venerdì 31 ottobre 2014

Halloween

Antonino Russo 


Santa Messa domenicale, ore 11, momento che precede la benedizione finale.

Il parroco chiede ai bambini del catechismo cosa si festeggia giorno 1 novembre.

“Non il 31 Ottobre, attenzione bambini”.

Silenzio imbarazzante.

Ecco in poche parole cosa accade a lasciare spazio a feste neopagane come halloween: nel nome del consumismo vengono cancellate ricorrenze cristiane come la festa di Ognissanti istituita ufficialmente da Papa Gregorio IV nell’840 ma già citata nel 407 in una omelia di Giovanni Crisostomo e da Efrem Siro nel 373.


Perdiamo tempo e soldi a comprare ai nostri figli costumi carnevaleschi di pessimo gusto ispirati a mostri, streghe, diavoli, ma probabilmente non abbiamo mai raccontato loro la vita del Santo o della Santa di cui portano il nome (sperando che non sia il nome di un profumo, non me ne voglia qualche calciatore).

Le origini di Halloween sono incerte ma ricollegabili alla festa celtica di Samhain, “fine dell’estate” e sono strettamente legate alla magia, alla stregoneria e al satanismo.

Etimologicamente All-Hallows-Eve significa notte prima di Ognissanti.

Nel corso dei secoli, questa festività pagana si è diffusa in diverse forme in tutto il mondo e, ovviamente, nella sua incarnazione consumistica, anche in Italia.

Padre Gabriele Amorth, uno dei più famosi esorcisti riconosciuti dal Vaticano, afferma “Festeggiare la festa di Halloween è rendere un osanna al diavolo. Il quale se adorato anche soltanto per una notte, pensa di vantare dei diritti sulla persona”.

Qualcuno penserà che non ci sia nulla di male a far andare in giro i bambini a chiedere “dolcetto o scherzetto”.

In realtà “trick or treat” significa anche “sacrificio o maledizione”.

Anche una tradizione dei primi cristiani era quella di girare per i villaggi chiedendo un dolce chiamato “pane d’anima”: più dolci ricevevano e maggiori erano le preghiere rivolte ai defunti del donatore. Si capisce bene che il senso è completamente diverso!

Non è un caso che la Chiesa festeggi tutti i Santi (Sollemnitas Omnium Sanctorm) giorno 1 Novembre mentre il 2 Novembre festeggiamo i nostri cari defunti (Commemoratio Omnium Fidelium Defunctorum): siamo tutti chiamati alla santità e i primi Santi sono i nostri defunti.

I nonni, i genitori, tutti coloro che hanno lasciato una scia di luce nostra vita.

Luce quindi e non tenebre.

La scuola dovrebbe aiutarci in questa riscoperta delle nostre origini. Le parrocchie dovrebbero scoraggiare i festeggiamenti di halloween e promuovere magari feste come quella di tutti i Santi.

Piuttosto che svuotare le zucche, cerchiamo di riempire i nostri cuori e quelli dei nostri figli della Parola di Dio: siamo Luce del mondo!

giovedì 30 ottobre 2014

Sulle orme di un Santo - L'anniversario della visita di Papa Giovanni Paolo II a Taranto

Mattia Giorno

“Occorre rendere attuale la memoria del passaggio di questo grande santo. Giovanni Paolo II è stato profeta in questa terra di Taranto. C’è da rimanere stupiti di come il papa di allora abbia fotografato con lucidità e lungimiranza le potenzialità e le criticità.

La salute, l’ambiente, il lavoro, il valore dell’artigianato, le piccole imprese, la pietà popolare, i giovani sono i temi di quella raccolta di discorsi pronunciati in terra ionica che all’indomani della visita del papa polacco furono raccolti sotto il nome di ‘Enciclica Tarantina’.

Desidero che, con sobrietà ed efficacia riviviamo i momenti di quel viaggio pontificio a Taranto, per verificarne i frutti e renderne presente l’evento come fonte di ispirazione e di speranza”.


Con queste parole il nostro amato arcivescovo, Mons. Filippo Santoro, ha aperto le attività in merito alla commemorazione della venuta di Giovanni Paolo II a Taranto, risalente al 28-29 ottobre 1989.

Proprio per questo, lo scorso 28 ottobre, alcuni di noi hanno preso parte all’iniziativa svoltasi presso l’auditorium Tarentum, per ripercorrere le tracce della visita del Papa a Taranto.


All’interessante dibattito hanno preso parte, oltre che il nostro arcivescovo, il cardinal De Giorgi, il quale all’epoca della visita del Santo Padre era arcivescovo della nostra città, il vicario generale Mons. Alessandro Greco, il vicario per la nuova evangelizzazione Mons. Franco Semeraro e lo storico prof. Vittorio De Marco.

L’elevato numero dei presenti all’evento ha dimostrato come ci sia ancora, da parte della cittadinanza intera, un forte ricordo di quello che fu il passaggio di San Giovanni Paolo II a Taranto. Momenti indimenticabili per la nostra città che sono stati riportati alla mente di tutti con fervore ed entusiasmo da sua eminenza durante la serata. Egli ha infatti raccontato i passaggi salienti dell’organizzazione dell’evento ed anche i momenti più interessanti della visita del Sommo Pontefice a Taranto. Tutti noi conosciamo la grandezza e l’umiltà di Giovanni Paolo II, per questo possiamo già immaginare come, durante la Sua visita, il Papa abbia più volte cambiato itinerario per restare vicino ai fedeli, in particolare ai lavoratori dell’allora Italsider. Il cardinal De Giorgi ha inoltre ricordato come Taranto, in quei due giorni, fosse più bella che mai e come tutta la cittadinanza abbia collaborato per l’eccellente riuscita dell’evento.

In seguito all’intervento del cardinale ha preso la parola il docente di storia contemporanea presso l’Università del Salento, il prof. Vittorio De Marco, il quale ha illustrato con linearità e precisione il quadro storico del periodo in cui il Santo Padre venne a Taranto. Un intervento breve ma ricco di preziosi passaggi che ha di sicuro chiarito, sotto chiave storica, i momenti più importanti del papato di Giovanni Paolo II e di tutto il territorio pugliese.

Chiuso questo preambolo storico, siamo entrati nel vivo della serata, ascoltando tratti delle omelie che il Papa tenne a Taranto. Queste, definite poi con il titolo di “Enciclica Tarantina”, sono state lette e commentate dal vicario per la nuova evangelizzazione, Mons. Franco Semeraro. Don Franco ha saputo coinvolgere la platea facendogli vivere nuovamente, e con la stessa emozione di allora, le parole che il Papa pronunciò al popolo tarantino. Parole attuali, concrete ed a volte allarmanti, poiché già venticinque anni fa Giovanni Paolo II lanciò l’allarme per la difficile convivenza dell’ambiente con il lavoro.

“Più attuali che mai”, così il nostro arcivescovo le ha commentate poco dopo nel discorso conclusivo, mostrando come le parole del Santo siano ancora oggi concrete ed adatte a descrivere la difficile realtà della nostra città. Il nostro arcivescovo ha infine lasciato tutti noi con un forte messaggio di speranza, perché la commemorazione della visita del Sommo Pontefice sia di buon auspicio per il futuro. Egli ha infatti ricordato che in un momento difficile come fu il 1989, il Papa ha edificato nella nostra città la base per creare un futuro migliore di amore, carità e condivisione; così noi oggi siamo chiamati e fare un salto di qualità e seguire San Giovanni Paolo II verso la santità.

Vorrei terminare questa riflessione raccontandovi un aneddoto che il nostro vescovo ci ha svelato. La mattina del 29 ottobre 1989, il papa si svegliò di buon mattino per le sue preghiere. Quel giorno faceva caldo e così il Papa decise di recitare il breviario affacciato al balcone della sua stanza, osservando il mare che egli aveva di fronte. La testimonianza di chi lo andò a chiamare narra di come il Papa fu visto completamente catturato dallo splendore del mare e della nostra città, motivo per cui ha successivamente esortato i fedeli tarantini a collaborare e sperare senza mai arrendersi per creare migliori aspettative per Taranto.


Concludo ponendo alla vostra attenzione un elogio che, nel mezzo dei suoi discorsi, il Sommo Pontefice tenne a difesa ed ammirazione delle tradizioni, perché siano sempre salvaguardate e custodite nella certezza della loro utilità, ossia quella di essere promotrici di fede e conforto per tutti i fedeli.

mercoledì 29 ottobre 2014

1979

Claudio Capraro 

L’anno precedente era stato un anno terribile sotto molti punti di vista; il 16 marzo del 1978 fu rapito Aldo Moro e furono trucidati gli agenti della sua scorta. Ognuno di noi, indipendentemente da quanti anni avesse nel 1978, ricorda dove era e cosa faceva quando apprese quella notizia. Chi sui banchi di scuola, chi al lavoro, chi al mercato, ognuno a distanza di anni conserva nitido quel ricordo. Quel 16 di marzo era un giovedì, più esattamente era il giovedì della settimana di passione e quindi la domenica successiva era la domenica delle Palme, l’inizio della nostra settimana Santa.

