giovedì 29 gennaio 2015

La vocazione !

Antonino Russo 

“Dopo che Giovanni fu arrestato, Gesù andò nella Galilea, proclamando il vangelo di Dio, e diceva: 
«Il tempo è compiuto e il regno di Dio è vicino; convertitevi e credete nel Vangelo».

Passando lungo il mare di Galilea, vide Simone e Andrea, fratello di Simone, mentre gettavano le reti in mare; erano infatti pescatori. Gesù disse loro: «Venite dietro a me, vi farò diventare pescatori di uomini». E subito lasciarono le reti e lo seguirono.

Andando un poco oltre, vide Giacomo, figlio di Zebedèo, e Giovanni suo fratello, mentre anch’essi nella barca riparavano le reti. E subito li chiamò. Ed essi lasciarono il loro padre Zebedèo nella barca con i garzoni e andarono dietro a lui.” Vangelo di Marco (1, 14-20)


Vivendo a Taranto risulta essere una scena familiare quella che l'Evangelista racconta in questa pagina in cui la vocazione - dal latino vocatio, vocare, ovvero chiamare - emerge in tutta la sua potenza.

Ogni risposta ad una chiamata comporta uno strappo, una lacerazione, eppure i discepoli non esitano a seguire Gesù pur lasciando le reti delle loro certezze e i loro affetti.

E’ un messaggio che non può attendere!

Nell’Antico Testamento di fronte alla chiamata di Dio alcuni profeti indugiano prima di dire il loro sì perché non riconosco da subito chi li sta chiamando oppure per paura della loro stessa incolumità: Samuele e Giona ad esempio che abbiamo incontrato nella liturgia della Parola di queste domeniche.

Invece il messaggio di Gesù "convertitevi e credete al Vangelo" - che è ripresa nelle celebrazioni delle Ceneri che aprono la quaresima, tempo a noi particolarmente caro - è perentorio così come la risposta dei discepoli che dovrebbe essere anche la nostra risposta.

Seguono Gesù “Ognuno con la propria merce, ognuno con la propria storia, ognuno con le proprie reliquie in tasca: un sasso raccolto sulla riva, il fermaglio della donna amata, il coccio di una pentola in cui un tempo la madre faceva bollire le rape. O forse un rametto d'ulivo di un particolare orto, un pezzo di pane di una cena speciale, una piuma di un gallo, una spina appuntita di rovo, un pezzo di marmo di una tomba vuota. Ognuno con la sua storia: è questa la Buona Notizia del Vangelo.”

Dovremmo fare una riflessione sulla nostra vocazione.

Quella ad essere marito o moglie ad esempio: anche questa vocazione esige uno strappo poiché come dice la Genesi 1, 24 “Per questo l'uomo abbandonerà suo padre e sua madre […]” quindi lasceranno la loro famiglia di origine per formarne una nuova. Quante situazioni di sofferenza e di incomprensioni tra i coniugi e i rispettivi genitori si eviterebbero se si tenessero a mente queste parole!

E’ nella vocazione che ci santifichiamo, nella fatica della quotidianità di coniugi, di genitori, di lavoratori… di cristiani.

Anche nella vocazione a vivere nella Chiesa, ci sono chiamate più particolari come la nostra ad esempio, cari Confratelli e Consorelle!

Siamo infatti chiamati a vivere la nostra vocazione Carmelitana con impegno e devozione, con l’aiuto della Vergine Maria che ha dato subito il suo sì alla chiamata del Signore.



mercoledì 28 gennaio 2015

Tra ricordi e attesa

Mattia Giorno 

Nelle scorse settimane ho avuto modo di parlarvi di “attesa”, intesa come momento di preparazione al Santo Natale; e così, partendo da questo, cercherò oggi di raccontarvi le emozioni che in questi giorni mi accompagnano e mi sostengono per portarmi a vivere, nel prossimo mese, l’inizio della Quaresima.

Tutto ha inizio qualche giorno fa mentre, scorrendo la home page di Facebook, mi sono imbattuto nel video dell’uscita dei Misteri dello scorso anno. Sono le 17.00 ed il portone del Carmine si apre, tutto sta per avere inizio e così, sotto un leggero manto di pioggia, la banda Lemma inizia ad eseguire le note della splendida marcia “A mio padre”. Il mio cuore si è fermato, la mia mente ha smesso di pensare e tutto per un attimo è tornato indietro di quasi un anno; dentro me non sentivo altro che emozioni, frutto di una strana sensazione che si avverte da bambini, quando una cosa già vissuta sembra come mai accaduta.


