita del nostro Patrono, perché mi sorprende sempre la modernità dei santi. Sì perché San Cataldo è un santo europeo, probabilmente naufrago sulle nostre coste. Accogliamo con generosità i rifugiati e i profughi e dopo viaggi di stenti giungono sulla nostra terra. E ancora una volta preghiamo per il ritorno dei nostri due marò in patria.

L’accoglienza, l’apertura dei tarantini, scaturite essenzialmente dalla loro cattolicità, può trasfigurare ancora una volta Taranto a partire dalla morale e dalla fede e dalla operosità dei suoi cittadini in un cammino comune.
Voglia San Cataldo rinnovare il suo prodigio e infonda a questa Città il coraggio del rischio e l’audacia di voler cambiare le cose secondo il cuore di Cristo.

Una buona festa per tutti!


mercoledì 7 maggio 2014

Ave Maria gratia plena!

Olga Galeone
Dall'Oratorio Quaresimale - Chiesa del Carmine, 12/4/2014


Commento all'Ave Maria di Caccini (Vavilov)


Il testo del brano che sarà ora eseguito, attribuito a Giulio Caccini, in realtà composto dal liutaio russo Vladimir Vavilov, è solo questo: Ave Maria. 

"Ave o piena di Grazia, il Signore è con te"
Con queste parole l'angelo apparso alla giovane Maria la saluta e le annuncia che darà alla luce il figlio di Dio. Con la risposta di Maria, con il suo "sì" hanno inizio i Vangeli, ha inizio l'incarnazione di Dio. Questo "sì" ha un'importanza enorme perché ci manifesta il rispetto del Signore per la libertà dei suoi figli. 

Immagine: Luisa Marturano
Il Padre Santo ha un piano per l'umanità, ha un piano per ognuno di noi; ci indica la via, poi ci lascia liberi di scegliere, non impone. La decisione libera di Maria fa attuare il progetto divino, Ella si abbandona alla volontà di Dio: "si faccia in me secondo la tua parola". Ed è volontà di Dio che Gesù, il figlio unigenito, nasca per morire e muoia per risorgere, affinchè noi possiamo vivere eternamente nella sua luce.  Nella nascita del Cristo è insita la passione, la morte in croce e la risurrezione. 
Il Dio onnipotente si fa piccolo e nella passione diventa uomo dei dolori per tornare maestoso dopo aver vinto la morte. Senza la sua agonia nessuno avrebbe potuto essere salvato, la vittoria finale del Signore ci svela il senso definitivo delle prove. 

La nostra bellissima statua dell'Addolorata è stata posizionata sull'altare maggiore proprio come ce la immaginiamo sul Golgota, ai piedi della croce. Tra le lacrime guarda il suo amato figlio al culmine della sofferenza umanamente sopportabile, il suo cuore è straziato ma la sua fede è incrollabile ed accetta anche il modo in cui Dioha scelto di realizzare la liberazione e la salvezza tramite il sacrificio più estremo, quello del proprio Figlio. Ha avuto fede in Dio prima di concepire il Figlio e ha avuto fede in Gesù che ha portato in grembo e lo ha seguito fino al Calvario, fino alla salvezza. Nonostante il suo ruolo privilegiato lei stessa si definisce un'umile serva del Signore, una di noi, ma se guardiamo la sua vita diremmo molto più di noi. 

E' un esempio da seguire e imitare nel nostro personale cammino di fede. Mettiamoci dunque davanti a Maria con un atteggiamento di profonda gratitudine ed ammirazione. Il suo sì impegna anche noi ad una più generosa adesione alla volontà del Padre.


martedì 6 maggio 2014

Il mio pellegrinaggio

Claudio Capraro 

Un giovedì Santo differente da quello degli ultimi anni. In pellegrinaggio agli altari della Reposizione, ma con le scarpe ai piedi ed a volto scoperto. 

Il mio personalissimo giro è cominciato da San Francesco di Paola, nel momento esatto in cui iniziava la celebrazione della Messa in Coena Domini. Subito, entrando ho potuto vedere l’allestimento dell’altare: un grande faro con al centro il Santissimo e dal quale faro si irradiavano raggi. Un faro verso il quale volgere lo sguardo e da non perdere mai di vista; che ci indica sempre la strada verso la salvezza, una luce amica per chi va per mare o per terra, anche oggi nell’era della navigazione strumentale e una luce amica nella nostra esistenza. 

Era ancora presto e al termine della funzione, i pellegrini a piedi nudi li ho potuti incontrare solo a metà di via Di Palma e guardando i loro camici svolazzanti al vento, le loro mani che serravano i bordoni, i medaglieri che sbattevano sulle gambe ho rallentato il passo accanto alle poste che percorrevano la strada in senso contrario al mio. Mi sono mancati quei momenti, quello stare spalla a spalla con il mio compagno.