Le cronache di quei giorni erano piene dei resoconti relativi al rapimento dello statista democristiano, anche nelle pagine locali molti degli articoli riportavano i commenti delle forze cittadine. Venendo a ciò che ci interessa, tra le varie cose degne di nota, leggiamo sempre dalle pagine del Corriere del Giorno un articolo a firma di Riccardo Catacchio che fa una dura requisitoria a proposito delle somme offerte nel corso delle Gare ed una ulteriore relativamente ai criteri di scelta dei cavalieri che reggeranno il laccio di Gesù Morto nel corso della processione dei Misteri. Nei giorni successivi a tale articolo, con una sua lettera risponderà il priore Solito, ma la controreplica di Catacchio dimostrerà scarsa ricettività nei confronti delle tesi del priore.

Ma prima di arrivare al ’79, che sarà un anno importante per i nostri riti per diversi avvenimenti che adesso vedremo, ci sarà sul finire del 1978 un ulteriore fatto che porterà cambiamenti sostanziali, che determinò all’epoca dibattiti a fiumi e che fu indotto probabilmente anche dalla pressione che articoli come quello di Catacchio avevano avuto nei palazzi della Curia tarantina.

Il 7 novembre 1978, dal palazzo Arcivescovile, viene indirizzata una lettera a firma dell’Arcivescovo Monsignor Guglielmo Motolese, destinatari il padre Spirituale ed il priore della Confraternita del Carmine: Mons. Luigi Liuzzi e l’Avv. Cosimo Solito. Per il momento ci soffermiamo sulla prima parte della comunicazione che concerne la settimana Santa, riservando ad un secondo momento la parte successiva riguardante i festeggiamenti della Titolare. Scrive il Vescovo: “Richiamandomi a precedenti verbali, direttive, invito codesta Confraternita ad attuare la disposizione che proibisce l’asta dei Misteri nella chiesa del Carmine. L’asta è per ora tollerata, ma non si può più tollerare che tale manifestazione si svolga in chiesa.”

Diverse cose di evincono da questa missiva: come apprenderemo leggendo i giornali dell’aprile dell’anno successivo una comunicazione di pari argomento dovette riceverla anche l’altra confraternita, quella dell’Addolorata perché anch’essa dovette spostare il luogo della gara. Poi nella lettera si parla di “precedenti direttive” e si invita la Confraternita ad “attuare la disposizione che…” vuol dire che la Curia Arcivescovile si era già espressa affinché la confraternita spostasse l’asta dalla chiesa in altri luoghi, ma che evidentemente la stessa confraternita fino ad allora aveva preso tempo. Ancora, Mons. Motolese scrive che la stessa asta è “per ora tollerata” quindi torniamo ad un ulteriore argomento che si presenta ciclicamente e che riguarda il metodo di aggiudicazione; evidentemente però ogni volta che si è cercato di correggere tale sistema si è sempre arrivati alla conclusione che alla fine, per quanto perfettibile, era ed è il migliore possibile. In ogni modo, passato un primo momento di “sbandamento” quasi la totalità degli iscritti furono concordi sull’opportunità che le gare non si svolgessero più in chiesa ma altrove.

Arriviamo quindi alle cronache dei giorni che vanno dall’otto aprile, domenica delle Palme, sino al 15 giorno di Pasqua di Resurrezione. Che anno era per noi tarantini quel 1979? Cosa scrivevano le cronache, cosa facevamo, come vivevamo? I giornali di quei giorni riportano un appello per il recupero della Cripta del Redentore (uno dei gioielli di questa città) e si chiedono quale sarà il futuro della caserma Rossarol (anni dovranno passare…). Un differente articolo lamenta la scarsa utilizzazione del nuovo ospedale Nord, opera moderna e costata fior di quattrini. Nel frattempo, quella domenica pomeriggio, prima dell’inizio delle gare, al Salinella il Taranto pareggiava 1 a 1 nel derby contro il Lecce. Senza fare pubblicità a nessuno, visto che non ci sono più, cerchiamo di capire come vivevamo facendoci aiutare dagli annunci pubblicitari. Se volevamo acquistare un auto nel 1979 potevamo scegliere tra le concessionarie Stacar per la Fiat oppure la Siai per la Opel. Se volevamo mangiare, potevamo scegliere su corso ai Due Mari tra La Barcaccia, L’Approdo oppure Al Tartufo; a San Vito c’era il Ponto oppure in piazza Ebalia l’Hiding. Le nostre foto su pellicola le portavamo a sviluppare da Cimpincio in via D’Aquino e da Haas, qualche metro più avanti, si andava per acquistare tende o tappeti. E se avessimo voluto acquistare un appartamento? La pubblicità decantava la bellezze di quelli in vendita nel nuovo centro direzionale di via Dante, la Bestat.

Dopo questa divagazione, torniamo a noi. Domenica delle Palme, quindi la gara non si svolge in chiesa, ma come riportato dal Corriere si terrà in un luogo che da quel giorno (salvo qualche pausa) diventerà fondamentale per noi confratelli del Carmine e cioè presso il salone di rappresentanza dell’Amministrazione Provinciale. Sono riportate le norme di accesso al salone riservato ai soli iscritti, muniti di libretto ed in regola con il pagamento delle quote sociali, anche se il giorno successivo si sottolinea come degli estranei al sodalizio avessero creato un po’ di problemi agli addetti alla Confraternita, facendo pressioni per entrare anche non avendone diritto.

Le cronache dei giorni successivi si soffermano sulla pioggia che ha bagnato i confratelli che hanno preso parte al pellegrinaggio ai sepolcri del giovedì santo e come il traffico e la sosta indisciplinata hanno creato problemi allo svolgimento delle manifestazioni; ad esempio la processione del Santissimo che si svolge in piazza Carmine al termine della Messa in Coena Domini ha dovuto zigzagare tra le auto in sosta.

Dopo la prima novità relativa al luogo di svolgimento della gara, nel 1979 c’è un secondo fatto importante da sottolineare che riguarda sempre la processione dei Sacri Misteri. Tutte le statue, fatta eccezione per quella della B. V. Addolorata, prendono parte alla processione dopo il restauro effettuato dal prof. Angelo Capoccia di Lecce. Un lavoro che a detta del cronista, ha suscitato “ampia ammirazione da parte dei tarantini tutti”, così come anche sono stati cambiati i legni delle tre croci presenti in processione: la Croce dei Misteri, il Crocifisso e la Sacra Sindone. Le nuove croci presenteranno il colore naturale del legno invece di essere dipinte in nero come era stato fino all’anno precedente.
Arriviamo al rientro della processione, nella prima mattina di sabato Santo. Lasciamo la parola al cronista: “Ore 5,30 di ieri sabato santo. La processione dei Misteri lascia via Anfiteatro e imbocca via Massari. Il troccolante è cambiato: non è più il giovanissimo Pasquale Caso, ma Oronzo Papalia che fino a quel momento ha portato la Croce dei Misteri. I due si scambiano il simbolo e la processione continua verso piazza Giovanni XXIII. La troccola viene agitata furiosamente; il suo caratteristico rumore si abbatte agghiacciante nella piazza, i balconi si aprono, la gente assonnata si affaccia. Il sole è già alto nel cielo. Il nuovo troccolante pare non abbia alcuna intenzione di rientrare in chiesa. Si blocca e attende l’ultima marcia funebre. Viene eseguita Christus di Marincola. Tutti pensano che al suono di quelle note la processione debba finalmente entrare in chiesa, dopo una notte calma ma gelida. Ma come fanno a stare ancora in piedi? Se lo chiedono i tanti tarantini ed i turisti che affollano (a quell’ora!) la piazza. E i musicanti? Sono letteralmente distrutti. Manca un quarto d’ora alle 6, il sole è abbagliante, qualche rondine comincia a sfrecciare nella piazza. La processione è ferma. Ecco la banda ha finito, ma il troccolante è ancora lì, dietro il portone chiuso del tempio: deve compire un antichissimo rituale. Deve infatti bussare al portone e chiedere di poter entrare con le statue ed i confratelli infreddoliti. Ancora una marcia funebre: il trio di Chopin. Le macchine fotografiche sono tutte pronte per scattare e così le cineprese. Oronzo Papalia, il troccolante, alza la lunga mazza bianca e bussa per due volte al portone che finalmente si spalanca. Entra. E con lui entrano anche il Gonfalone, la Croce dei Misteri, qualche altra statua, sono le 6 e 10. Ogni tanto da via D’Aquino passa qualche bus dell’Amat. Trasporta per lo più operai che si recano al lavoro; i bus rallentano ed i lavoratori si alzano, danno uno sguardo di meraviglia alla piazza, si fanno il segno della Croce. Poi tutte le altre statue, una dietro l’altra, varcano la soglia del tempio del Carmine. Sono le sette meno 10 quando il portone si richiude alle spalle dell’Addolorata”.