La banda suona e pian piano riaffiorano i ricordi di quella processione, la prima per me a piedi nudi. Il pensiero è volato all’attimo in cui, tolte le scarpe, poggiai i piedi sul marmo del terzo piano e credetemi, all’improvviso, ho avvertito lo stesso brivido che ebbi nel sentire il freddo attraversare il mio corpo.

“A mio padre” continua ed io sono ancora incantato nel vedere il nostro troccolante nazzicare sotto il portone, non è sereno il suo sguardo che vede la pioggia aumentare. Qualche attimo e il portone si richiude innanzi a noi. Ricordo bene il timore che tutti abbiamo avuto e rivedo, nel video, quegli sguardi tristi di chi, senza più voglia né forza di attendere, ha dovuto aspettare ancora qualche ora.


Da quel giorno ad oggi non ho più smesso di ascoltare marce funebri, e credo che ne avrò ancora per molto, almeno fino a quando “Jone” non accompagnerà il simulacro dell’Addolorata dentro alla nostra amata chiesa. Ancora per molto si, precisamente più di due mesi, ma non è di certo abbastanza e non lo sarà mai.

Poi, per caso, ti capita di incontrare per strada qualche confratello, qualche amico che come te condivide la passione per i riti della Settimana Santa ed eccoci, come fosse ancora la prima volta, parlare di ciò che è stato e di ciò che sarà. Immagino che tutti abbiamo già iniziato ad attendere con ansia la Domenica delle Palme 2015, giorno in cui gareggeremo per aggiudicarci i simboli e le poste della 250esima processione dei Misteri.

Non riesco ancora a crederci, 250 anni che Gesù Morto e l’Addolorata, per mano dei nostri fratelli, varcano quel portone e diventano messaggio di sofferenza e speranza per la nostra città; non credo nemmeno all’idea che quest’anno i nostri Riti attraverseranno il ponte girevole, momento storico e, ne sono più che sicuro, di enorme bellezza per noi che vivremo quel giorno con un pizzico di passione in più e per chi, da fuori, osserverà il nostro andare tra il mare e gli antichi palazzi della città vecchia.


Ormai ci siamo, fratelli miei, questa è vera e propria attesa. Credo che chiunque in questi giorni abbia ascoltato almeno una marcia o, se proprio non lo ha fatto, qualche pensiero, qualche ricordo o qualche parola con qualcuno, l’avrà sicuramente scambiata.


Magari qualcuno ha già “chiuso squadra”, qualcun altro invece è in cerca di un compagno, altri ancora provano a conservare qualche soldo per permettersi di gareggiare. Tutto è possibile, ma ciò che con certezza adesso io posso dire è che tutti, dal primo all’ultimo, non stiamo più nella pelle e desideriamo ardentemente correre al 15 febbraio, dove con le solenni Quarantore daremo inizio al percorso che ci guiderà alla prossima Settimana Santa.


Voglio lasciarvi così, con una richiesta, che tutti voi mentre leggete queste parole pensiate al momento più bello che la vostra spiritualità carmelitana vi ha dato, per ricordarvi che siete parte di una grande famiglia; voglio inoltre che pensiate alla marcia che più vi piace, perché possiate vivere questi ultimi giorni, in attesa della Quaresima, con la certezza che anche quest’anno Cristo morirà per noi, per poi risorgere e donarci la salvezza eterna.


Tutto questo è Decor, per me lo è stato dal 2010, lo è e lo sarà per sempre, nonostante le sofferenze, i problemi, i lutti, che in questi ultimi mesi ci hanno lasciato senza persone importanti per la vita della Confraternita, e le attese, perché senza di queste le nostre emozioni non sarebbero forti e belle come le viviamo ogni anno.

martedì 27 gennaio 2015

I Priori: Pietro Bianchi Caramia

Antonello Battista 

Lo scopo di questa nostra rubrica è far conoscere ai nostri lettori che al di là del nostro quotidiano ci accompagnano secoli di storia che di tanto in tanto fa bene riscoprire per la memoria comune, ricordando i nomi ed i fatti che ci hanno permesso di avere un’identità di cui andare fieri, perché non c’è presente senza passato, non c’è consapevolezza di sé senza l’identità.