Proseguendo sono arrivato al Santuario del Santissimo Crocifisso, luogo fondamentale nella mia vita; qui la funzione era cominciata più tardi rispetto a San Francesco, e il Sepolcro era rappresentato da un’alta torre al centro della quale trovava posto il Santissimo Sacramento.

Dopo l’abbondante pioggia del mattino, il cielo si era aperto, ma il vento soffiava forte, lo si vedeva già da lontano guardando il tricolore a mezz’asta in segno di lutto sul castello aragonese, e per attraversare il ponte girevole bisognava coprirsi bene, ma una volta superate le colonne doriche ci si poteva riparare in via Duomo, dove dall’altare della chiesa di San Michele la Vergine Immacolata guardava e benediceva i suoi cittadini che Le transitavano davanti. E riecco loro, in fila indiana, diretti alla Cattedrale. Dai balconi, dai negozi, ogni cento metri o poco più, delle casse stereo inondavano la via Maggiore delle note delle marce funebri e loro, spalla contro spalla lì a nazzicarsi. Al Duomo la messa dell’Arcivescovo era ancora in corso e ci si poteva attardare un po’. Il segnale che la funzione fosse terminata lo si è avuto quando incontro è arrivata la processione formata dai confratelli e le consorelle della Confraternita di Santa Maria di Costantinopoli sotto il titolo dei Santi Medici Cosma e Damiano. La troccola davanti a tutti e dopo i confratelli in mozzetta verde e le consorelle con l’abitino, il Santissimo condotto dal Sacerdote e protetto dall’ombrellino; dietro i fedeli.

La prima posta città vecchia ha potuto fare il suo ingresso in Cattedrale, mentre la folla che premeva sulla scalinata che porta al Cappellone veniva fatta aprire per poter far passare i pellegrini del Carmine. L’odore della cera delle candele, l’inteso profumo di fiori freschissimi e l’incenso da poco asperso, conferivamo come ogni anno una fragranza inconfondibile a quel luogo. Sull’altare il Santissimo in primo piano era ciò che gli occhi prima di ogni cosa potevano scorgere. 

Uscito dal Duomo e proseguendo nel cammino, eccomi a San Domenico. Si stava facendo buio e sul ballatoio il vento soffiava freddo da mar grande. Qui l’altare della Reposizione, risaltava per il color rosso vermiglio dei velluti; al centro l’ostensorio ornato da una raggiera d’oro, le candele, i fiori ed i confratelli dell’Addolorata di picchetto. Alla destra, pronta per il pellegrinaggio alla ricerca del Suo Figlio, la Mamma Addolorata riceveva le preghiere dei fedeli.

Le poste del Carmine intanto salivano dalla scalinata a destra e scendevano da quella opposta, mentre i fedeli stavano già accaparrandosi i posti migliori sul pendio. Giù fino a piazza Fontana, dove ho potuto accorgermi che fino a quel punto non avevo incontrato bancarelle varie: di carne, di bevande o di altro. E con passo più lento che rispetto a quando ero partito da via Regina Elena, eccomi arrivato a San Giuseppe: schiere di angeli in adorazione del Santissimo in una immagine classica. I banchi erano stati eliminati in modo che i perdoni ed i fedeli avessero maggiore spazio.

Terminato il giro in città vecchia e lasciando alle spalle le poste di confratelli, dopo essere passato a rendere visita alla casa natale di Sant’Egidio e aver riattraversato il ponte, eccomi a San Pasquale Baylon. Il sepolcro era stato allestito non sull’altare maggiore, ma a sinistra dello stesso; campeggiavano il bianco ed il gialle mentre due angeli adoravano l’ostensorio posto su delle nuvole.

In piazza Carmine, il vento soffiava forte attraverso via Massari. La banda suonava e in attesa delle poste dei due pellegrinaggi; le poste fisse erano in adorazione al Santissimo posto sulla più grande di tre colonne che componevano la scenografia. Una delle altre due colonne era quella alla quale è legato Gesù e che sarebbe uscita in processione il giorno successivo. Nei giorni passati più di qualche curioso si era chiesto dopo l’Ecce Homo e Cristo all’orto, se e quale statua sarebbe stata posta quest’anno nel sepolcro. Le domande avevano trovato una risposta.