A leggere questa cronaca sembrerebbe che quindi il 1979 sia l’anno in cui nacque (anche se l’articolo parla di antichissimo rituale) il gesto della “bussata” da parte del troccolante, ma se invece ci rifacciamo a quanto qualche anno dopo lo stesso Nicola Caputo scrisse, non in veste di giornalista bensì di autore, in una edizione successiva della sua famosa “L’anima incappucciata” leggiamo come invece tale usanza fosse stata introdotta due anni prima, nel 1977 anno di cui abbiamo già scritto. Scrive Caputo: “era il 1977 e quell’anno Papalia reggeva la Croce dei Misteri. Giunto in piazza Carmine chiese al portatore della Troccola, il compianto Raffaele Solito di scambiare con lui il simbolo. Troccola in mano quindi Oronzo Papalia si diresse verso il portone della chiesa (che era al solito spalancato) e pregò il sacrestano di richiuderlo. Cosa che il sacrestano fece, forse senza neppure capire perché. Il troccolante si avvicinò allora all’ingesso, salì lentamente l’unico scalino, alzò con la mano sinistra la mazza e colpì per tre volte il massiccio legno scuro del portone. Il sacrestano, al di là di quel portone, dovette pensare a un troccolante con le traveggole. Alla “bussata” comunque rispose come tutti sono soliti rispondere, aprendo cioè il portone e facendo entrare, al “suono” della troccola, il primo portatore della processione”. In ogni caso, grazie ad una intuizione di “Ronzino” Papalia, nacque uno dei momenti più suggestivi della processione dei Misteri, ma più in generale di tutta la nostra settimana Santa.

Un momento importante per i fedeli, amato da chi ha voglia irrefrenabile di battere le mani e subito dopo scappare via, odiato e amato dai confratelli. Odiato proprio per quegli applausi fuori contesto e nello stesso tempo amato perché i pensieri che tutti insieme si affollano nella mente sia di chi è a piedi nudi che di chi non lo è, sia di chi è sotto le sdanghe che di chi è su un marciapiedi, sono tanti e molteplici. Un momento importante, perché sei consapevole che con quei tre colpi di mazza (nell’articolo si parla di due, nel libro di tre) con i quali il troccolante chiede asilo per se e per il mesto corteo, rappresentano un momento fondamentale per la tua vita, per la tua famiglia, per il tuo essere cristiano. Le lacrime che rigano molti volti, sono solo uno dei molteplici modi in cui si manifestano tali stati d’animo.

Da sottolineare, leggendo l’articolo, lo scorrere cronologico del tempo. La processione che arriva all’angolo tra via Anfiteatro e via Massari alle 5,30; alle 5,45 il troccolante e già in direzione del portone; alle 6,10 sono entrate Troccola, Gonfalone, Croce dei Misteri e “qualche statua” (quindi almeno una e cioè Cristo all’orto); alle 6,50 tutta la processione è rientrata. Altri tempi, altri orari.

Abbiamo accennato alla prima opera da scrittore di Nicola Caputo. Proprio sfogliando il Corriere di quei giorni troviamo la pubblicità de “L’anima incappucciata”. Edito l’anno precedente da una piccola casa editrice (ristampato successivamente più volte da altro editore), presentava a differenza della più nota copertina rossa con al centro la foto di un confratello durante una sosta di riposo, una copertina nera senza alcuna immagine. Prima di una lunga serie di opere dello stesso cronista che scriveva in quegli anni sul Corriere tanto di settimana Santa quanto di altro. 


E proprio grazie a quel primo libro di Caputo, che mai avrebbe immaginato in quegli anni che un giorno sarebbe stato eletto Priore della Confraternita del Carmine, e a tutta una serie di altre iniziative culturali che fiorirono in città che in quel periodo e in tutto il decennio successivo, che si cominciò a sviluppare un interesse, una passione, un amore nei confronti dei nostri riti. Ci fu un avvicinarsi, in particolare di giovani e di chi non per tradizione di famiglia, ma per una esigenza propria, sentiva il bisogno, la voglia, l’interesse di vestire un abito. Un amore, una passione, una comunanza di intenti che da allora non si è mai sopita e che “a Dio piacendo” speriamo non debba mai subire flessioni.



martedì 28 ottobre 2014

La Chiesa di Monteoliveto nel Borgo antico: ripartono i lavori di restauro.

Antonello Battista 

L’indole del buon cristiano dovrebbe anche essere quella di usare i propri carismi per il bene della comunità, sviluppando un civismo che permetta seguendo le norme del Vangelo di ricreare qui sulla terra l’immagine perfetta del regno dei Cieli. Ed è per questo che dovrebbe essere prerogativa di un buon cattolico impegnarsi civilmente ed attentamente per i problemi della propria comunità, impiegando tutte le energie a servizio della collettività.

Proprio questo spirito civico di cui parlo, non ci può tenere indifferenti guardando alla condizioni in cui versa la nostra Città Vecchia, la nostra Isola Madre, il cuore pulsante della religiosità e della tradizione tarantina. A noi confratelli del Carmine, ed a me in particolare, provoca un senso di rabbia e quasi di disgusto vedere il degrado in cui è precipitato il borgo antico, luogo da dove tutta la nostra tradizione legata ai Riti della Settimana Santa ha avuto inizio.

Non è da comunità civilmente sviluppata lasciare che le proprie radici marciscano nell’oblio dell’incuranza e del malaffare, non è umanamente sopportabile la vista di un così prezioso patrimonio artistico, religioso e culturale lasciato all’abbandono e alla mercé del vandalismo e della più becera ignoranza. Perciò laddove non intervengono gli organi e le persone preposte a farlo, è lo spirito di cattolico civismo ispirato dallo Spirito Santo che pone le sue radici per cercare un sostanziale cambiamento dello status quo.

Il nostro amato Arcivescovo, ha annunciato per la prima volta nell’omelia del pellegrinaggio diocesano a San Giovanni Rotondo, lo sblocco dei fondi per la ripresa del restauro della Chiesa di Santa della Salute nota come Monteoliveto, da lui fortemente sollecitato presso il Ministero dei Beni Culturali e del Turismo, nella persona del Ministro Franceschini. Una notizia accolta da tutti con infinita gioia, ancor più perché annunciata in prima persona da Mons. Santoro attivo già da molto tempo con intenzioni ed opere per il bene della nostra meravigliosa città e del nostro preziosissimo centro storico.

Il restauro e la riapertura di quella Chiesa significa per i cataldiani più convinti, tornare a respirare aria di tarentinità, di tradizioni antiche, di un epoca in cui, la piazza antistante il sagrato ed il tempio stesso, gestito dai padri Gesuiti, brulicavano di persone. Era quello un punto nevralgico dell’allora Taranto limitata al centro storico ed al borgo, poiché vicina alla centrale via Duomo e punto di passaggio obbligato verso la “Ringhiera” del lungomare vecchio. Inoltre di fronte alla Chiesa era presente una piccola chiesetta dedicata a Sant’Andrea degli Armeni, adesso credo anche sconsacrata e perennemente chiusa se non in sporadiche occasioni nel periodo estivo. E che meraviglia poi, doveva poi essere vedere le nostre poste del Pellegrinaggio del Giovedì Santo affollare una dopo l’altra in fila, quello slargo uscendo da una chiesa ed entrando nell’altra. Ahimè immagini di un passato piuttosto sbiadito e lasciato alla memoria di ingiallite foto d’epoca.


I dati storici datano la costruzione della Chiesa, inizialmente denominata Chiesa del Gesù, nel 1686 per volere della Compagnia di Gesù. Questa, con ogni probabilità, era giunta per la prima volta in città nel 1612, stanziandosi in maniera definitiva nel 1622, anno in cui la Compagnia ereditò il Palazzo Visconti, adattato a collegio. La costruzione si protrasse per ben 77 anni, fino al 1763, sebbene l'altare maggiore fosse stato consacrato già nel 1752. Appena quattro anni dopo l'ultimazione dei lavori, il 21 luglio 1767, la Compagnia di Gesù fu soppressa da Papa Clemente XIV; i padri dovettero lasciare la città nel 1773 e il complesso fu affidato alle cure della congregazione olivetana, che mutò la denominazione del tempio in chiesa di Monteoliveto e trasformò il collegio nel proprio convento. Quest'ultimo venne confiscato per decreto di Gioacchino Murat nel 1813 e destinato ad alloggio per gli ufficiali napoleonici.

Da allora esso mutò più volte destinazione d'uso e quando i Gesuiti rientrarono a Taranto, nel 1924, dovettero trasferirsi in un edificio limitrofo, denominato Istituto San Luigi e collegato alla chiesa tramite un cavalcavia. Nel 1936 la città di Taranto venne consacrata all'icona della Madonna della Salute, da cui il santuario prende la sua attuale denominazione. L'icona che dà il nome al tempio è una copia seicentesca, realizzata con ogni probabilità dal pittore leccese Antonio Verrio, della Salus populi romani, icona bizantina attribuita dalla tradizione a san Luca e venerata nella Basilica di Santa Maria Maggiore a Roma. La sua sistemazione consueta è sull'altare maggiore della Chiesa. Attualmente, essendo purtroppo il santuario chiuso al culto, l'icona viene venerata dai fedeli nella cappella del Santissimo Sacramento della Cattedrale di San Cataldo. I Gesuiti continuarono a gestire il culto nel tempio fino al 1992, anno in cui lasciarono la città. A questa chiesa inoltre è legata la famosa storia del “giro” di Crocifissi tra il Carmine, Monteoliveto e San Giovanni di Dio, che il Caputo ci racconta ne “Il cammino del silenzio”.


La memoria, la storia di un popolo, la fede, la tradizione e la religiosità popolare non possono e non devono morire soffocati dalle barbarie culturali di una comunità senza memoria, con buona pace di chi con impegno cerca di distruggere in nome di una modernità che puzza di affarismo, ciò che da secoli segna il volto di una città, tanto bella quanto vilipesa, tanto legata alla semplicità del passato, quanto boriosa ed indolente. Noi confratelli, noi cattolici, noi cataldiani convinti, non permetteremo mai che le il senso di inciviltà prevalga su ciò che nei secoli, l’uomo ha costruito con l’aiuto del Signore.

DECOR!

lunedì 27 ottobre 2014

Auguri nazzecanne nazzecanne !

Salvatore Pace

200, si duecento, programmando un articolo questa mattina ho notato che il numero dei “pezzi” postati e programmati sul nostro “blog” Nazzecanne - la voce quotidiana in formula online della nostra Arciconfraternita- è giunta alla cifra tonda dei 200.

Allora mi sono soffermato a pensare il percorso che in quest’anno ci ha portato al traguardo dei 200 articoli, si un anno, perché giusto un anno fa, a cavallo tra ottobre e novembre iniziarono gli incontri preparatori a quello che poi sarebbe diventato il “coordinamento attività culturali” del Sodalizio e, pur non amando questo termine, la “redazione” del Nazzecanne.

Gli obiettivi sono stati rispettati, i traguardi sono stati raggiunti e, grazie ad un pool di Confratelli veramente orgogliosi del loro “silente lavoro” e che da un anno si dedicano al progetto, abbiamo messo su una macchina che, posso esserne orgoglioso, da 365 giorni non perde un colpo e quotidianamente viene premiata dalla costanza che i lettori del Nazzecanne mettono nel seguire il nostro “giornalino”.

Ognuno si è ritagliato uno spazio, il nostro Vice Priore, da buon professore e letterato, propone argomenti che spaziano dall’Agiografia alla storia Sacra, le nostre anime nobili Valeria, Luciachiara e Olga ci raccontano il lato “rosa” delle anime incappucciate, il sottoscritto da sanguigno Confratello cerca di proporvi gli argomenti che fanno battere il cuore e così tutti gli altri ragazzi Luca, Luigi, Antonello, Antonino, Umberto, Mattia e via dicendo senza voler dimenticare qualcuno, preferisco dire tutti noi, che, animati dal solo spirito di servizio per la nostra Confraternita, dedichiamo uno spazio del nostro tempo al Sodalizio.

Oltre a questo il Coordinamento Attività Culturali  svolge funzioni di rappresentanza in occasione di impegni istituzionali ai quali è invitata la Confraternita, ha partecipato a convegni e trasmissioni televisive nel periodo della Settimana Santa con suoi attivi collaboratori, ha diffuso nelle scuole l'amore per le tradizioni pasquali e si occupa della redazione e della trasmissione dei comunicati stampa che pubblicizzano le attività del nostro Sodalizio in ambito locale e non solo.

Tutto viene fatto  in maniera discreta e silenziosa, senza il clamore della visibilità, senza un abito speciale o un distintivo di riconoscimento, infatti molti di noi sono sconosciuti alla maggior parte di voi lettori, ma solo e soltanto per lo spirito di servizio alla Confraternita del Carmine ed per l’amore verso la nostra Titolare.

Passando ad un elenco di numeri, importanti, si evidenzia che il Nazzecanne ha prodotto 200 articoli con il numero 0 datato 8 dicembre 2013 dunque, compreso il periodo estivo di sosta, abbiamo una media di 18 articoli mensili su 5 uscite settimanali, praticamente uno al giorno da sempre e senza interruzione.

25486 visualizzazioni di pagina, con una media di 118 visualizzazioni al giorno per ogni giorno di articolo, l’articolo più letto di sempre è stato quello, a firma del sottoscritto, in occasione della morte del compianto Peppe Albano con 708 visualizzazioni in meno di due mesi, i siti di riferimento per la visualizzazione del blog sono quello istituzionale della Confraternita ma un grosso flusso di lettori appartiene anche alle pagine ufficiali Facebook del Sodalizio, sulle quali vengono quotidianamente condivisi gli articoli.

Il 90 per cento dei lettori risiede in Italia ma 1129 visualizzazioni sono avvenute negli USA, per esempio, dunque anche all’estero, magari nella casa di persone che hanno il cuore qui a Taranto, il nostro pensiero arriva ed è proprio lo scopo della formula Online, formula che è stata comunque integrata dalle 1000 copie cartacee del Numero Speciale uscito in occasione della trascorsa Settimana Santa e che ha completato il connubio indispensabile tra tradizione ed innovazione che oramai nel terzo millennio deve caratterizzare la divulgazione di pensieri e parole.

Dunque..Un grazie di cuore al Priore e al Padre Spirituale che hanno voluto realizzare questo progetto, TANTI AUGURI NAZZECANNE per il primo anno di attività e... AD MAIORA SEMPER.

DECOR!

venerdì 24 ottobre 2014

Un giorno particolare per i nuovi Officiali Minori

Umberto De Angelis 

Domenica 19 Ottobre 2014, una data da ricordare per quel gruppo di 15 confratelli che come me hanno vissuto un giorno particolare di vita confraternale, per essere stati chiamati a ricoprire il ruolo di Officiali Minori.

A conclusione della Settimana di Spiritualità Carmelitana, svolta nella parrocchia del SS. Crocifisso, dopo la processione di rientro del simulacro della Beata Vergine Maria del Monte Carmelo, nella Celebrazione Eucaristica della sera, nella Chiesa del Carmine, sì è svolta la funzione del giuramento dei nuovi Officiali Minori della Confraternita del Carmine in Taranto.

La giornata era iniziata di buon ora, al mattino, per preparare l’abito di rito, come per ogni appuntamento importante e solenne. Il clima caldo, anomalo per il periodo, poteva far pensare ad una bella giornata di luglio, ma il calendario della Confraternita che segna lo scorrere dell’anno era sulla pagina di Ottobre, non c’era dubbio. Il pensiero era rivolto alla celebrazione di giuramento che si sarebbe svolta nel tardo pomeriggio in abito di rito.

L’arrivo in oratorio, in leggero anticipo sull’orario previsto, per indossare con calma l’abito, anche questo gesto apparentemente ripetitivo, per ogni confratello è un “rito” nel rito.

Prima di scendere in sacrestia, ci ha raggiunto il Priore nel salone per le indicazioni sullo svolgimento della cerimonia di giuramento. Il suo discorso è stato chiaro, preciso, scandito e rimarcato nei punti principali, ricco di particolari sulla disposizione in Chiesa e sulla formula di giuramento. Negli occhi di tutti, anche dei confratelli più anziani “chiamati al servizio”, leggevo l’emozione della “prima volta”.

Puntuali alle 19.00 siamo scesi in processione per raggiungere la Chiesa del SS. Crocifisso dove ci attendeva la statua della Titolare per il cammino di ritorno alla Chiesa del Carmine, al termine della Settimana Carmelitana. La processione era raccolta e disposta a partire dal confratello con il labaro, dalle consorella disposte in due file ai due lati della strada, dai confratelli con i fanali e con il crocifisso al centro, da dodici coppie di confratelli in tutto, fra cui coloro che dovevano svolgere il servizio alla celebrazione e i nuovi Officiali Minori, dal mazziere, dai Padri Carmelitani del SS, Crocifisso e dalla statua della Madonna del Carmine portata da otto confratelli. Ai due lati della strada nel breve percorso che separa le due parrocchie due ali di fedeli, che si sono stretti al passaggio della processione a testimoniare ancora una volta la grande devozione tarantina per la Nostra Mamma.


Alle 20.00 è iniziata la celebrazione della SS. Messa.

Nel Vangelo secondo Matteo (Mt 22,21) di questa celebrazione il racconto della ipocrisia dei Farisei, della tentazione a Gesù e della Sua famosa risposta: “Rendete a Cesare quello che è di Cesare e a Dio quello che è di Dio”. Tale frase sembrava racchiudere anche il significato e l’atteggiamento profondo degli impegni che noi Officiali Minori stavamo per assumere al termine della cerimonia con il nostro giuramento. Vivere il quotidiano disponendosi a prestare il servizio ai confratelli e alla Confraternita, ciascuno con la propria dedizione e con le proprie competenze, ma lasciando soltanto a Dio l’adorazione e il culto. Né alcun potere, né alcun’altra realtà di questo mondo possono pretendere ciò che è dovuto esclusivamente a Dio.

Lo stesso concetto è stato proclamato da Papa Francesco nella sua omelia di questa Domenica:

“Alla provocazione dei farisei che, per così dire, volevano fargli l’esame di religione e condurlo in errore, Gesù risponde con questa frase ironica e geniale. È una risposta ad effetto che il Signore consegna a tutti coloro che si pongono problemi di coscienza, soprattutto quando entrano in gioco le loro convenienze, le loro ricchezze, il loro prestigio, il loro potere e la loro fama. E questo succede in ogni tempo, da sempre.

L’accento di Gesù ricade certamente sulla seconda parte della frase: «E (rendete) a Dio quello che è di Dio». Questo significa riconoscere e professare – di fronte a qualunque tipo di potere – che Dio solo è il Signore dell’uomo, e non c’è alcun altro. Questa è la novità perenne da riscoprire ogni giorno, vincendo il timore che spesso proviamo di fronte alle sorprese di Dio.

Lui non ha paura delle novità! Per questo, continuamente ci sorprende, aprendoci e conducendoci a vie impensate. Lui ci rinnova, cioè ci fa “nuovi” continuamente. Un cristiano che vive il Vangelo è “la novità di Dio” nella Chiesa e nel Mondo. E Dio ama tanto questa “novità”! «Dare a Dio quello che è di Dio», significa aprirsi alla Sua volontà e dedicare a Lui la nostra vita e cooperare al suo Regno di misericordia, di amore e di pace.