Erano trascorse oltre sei ore da quando era cominciato il mio “pellegrinaggio” 2014. Potevo riprendere a ritroso la strada di casa per andare a riposarmi in attesa di ciò che mi aspettava il giorno successivo. Con le scarpe ai piedi e con un giaccone a ripararmi dal freddo, avevo comunque trascorso delle ore in compagnia dei miei fratelli. Osservandoli, sistemando loro ora lo scapolare, ora la mozzetta. Liberando la strada davanti a loro da qualche piccolo ostacolo che sotto i piedi nudi può diventare parecchio fastidioso. Sentendomi richiamare da qualche posta con il bordone fatto urtare per terra per un saluto ed un augurio. 

lunedì 5 maggio 2014

Il legame del cuore: il Priore Vecchi ospite di Casa Confraternita

Luca Tegas

Il cammino della Confraternita del Carmine verso la Settimana Santa appena trascorsa è stato ricco di occasioni di incontro, approfondimento e preghiera per tutti, confratelli e non. 

Tra gli appuntamenti più attesi e vissuti dai confratelli, quelli di Casa Confraternita. Incontri intimi e familiari nelle quali è stato possibile ascoltare e discutere di aneddoti e vicende legate alla storia dei nostri riti.

Mercoledì 04 aprile, ospite di Casa Confraternita, è stato il Priore della Confraternita di Maria SS. Addolorata e S. Domenico, Raffaele Vecchi che ha sviscerato, in maniera attenta e scrupolosa, l’ostico tema del “Legame del Cuore”.

Il Priore, subito dopo i saluti, richiamando l’intervento del nostro Priore Papalia, ha evidenziato come le nostre due confraternite siano due entità distinte, due enti e due famiglie diverse. Ma a questa divisione, si contrappone un cammino comune e “parallelo” che le congreghe devono percorrere per il raggiungimento di un comune obiettivo, anche se a volte sono oggetto del facile bersaglio delle malelingue.

Due entità divise quindi, ma allo stesso tempo legate da un Cuore. È il cuore della Vergine Addolorata che entrambe le confraternite gelosamente custodiscono e adorano. Non solo. Vecchi sottolinea come quel Cuore rosso fuoco sia: “…l’ausilio dei cristiani, il nostro rifugio di confratelli devoti, il terminale delle nostre suppliche con la certezza di ottenere misericordia e di ricevere grazie…al cuore di Maria ci siamo affidati tutti e ad esso ci consacriamo soprattutto in un momento storico come questo in un mondo straziato da discordie.”

L’intervento si è poi soffermato su dei brevi cenni storici relativi alla devozione a Maria Addolorata, ricordando come il culto si sia sviluppato intorno alla fine del XI secolo. Ma è più precisamente il 15 agosto 1233, con l’istituzione della compagnia di Maria Addolorata ad opera di 7 devoti nobili fiorentini, che ha inizio la storia della devozione all’Addolorata. Altra data importante è quella del 9 giugno 1668; è in questa data infatti che all’Ordine viene concessa la celebrazione della messa votiva dei Sette Dolori della Beata Vergine e il riconoscimento degli abiti neri e della raffigurazione del cuore trafitto.

Ecco che quindi quel cuore trafitto dai 7 dolori diviene sede delle speranze cristiane e rifugio di 7 doni: il dono del timore, che pervade il cuore di Maria all’annunciazione dell’angelo; il dono della fortezza, che risiede nell’insegnamento del completo affidamento di Maria alla volontà del Signore; il dono della pietà, che Maria manifesta nei confronti della cugina Elisabetta; il dono del consiglio, Maria durante le nozze di Cana consiglia, infatti, ai servitori di assecondare le parole di Gesù, e il miracolo fu compiuto; il dono della scienza, il cuore della Madonna trasuda di scienza; gli ultimi due doni sono quelli dell’intelletto e della sapienza che servono a far convergere la nostra fede verso la volontà di Dio.

Sono questi sette doni, che quel Cuore racchiude, a permetterci di affrontare le difficoltà e i dolori di ogni giorno.

Il Priore Vecchi ha poi chiuso il suo accurato e sentito intervento, sottolineando come le confraternite abbiano oggi, come ieri, il compito di testimoniare quanto meraviglioso sia il Vangelo, aiutate e sorrette dal Cuore dell’Addolorata.

Mi preme, in ultimo, sottolineare il breve intervento di chiusura Don Marco che ha messo in risalto l’ottimo operato dei due Priori, esempi di un laicato cattolico intelligente che ragiona sulla propria fede. Ma non solo. Don Marco ha poi esortato tutti noi confratelli a “conoscere”, conoscere e riflettere per difendere le nostre tradizioni, perché la tradizione va difesa conoscendola a fondo in ogni sua sfaccettatura e non solo sbandierando il sentimentalismo.
Copyright © 2014 Alessandro Della Queva prove