Qui sta la nostra vera forza, il fermento che la fa lievitare e il sale che dà sapore ad ogni sforzo umano contro il pessimismo prevalente che ci propone il mondo. Qui sta la nostra speranza perché la speranza in Dio non è quindi una fuga dalla realtà, non è un alibi: è restituire operosamente a Dio quello che Gli appartiene. È per questo che il cristiano guarda alla realtà futura, quella di Dio, per vivere pienamente la vita – con i piedi ben piantati sulla terra – e rispondere, con coraggio, alle innumerevoli sfide nuove.”…

Al termine della celebrazione siamo giunti al momento dedicato al giuramento degli Officiali Minori.

Ci siamo raccolti in semicerchio di fronte all’altare dove c’era la statua della Madonna che dall’alto guardava tutti, nel profondo del cuore. Dopo aver scandito il proprio nome e cognome e l’incarico di servizio a cui siamo stati chiamati dalla Confraternita Maria SS.ma del Carmine in Taranto, aver professato gli impegni legati al nostro giuramento, ci siamo inginocchiati di fronte al Padre Spirituale e poggiando la mano destra sul Vangelo abbiamo giurato.

Nell’intonazione della voce, nelle pause e nei piccoli intoppi delle parole, era palpabile l’emozione, la concentrazione e la disponibilità con cui aderivamo al servizio affidato, per cui giuravamo.

Al termine della celebrazione nei saluti finali, il Padre Spirituale porgendo i suoi auguri, ha saputo sintetizzare con un solo verbo la nostra “chiamata al servizio” come “cooptati” – dal verbo cooptare: chiamare qualcuno, per decisione dei membri già in carica, a far parte di un collegio; esteso anche con: coinvolgere qualcuno in un'iniziativa. (Sabatini-Coletti, Dizionario della Lingua Italiana) – ribadendo con forza che il ruolo affidatoci è quello di “servire la Chiesa e non servirci della Chiesa”.

Al termine della celebrazione c’è stato un susseguirsi di abbracci e di auguri per tutti e poi la foto di gruppo.

Da domani iniziano le attività di tutti i nuovi Officiali Minori, per me quelle di “Maestro dei Novizi” col gruppo degli altri Maestri.



A tutti auguro un buon lavoro nel segno delle due parole che come confratelli fra tutte portiamo sempre con noi: “Decor Carmeli”

martedì 21 ottobre 2014

500 Anni dalla nascita di Santa Teresa D'Avila.

Antonello Battista

Gli esempi di spiritualità e di santità carmelitane sono per noi che abbiamo fatto dello scapolare una ragione di vita, fari che illuminano la nostra via verso la salvezza di Cristo.
Quale esempio può essere più fervido se non quello di Santa Teresa d'Avila e San Giovanni della Croce, pilastri e fondatori dell'ordine carmelitano riformato.
In quest'anno cade il quinto centenario della nascita di Santa Teresa d'Avila e la ricorrenza sarà festeggiata con un anno giubilare straordinario indetto per l'occasione è che si svolgerà in Spagna nel cuore della spiritualità teresiana.

Santa Teresa d'Avila nota anche come Santa Teresa di Gesù , la Santa di Avila , la Riformatrice del Carmelo, la Madre dei Carmelitani Scalzi, nacque ad Avila nella Castiglia in Spagna il 28 marzo 1515, da nobile e religiosa famiglia. A 21 anni divenne Carmelitana del Monastero dell'Incarnazione di Avila. Attraverso gravi e frequenti malattie, numerose prove spirituali e la generosa risposta alle sollecitazioni dell'Amore divino, giunse a quel grado di perfezione in cui l'anima è pronta a un particolare servizio

Poiché intanto la Riforma Protestante feriva il cuore della Chiesa, ella proprio nel cuore della Chiesa voleva operare, in una azione veramente carmelitana di abnegazione e di amore, qualcosa che si opponesse a quella riforma. Concepì così e condusse a termine attraverso infinite peripezie e contrasti e sofferenze, quella Riforma del proprio Ordine che da lei prese il nome e diede origine ai Carmelitani Scalzi.


Il 24 agosto 1562 fondava in Avila il suo primo monastero, dedicato a S. Giuseppe, ove le monache cominciarono a vivere, in spirito di amore e di abnegazione, una vita il più possibile vicina a quella degli antichi monaci del Monte Carmelo e secondo quelle norme che in seguito Tersa di Gesù doveva codificare nelle sue sagge Costituzioni.

Le fondazioni dei monasteri di Carmelitane Scalze si susseguirono numerose finoal 1582; nel 1568 la Riforma Teresiana si estendeva ai Padri, dopo l'incontro della Santa con San Giovanni della Croce, e si fondava a Durvelo il primo convento di Carmelitani Scalzi.

L'intensità della vita spirituale, la grande opera realizzata, la gravità delle malattie e delle sofferenze d'ogni genere, non impedirono a Santa Teresa di scrivere quelle stupende opere in cui ci consegna la sua esperienza mistica e la sua dottrina.

Attraverso l'Autobiografia, le Relazioni, il Cammino di Perfezione, il Castello Interiore, le Fondazioni, gli Avvisi, i Pensieri, le Esclamazioni, le Poesie, le Lettere, S. Teresa di Gesù svolge ancora, nel Carmelo e nel mondo, l'ardente attività della sua anima apostolica ed è sempre, a tutti, Maestra e Madre di vita spirituale. Morì nel fulgore di un'estasi, ad Alba de Tormes, il 4 ottobre 1582.

La figura di Santa Teresa insieme a quella di San Giovanni della Croce, sono il cardine della spiritualità carmelitana e esempi di santità imprescindibili per la cristianità e per l'Europa cattolica. I loro scritti nella storia della letteratura spagnola sono opere importantissime, al pari di quelle dei più importanti scrittori e costituiscono i fondamenti dello studio per la filologia iberica, per il linguaggio e la grammatica usati che ne fatto una pietra miliare nella lingua del secolo d'oro della letteratura spagnola.

I suoi esercizi spirituali delle "sette stanze" e la condizione di "notte oscura dell'anima", passaggio necessario nella ricerca dell'amore di Dio e della sua salvezza sono stati per secoli il cammino di spiritualità seguito da molti carmelitani e dai santi che sulla vita di Santa Teresa hanno fondato la loro.
La sua vita ascetica inoltre è stato motivo d'ispirazione non solo spirituale, bensì anche artistica come la famosa opera del Bernini testimonia nella Basilica di Santa Maria della Vittoria a Roma.

Il calendario degli appuntamenti è ricchissimo ed interessante e prevede oltre che una serie di pellegrinaggi ed incontri spirituali per giovani e non solo, anche rassegne artistiche e letterarie, tutte le informazioni e il calendario dettagliato sono consultabili sul sito ufficiale dell'evento www.paravosnaci.com.

lunedì 20 ottobre 2014

La nostra seconda pelle. Il Nostro Scapolare.

Valeria Malknecht

«Questo è il privilegio per te e per i tuoi: chiunque morirà rivestendolo, sarà salvo».

“L'abitino della Vergine
ci rifulge sopra il petto,
ci difende contro l'impeto
del serpente maledetto:
ci sta provvido sul Cuore
pur nell'ora del dolore”

La devozione alla nostra Titolare, Maria Santissima del Monte Carmelo, non si esprime soltanto attraverso la preghiera, il rito della processione del 16 luglio o le altre celebrazioni a Lei dedicate (come quella, appena passata, della settimana carmelitana).


In particolare, l’attaccamento di noi confratelli e consorelle alla Vergine del Carmelo è fatto anche di simboli che affondano le radici nella storia e che, come direbbe il Priore, si innovano nella tradizione.

Il simbolo per eccellenza che ci lusinga di essere Suoi figli e di appartenere a Lei, per quanto indegni di esserlo fino in fondo, è il nostro amato Scapolare.

La tradizione vuole che la S.S. Vergine apparve a san Simone Stock il 16 luglio del 1251 e che, in quell’occasione, gli consegnò uno scapolare (dal latino scapula, ossia spalla) con la promessa che, a quanti l’avrebbero indossato con fede, avrebbe concesso il cosiddetto “privilegio sabatino”, ossia l’abbraccio della Vergine Maria nel primo sabato dopo la morte.


Da allora, sino ai nostri giorni, il culto alla Vergine si è arricchito di simbologie nuove, ma sempre rispettose della tradizione.

La promessa di restare Suoi figli e di ricevere in dono la Sua protezione attraverso lo scapolare, si è espressa nel tempo non solo attraverso il culto e la preziosa fattura di una stoffa, ma anche attraverso l’arte.

Lo Scapolare. Il Nostro Scapolare.

Lo ritroviamo nell’antica tavola conservata sull’Altare Maggiore della nostra Chiesa la quale, a volte, è ingiustamente offuscata dall’attenzione che si è soliti rivolgere alla bellissima statua della Vergine.

In pochi sanno che quella preziosa tavola seicentesca è una delle più antiche testimonianze del culto carmelitano nella nostra città.

Preziosa al punto tale, da essere uno dei 55 esemplari presenti al mondo.

Lo ricordiamo per l’attaccamento che aveva verso di lui San Giovanni Paolo II, molto devoto alla Madonna del Carmelo e di cui conserviamo una preziosa testimonianza nella nostra Chiesa, quando si raccolse in preghiera proprio davanti a quell’antica effige.


Karol Wojtyla era legato tantissimo a quell’abitino, tanto che lo indossava anche al momento dell’attentato del 13 maggio 1981 e non se ne volle separare nemmeno in sala operatoria.Lo osserviamo sorretto anche dalle manine di Gesù quando guardiamo la statua della nostra Vergine.

Lo viviamo indosso, ogni volta con emozione e rispetto, quando partecipiamo alle funzioni religiose e ai nostri riti.

Lo leggiamo ogni volta con amore quando volgiamo lo sguardo agli scapolari dei nostri confratelli: Decor Carmeli e lo ricordiamo anche nella preghiera quando sussurriamo … “Madre e Decoro del Carmelo”.

Lo vestiamo con fede anche noi consorelle, benché sia diverso e meno personalizzabile di quello dei confratelli.

E dal 16 luglio scorso, i più attenti si saranno accorti che in processione le nuove novizie avevano un nuovo scapolare.

Il Consiglio, infatti, ha deciso di innovarlo, adeguandolo alla tradizione.

Non è stato cambiato lo stemma araldico dello scapolare, che da sempre identifica l’Arciconfraternita. Bensì è stata modificata soltanto la grafia per adeguarla a quella araldica dell’antico stemma e che ritroviamo scolpita, fra l’altro, nel presbiterio della nostra chiesa.

Come un segno sulla pelle, come un amore che portiamo nel cuore, come un segreto prezioso da custodire, così il Nostro Scapolare è parte di noi e del nostro esistere, come se fosse quasi una seconda pelle.

Ci unisce alla nostra Madre del Carmelo in un legame indissolubile, incancellabile, inspiegabile.

“Vergine del Carmelo, non ci staccar da Te. Guidaci tutti al Cielo,noi ti seguiam con fè”
Decor.

domenica 19 ottobre 2014

Pronti partenza..via

Umberto De Angelis

Quante volte da piccoli o da ragazzi abbiamo ripetuto questa sequenza, quando ci apprestavamo a ingaggiare una piccola gara con i nostri compagni di scuola all’uscita, quando volevamo misurare le nostre capacità sfidando noi stessi per raggiungere nuovi obiettivi o nuovi traguardi, quando eravamo noi osservatori della partenza degli altri, oppure più semplicemente quando ci apprestavamo ad iniziare una nuova attività.


Anche io ieri sera, dopo aver partecipato per la prima volta alla riunione del gruppo di lavoro di “Nazzecànne, Nazzecànne”, ho ripetuto nella mia mente “pronti, partenza … via” ed oggi mi ritrovo subito a scrivere, fotografare e descrivere l’inizio di questa nuova attività di contributore al progetto Nazzecànne Nazzecànne.

Sono arrivato alla riunione in leggero ritardo, il traffico a Taranto è una variabile indipendente, la riunione era iniziata da poco e il gruppo era ben assortito fra giovani confratelli e consorelle, confratelli non più novizi, il Priore, il Primo Assistente il Coordinatore di Nazzecànne ed io, ultimo, ma proprio ultimo arrivato.

Ho trovato un bel gruppo, motivato, sensibile alle nuove proposte, pieno di idee e argomenti per la rassegna Nazzecànne e per migliorare ed aggiornare il sito della Confraternita.

L’atmosfera era di quelle coinvolgenti, propositive. In tutti il desiderio di mettere a disposizione dei confratelli e della “rete” quella buona comunicazione, veloce, moderna, raggiungibile da tutti con gli strumenti avanzati come i social network, ma anche per quelli che come me non sono tecnologicamente molto aggiornati, con il più tradizionale canale internet.

A partire dal Priore, ma è stato un proposito condiviso da tutti, è emerso il desiderio di ampliare il numero dei lettori e dei confratelli, vicini o sparsi nel mondo, che abbiano voglia di contribuire al progetto Nazzecànne e, secondo me, di perseguire anche mediante la buona comunicazione quelli che sono i fini specifici della nostra Confraternita (riportati nel nostro Regolamento) che mi piace ricordare:

a) Accrescere nei propri iscritti il senso di appartenenza alla Chiesa, la fede cattolica, con la particolare frequenza ai sacramenti e con lo studio e la meditazione dei testi biblici.


b) Alimentare i sentimenti di carità cristiana verso i più bisognosi, con particolare riguardo agli iscritti che dovessero trovarsi in situazioni indigenti.

c) Attivare iniziative di volontariato in quello spirito di solidarietà cristiana che deve contraddistinguere i membri del Sodalizio.

d) Promuovere ed accrescere sempre più il culto verso la B.V. del Carmine, Titolare del Sodalizio.

e) Sostenere iniziative atte a conoscere, approfondire, diffondere le virtù mariane, cercando con ciò di indirizzare la vita degli associati e dei fedeli tutti, verso comportamenti più aderenti alla spiritualità del Carmelo.

E allora con questi propositi auguro al gruppo Nazzecànne Nazzecànne un buon lavoro e a tutti coloro che vorranno contribuire con i loro articoli: “pronti, partenza … via!”


giovedì 16 ottobre 2014

L'altro come ricchezza

Luciachiara Palumbo

"Amatevi gli uni gli altri come io ho amato voi"

Ecco il cemento delle nostre vite, ecco le mura della nostra fede. Tutto ruota, tutto gravita attorno al comandamento d'amore più bello di tutti i tempi.

Il Dio fatto uomo ci ama e la nostra risposta non è univoca, ma orientata verso due direzioni, il creatore ed il creato.

Ma per creato non si vuole intendere solo la splendente e rigogliosa natura che ci culla ma quell'umanità, quella comunità di persone in cui noi ogni giorno agiamo, a cui ogni giorno lasciamo un segno della nostra importante presenza.

L'uomo è tale se si apre al tu per generare il noi. La nostra vera nascita, la scoperta della nostra unica personalità avviene quando "l'altro" penetra nella nostra vita, quando ci completa facendosi spazio tra i nostri limiti.

E' l'essere umano di per se che accoglie e serba nel proprio animo l'esigenza di un cammino e di una crescita comunitaria. Non per altro oggi la paura più grande è proprio la solitudine, è proprio non poter dire "noi" ma accontentarsi di un semplice "io". 

L'individualismo dilaga, muta in egoismo e non si riesce più ad individuare nel volto di chi ci sta accanto il nostro stesso volto, il volto di un uomo come noi. Gandhi diceva "Io e te siamo una cosa sola, non posso farti del male senza ferirmi".

Nell'umanità appare esserci una relazione intricata, un comune fondamento che serve da collante nella costruzione dei rapporti. Questa misteriosa causa viene costantemente cercata. Lo stesso Aristotele affermava che l'uomo è un animale politico, l'uomo necessità della collettività per emergere, per guardare alla propria vita come un dono immenso per se e per gli altri. Ed allora che senso ha essere credenti e non praticanti?

Credere in Cristo e non nella Chiesa? La Chiesa è ognuno di noi, la Chiesa siamo noi che crediamo in Lui. Qual è il suo cemento? Semplice, la voglia di amare. L'amore cristiano non è un dovere. Esso scaturisce da un regalo immensamente immeritato che Dio ci concede ogni giorno quando spalancando gli occhi diamo il via alle nostre giornate.

 In Cristo vissuto nella Chiesa l'amore si realizza e si concretizza, non è fatto di parole ma di gesti. Abbracciamo l'altro, stringiamolo a noi, solleviamolo quando cade, aiutiamolo quando è debole, sorridiamo con lui quando è felice, piangiamo con lui quando è triste e amiamolo come Lui ha amato noi…

mercoledì 15 ottobre 2014

La preghiera del Giovedì Sera

Salvatore Pace

Ecco, siamo arrivati

Il vero e proprio appuntamento con l'apertura dell'anno sociale è arrivato.

Non so voi ma a me, sapere che il giovedì sera iniziano gli incontri di preghiera con il consueto omaggio a Gesù Morto, il suono della troccola, il banco da occupare che è sempre lo stesso, gli amici di sempre, il fioretto per il giorno dopo mi sanno di caldo, di abbraccio, di ritorno a casa dopo la "diaspora" naturale dell'estate .

L'appuntamento del giovedì ci accompagna nelle sensazioni, nelle emozioni, negli odori attraverso i periodi dell'anno, i nostri periodi dell'anno e così passeremo dalle prime marce del periodo in cui si commemorano i defunti alle pastorali di Santa Cecilia, dalle mezze maniche ai piumini, dalle luci natalizie alla frenetica preparazione dei Riti Pasquali, dalla "tiepida" festa Patronale alla fine dell'anno sociale e "lui", il Giovedì sera è sempre lì con le stesse facce, magari in qualche periodo caldo più numerose, con lo stesso cuore che batte al ritmo della Troccola, con i sogni e le speranze che ognuno di noi, nessuno escluso, mette nelle sue preghiere quando alla fine della funzione ci si avvicina alla bara in vetro di nostro Signore .

Quest'anno sino ad Aprile ci accoglieranno insieme ai loro piedi, Mamma e Figlio nel medesimo altare, come non era mai successo, come forse non succederà più e anche questo sarà da batticuore come ogni volta in cui si entra in Chiesa e lì, in quell'altare, quasi nascosti, il nostro Re e la nostra Regina ascoltano le suppliche e i ringraziamenti di tutti quelli che si inginocchiano e pregano.

Quindi a stasera sorelle mie e fratelli miei pronti ad un altro anno da trascorrere insieme nell'amore verso la Mamma del Carmelo nostra Titolare, verso la Madre dei Dolori e verso Gesù che dal suo letto ogni Giovedì poserà sul nostro capo la Sua mano piagata e misericordiosa.

Un abbraccio speciale a chi in questi giorni, nel giro di pochi giorni, ha perso un fratello seppur non di sangue e il papà...un pensiero particolare stasera sarà per il nostro Confratello Antonello Stenta.

martedì 14 ottobre 2014

La fede sostegno di un cuore fortemente debole

Valeria Malknecht

Uno dei rischi dell’uomo del nostro tempo è lasciare che la vita scorra ( e corra) senza rendersi conto di ciò che essa vale veramente.

Sempre più preso dai ritmi frenetici del nostro quotidiano, l’uomo vive in una situazione di costante tensione.


C’è chi è preoccupato per i problemi di lavoro (quando c’è) e che tolgono respiro e tempo ai nostri affetti, e chi invece è in ansia per il lavoro che manca.

C’è chi si lamenta per quel qualcosa che non ha o che non può fare, e chi invece si lamenta per qualcosa di troppo e che non riesce a gestire.

C’è chi si lamenta di dover prendersi cura dei propri genitori, ormai acciaccati ed anziani, e chi invece rimpiange di averli persi troppo in fretta.

“Vorrei quel paio di scarpe”, “dove vado in vacanza la prossima estate?”, “ uffa, ho preso ben tre chili”, “ma perché non mi chiama?”, “lasciami stare, oggi ho avuto una pessima giornata a lavoro”.

Sì, certo, la vita è fatta anche di questi piccoli piaceri e di questi “drammi”, sarebbe strano il contrario.

Ma, alla fine, cosa conta davvero?

Poco tempo fa, mentre ero così presa dalle mie cose e così stanca e nervosa, un’amica mi ha confidato che il padre ha scoperto di essere affetto da un male incurabile.

Tutto quello che in quel momento mi stava angosciando, il mio nervosismo e la mia frustrazione, si sono all’improvviso frantumati.

Ecco cosa conta.

Il tempo che resta.

Agli uomini non è concesso conoscere il proprio futuro. Ma, a volte, ci sono situazioni che la realtà ci sbatte in faccia in modo così prepotente, che non possiamo sottrarci dall’affrontare quel futuro, d’improvviso così conoscibile.

E, se da una parte dentro sentiamo tanta rabbia, dall’altra riconosciamo paradossalmente di essere quasi dei privilegiati, perché d’improvviso sappiamo dare un valore al tempo che sappiamo non può essere sciupato.



Ed è qui che entra in gioco la fede, ancora di salvezza per alcuni, capro espiatorio per altri.

La fede, in queste circostanze, aiuta a non sentirsi soli, a non lasciarsi abbattere, a trovare forza laddove proprio non ce la fai; diventa una preghiera di speranza e di affidamento.

E, perché no, in questi casi la fede diventa anche una preghiera di gratitudine, per ciò che hai ancora.

Perché l’esperienza di vita di qualcuno, diventa in qualche modo anche la tua e diventa insegnamento.

E così, all’improvviso, tutto si ridimensiona.

Ti domandi perché non hai detto abbastanza spesso “ti voglio bene”, perché hai impiegato solo tre secondi in quell’abbraccio, perché hai risposto male ed in modo seccato a più di una persona, perché hai dato tanta importanza a quel problema di lavoro…

Davvero siamo disposti a lasciare che il tempo scorra così in fretta, nella sua solita routine, senza dare importanza a ciò che davvero conta?


Non sarebbe forse meglio viverlo lentamente, quasi fino a cercare di fermarlo, istante dopo istante, per poterlo vivere più intensamente?

La preghiera e la fede, ciascuno nel modo in cui riesce ad esprimerla, siano un punto di riferimento costante della nostra vita e per le prove a cui ogni giorno essa ci sottopone: e mentre stiamo chiedendo, non dimentichiamoci mai di ringraziare.

E non dimentichiamoci mai di dire, una volta in più, “ti voglio bene”.







1977

Claudio Capraro

Probabilmente fu l’anno in cui il terrorismo, i rapimenti, gli attentati, le sparatorie arrivarono al loro culmine. Per questo sarà ricordato come l’anno più difficile tra i famigerati “anni di piombo”. Fu anche l’anno in cui, causa il clima di austerità il Governo decise la soppressione di alcune feste civili (due giugno e 4 novembre) e religiose (Epifania, San Giuseppe, Ascensione, Corpus Domini, S.S. Pietro e Paolo). Il primo gennaio di quell’anno andò in onda per l’ultima volta Carosello, ma sempre in quell’anno la Rai iniziò la trasmissione dei programmi a colori, mentre Enzo Tortora presentava Portobello.

Era il 1977, un anno difficile sotto molteplici punti di vista, un anno però durante il quale, a leggere le cronache relative alla nostra città, forse si viveva in un clima migliore di quello attuale sotto differenti punti di vista: per le differenti iniziative culturali quantitativamente e qualitativamente molto valide, per il tenore di vita che nonostante l’austerity permetteva alle famiglie di vivere godendo ciò che si aveva, a volte frutto anche di un solo stipendio, a livello sportivo con una squadra di calcio che militava in tutt’altre categorie.


Un anno da ricordare anche per quanto riguarda i riti della Settimana Santa proprio perché un “anno di piombo” con un episodio che molti ricorderanno e che io stesso seppur piccolino rivivo ancora in maniera abbastanza nitida.

Chiedendo aiuto ancora alle pagine del Corriere del Giorno, e andando al numero del 3 aprile Domenica delle Palme, la cosa degna di nota è che in nessuna pagina è presente un articolo, un trafiletto o qualcosa che faccia riferimento all’inizio della settimana Santa. Nulla. Ma ancora più strano è che in tutte e tre le pagine della cronaca di Taranto è presente un riquadro abbastanza vistoso, evidenziato con una cornice in grassetto, all’interno del quale in stampatello maiuscolo è riportato il seguente detto popolare: “LASSO’ CRISTE … E SCI’ A LE COZZE.” Il significato intrinseco ed estrinseco di questo detto credo sia noto a tutti i cataldiani, ma se qualcuno non dovesse conoscerlo mi permetto una breve divagazione: narra la leggenda che durante una processione venne giù la pioggia; riparata la statua, il clero ed i fedeli una volta terminato l’acquazzone poterono riprendere il cammino, ma come sappiamo conseguenza di una pioggia è la comparsa delle lumache (cozze o meglio cozze patedde in tarantino) e quindi qualche fedele al seguito della processione (una versione differente sostituisce i fedeli con il clero…) durante il cammino si distrasse dalla preghiera per dedicarsi alla raccolta delle lumache da portare a casa e magari cucinarle alla pizzaiola il giorno successivo. La morale: questa frase la si dice ogni volta che qualcuno dopo aver preso un impegno per far qualcosa, dopo poco distratto da altro abbandona lo stesso impegno per dedicarsi al nuovo interesse. Lo stesso “annuncio” farà la comparsa nelle pagine della cronaca locale anche il lunedì ed il martedì santo.


Sono riportati i nominativi degli aggiudicatari delle due processioni con i relativi importi licitati; qualche confratello avrà la forza per prendere parte ad entrambe le processioni. Vengono riportati gli orari ed i percorsi delle processioni (i Misteri usciranno alle 17,00 – mentre l’anno precedente l’orario di uscita riportato erano le 16,30 – e saranno a San Francesco alle 22,30!!) e si sottolinea amaramente come la Beata Vergine Addolorata, uscendo da San Domenico percorrerà tanta strada sì tra due enormi ali di folla, ma soprattutto tra due file di case murate, finanche u’ Relogge da chiazza cantato da Diego Marturano sarà chiuso e muto.


Ma veniamo all’episodio che ci interessa e che riguarda la processione dei santi Misteri che come riporta il cronista, che spesso non si firma, ma qualche volta lo fa con le sue iniziali N. C. (chi mai sarà???) si è svolta tra via D’Aquino e via Di Palma “con una folla strabocchevole che ha preso possesso delle strade, creando un’unica, chilometrica isola pedonale”. Già si sognava il borgo libero dalle auto, almeno per le due arterie dello struscio. Nel numero del sabato Santo, accanto all’articolo di commento alla processione dei Misteri, troviamo un altro pezzo, dello stesso autore (lo stile è inconfondibile) dal titolo:

 “UNO SCOPPIO: PANICO TRA LA FOLLA IN PIAZZA IMMACOLATA: la folla strabocchevole che ieri sera ha fatto ala al passaggio della processione dei Misteri ha vissuto momenti di panico. Il mistico corteo era in via D’Aquino in prossimità di piazza Immacolata quando – verso le 21,30 – si è udito uno sparo (o più di uno?) che ha scatenato il fuggi fuggi. E’ stato un terribile momento. Dalla voce trafelata di chi si era rifugiato nei portoni, in qualche negozio ancora aperto o nel portone dello stabile in cui ha sede il Corriere (in via Di Palma, accanto al cinema Odeon, dove c’è attualmente l’Archivio di Stato, ndr) le prime concitate informazioni riferite, hanno fatto pensare ad un attentato. Poi compiuti gli accertamenti si è potuto stabilire che lo “sparo” era stato provocato dallo scoppio di un palloncino gonfiato a idrogeno. Nessun attentato dunque, ovvia però una amara considerazione: perché la gente ha pensato subito al peggio? Basterebbe rimeditare su recentissime vicende accadute nel Paese.”

Il giorno di Pasqua, poi, un articolo più preciso ci spiega meglio cosa sarebbe successo.

"UN PALLONCINO CHE STAVA PER METTERE IN CRISI LA PROCESSIONE. Come spiegarsi il panico che ha coinvolto la folla: Non si è mancato ieri, a Taranto, di commentare un fuori programma che ha turbato, sia pure per pochi minuti, lo svolgimento della mistica processione dei Misteri. E’ bastato – come abbiamo scritto ieri – lo scoppio di un palloncino, un po’ di fumo, per seminare il panico tra la folla; per vedere gente di ogni età correre, cercare un rifugio, allontanarsi dal posto dove <> come i più ripetevano, senza sapere neppure cosa fosse successo. Perché tutto questo? Perché c’è paura, c’è <> appunto. Ed ecco dimostrato che la strategia messa in atto per anni funziona e basta un niente per rendere incontrollata e incontrollabile la massa dei cittadini. Possono capirlo quanti l’altra sera, verso le 21.30, erano lì, nel tratto di via D’Aquino tra via De Cesare e piazza Immacolata. Due isolati rigurgitanti di gente, uomini, donne, anziani, giovani, bambini: tanti bambini. Il panico che ha colto chi ha <>, chi ha <> l’effetto del botto, si è subito esteso a tutti gli altri. Il fuggi fuggi è stato generale. Le urla hanno sovrastato le note delle marce funebri. Le bande hanno taciuto d’incanto. La gente fuggiva, per la strada, nelle traverse, si infilava nei portoni. Non bastava, qualcuno gridava e invitava ad andar su per le scale degli stabili. I bambini, piangenti, sono finiti a terra, travolti da chi fuggiva. Altri tremanti hanno cercato rifugio nelle braccia dei genitori che li hanno portati via di corsa. Gli stessi confratelli sono stati colti dal panico. C’era stata una esplosione – così correva voce – e se si fosse trattato di un attentato, questo doveva certamente essere rivolto alla processione, ai <>. Qualcuno ha lasciato le <> e qualche statua si è bruscamente e pericolosamente piegata su un lato. Qualche altro si è strappato il cappuccio dal volto ed è fuggito nelle retrovie della processione rimanendo a capo scoperto. Un altro colto da crisi, ha spezzato la sua <>. Qualche papà, dopo il primo attimo di smarrimento completo, si è accorto di non avere più accanto a se la moglie o i figli e si è messo a cercarli chiamandoli per nome. Una donna è stata ritrovata dal marito in un bar. Era svenuta e qualcuno la stava rianimando. Altre donne sono svenute. Molti, correndo disperatamente su via D’Aquino, verso piazza della Vittoria, si sono bloccati davanti alle statue di Cristo morto e dell’Addolorata. Vi si sono letteralmente aggrappati, recitando preghiere e invocando la grazia della salvezza. Inutile dire che nel marasma seguito alla innocente esplosione di un palloncino (ma qualcuno è pronto a giurare che dove c’è stato il botto non c’erano palloncini e si è visto del fumo nero salire da terra) non si è badato a lasciar andare ciò che si aveva in mano, per cercare un’altra mano, per stringere un bimbo o una moglie, o un marito o un estraneo addirittura, il più vicino. Sono rimasti a terra ombrelli, cartocci di noccioline, pacchetti di sigarette (pieni), borsette, cappelli. In particolare, due paia di occhiali da vista ed un portachiavi sono stati raccolti davanti al bar Melucci (via D’Aquino 83) dove sono a disposizione di chi li avesse smarriti”.


Questa la cronaca della stampa locale. Ognuno di noi poi, ricorderà l’episodio a modo suo. Il mio personalissimo ricordo di quel periodo era sì di una strategia della tensione in atto nel Paese. La vivevo come poteva un bimbo di quasi nove anni che, annoiandosi, guardava le immagini del telegiornale. Taranto anche se con la presenza militare e con le grandi aziende poteva essere un obiettivo “sensibile” era in realtà ai margini degli episodi che funestavano l’Italia in quegli anni. Quel venerdì santo, l’otto aprile, ero in via D’Aquino con i miei genitori ed i miei nonni paterni, all’incirca tra la libreria Mandese ed il calzaturificio Di Varese (dove ora c’è Geox). Avevo di fronte (se la memoria non mi inganna) il Crocifisso e la Sindone e riuscivo a vederle nonostante la gente davanti a me. Papà non poteva più prendermi sulle spalle, ormai ero grande. All’angolo con via Acclavio, nei pressi del bar Antille (adesso c’è Goldenpoint), c’era la “famigerata” bancarella dei palloncini. Attaccati con un filo ad una barra trasversale erano quelli già gonfi. Due le forme, tondi o allungati con dei restringimenti a simulare la forma di un bruco. In orizzontale sul banco del venditore la bombola contenente il gas sotto pressione con il quale venivano gonfiati i palloncini. All’improvviso ricordo il boato (il tempo amplifica anche i suoni? Probabile) e dopo un momento di sbandamento, durante il quale vidi alcune statue posate sull’asfalto, il fuggi fuggi. Noi corremmo verso via De Cesare per far ritorno in tutta fretta a casa dei nonni in via Anfiteatro. Il cuore batteva anche se l’incoscienza di quella età, il fatto di non sentirmi responsabile dei propri familiari come succede ad un adulto, mi fece vivere quel fuori programma con maggiore serenità rispetto a quanto accadde ai miei genitori. Infatti quando mio padre propose dopo un po’ di uscire nuovamente, mamma si oppose ferma a quella iniziativa.


Per concludere posso dire che per quanto sentito e per quanto fu forte il botto non credo che si fosse trattato delle scoppio di un palloncino (che anche in un ambiente silenzioso che rumore potrebbe mai fare? Ancora di più in una strada piena di gente e con le bande che suonavano). Molto più plausibile che si fosse trattato dello scoppio delle bombola contente il gas per gonfiare gli stessi palloncini.


La processione poi riprese e arrivò a San Francesco, dove i confratelli effettuarono la sosta e probabilmente poterono ricevere qualche notizia in più su quanto fosse accaduto. La mattina del sabato Santo, il corteo processionale fece rientro al Carmine e per molte e molte settimane successive, quella processione dei Misteri del 1977 fu oggetto di discussioni tra i confratelli ed i tarantini tutti.

domenica 12 ottobre 2014

La traslazione della Vergine del Carmelo in occasione della settimana di spiritualità carmelitana

Antonello Battista
Nella serata di ieri in una atmosfera di mistica devozione, è avvenuta la traslazione del simulacro della Beata Vergine Maria del Monte Carmelo venerato nella nostra Chiesa nella parrocchia del SS. Crocifisso. L’avvenimento si inserisce nella settimana di spiritualità carmelitana fortemente voluta dai padri carmelitani della suddetta parrocchia, in accordo con l’amministrazione della nostra Arciconfraternita e col nostro Padre Spirituale.


La piccola processione preceduta dalla santa messa officiata da Mons. Marco Gerardo, ha visto la partecipazione di un buon numero di confratelli e consorelle, attorniati nel loro cammino da ali di folla che hanno testimoniato la profonda devozione di tutta la cittadinanza del borgo per la Beata Vergine Maria del Monte Carmelo. Durante la santa messa inoltre abbiamo potuto apprezzare le parole dell’omelia di Don Marco, incentrata sulla gioia dell’essere cristiani e sulla bellezza della letizia della fede e che hanno ben spiegato i passi del Vangelo domenicale.


Un’insolita uscita autunnale questa per la nostra amata Vergine, ma l’occasione per la quale è stata voluta questa inusuale visita, ha un’importanza notevole per tutta la famiglia carmelitana e sarà l’ennesima occasione per cementare i già cordiali e fraterni rapporti tra le due comunità parrocchiali, che sono, così come ha spiegato Don Marco sempre nella sua omelia, realtà collegate da un rapporto filiale in quanto tutta la nostra spiritualità carmelitana nasce dallo zelo dei padri carmelitani che han portato il culto nella nostra chiesa e che ora risiedono nella parrocchia del Crocifisso.

Il simulacro della Beata Vergine del Monte Carmelo rimarrà esposto al culto dei fedeli per tutta la settimana e non mancheranno i momenti di spiritualità e di preghiera ai piedi della Vergine, ogni giorno inoltre alle ore 12,00 ci sarà la supplica alla Madonna. Tutti noi speriamo in una numerosa partecipazione di tutti i fedeli che potranno accogliere tutto l’amore che la nostra Madre del Carmelo ci regala, e che di sicuro non lasceranno mai sola la sacre effige a noi tanto cara.

I portatori della vergine in questa occasione speciale sono stati Vittorio Montervino, Mattia Casciano, Angelo Basile, , Pasquale Caso, Antonello Stenta, Leopoldo Vitale, Pasquale Cianciaruso  e Leonardo Leogrande

Le foto dell'articolo sono di:
Francesco Portulano
Angelo Pignatelli
Giulio Saracino


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