Stiamo man mano tornando sempre più a ritroso nel tempo sino ai primi decenni nel secolo scorso, quest’oggi infatti ricorderemo la figura del Priore Pietro Bianchi Caramia. Fu la guida della nostra confraternita per più mandati e per un arco temporale lunghissimo; fu in carica in fatti dal 1924 al 1926, poi dal 1928 al 1932, ancora dal 1935 al 1937 e dal 1941 al 1952 ed infine dal 1953 al 1962. Tanti mandati per un periodo di 38 anni nel quale il Priore Bianchi Caramia è stato attivo amministratore del nostro sodalizio, a dimostrazione della sua caratura morale e sociale.

Durante i suoi tanti mandati naturalmente sono accadute tante vicende liete e meno liete per la nostra confraternita; ad esempio era lui il Priore quando nel 1936 furono completati i lavori, già da tempo commissionati, della nuova ed attuale facciata della Chiesa del Carmine, oppure negli anni ’50 quando furono sostituite le basi delle statue dei Misteri con le attuali, opere di una fattura artigianale davvero notevole realizzate nei cantieri dell’Arsenale di Taranto.

Inevitabilmente però come in ogni circostanza della vita, ci sono anche le tristi vicende che hanno segnato in maniera tangibile la nostra confraternita. Infatti fu lui la guida della nostra congrega durante il nefasto periodo della seconda guerra mondiale. Non dev’essere stato facile vivere in un simile periodo, ma addirittura amministrare una realtà come quella della nostra confraternita del Carmine dev’essere stato davvero arduo e gravoso, ma il Priore Bianchi Caramia seppe gestire al meglio ogni cosa potendo contare sulla sua indiscussa autorevolezza tra i confratelli e nella cittadinanza.

Il divieto di svolgere le processioni dal 1941 al 1944 fu una delle conseguenze del clima di incertezza del periodo bellico, lo smarrimento da parte di tutti i confratelli e dei tarantini tutti, fu attenuato solo dalla visita che era permessa ai sepolcri nelle Chiese, ed in particolare in quella del Carmine dove venivano esposti i simulacri del Gesù Morto e dell’Addolorata. Nel 1945 poi quasi come una metafora di resurrezione il comando Alleato nell’Italia Meridionale accordò il permesso acché si svolgessero le processioni della Settimana Santa a Taranto e fu quasi un tripudio tra i confratelli. I libri di storia e le cronache ci raccontano di una totale euforia nella quale balzarono tutti i tarantini. È risaputo infatti che quell’anno molti confratelli si aggiudicarono personalmente più simboli ed addirittura nelle due processioni.

Fu un ritorno alla normalità ed alla tradizione che il Priore Bianchi Caramia incanalò nel giusto alveo della fede e del memoriale del sacrificio di Nostro Signore, tanto che proprio in quel 1945 i soldati delle truppe alleate rimasero incantati e rispettosi ad osservare lo spettacolo di fede che sfilava loro davanti ed “armati” solo di macchina fotografica portarono nella loro casa la testimonianza della magnificenza dei Riti della Settimana Santa di Taranto.



Tra i Priori del Novecento il Priore Bianchi Caramia è stato di sicuro tra i più insigni non solo per il suo lungo mandato, ma soprattutto per la maniera in cui in anni cosi difficili seppe mantenere il decoro del nostro sodalizio e trasmetterlo in eredità ai suoi successori come un prezioso bene da tramandare e custodire.

lunedì 26 gennaio 2015

La Croce dei Misteri

Umberto de Angelis

Fin da bambino, quando i miei genitori mi accompagnavano il Venerdì Santo per vedere la processione dei Misteri, sono stato sempre molto impressionato dalla Croce dei Misteri. I sentimenti che ho sempre provato e provo sono diversi: dolore, timore, speranza.

Dolore: perché quella Croce con i suoi simboli è una sintesi immediata della Passione di Gesù, con linguaggio moderno si potrebbe dire quasi un “trailer” delle sue ultime 24 ore terrene, così intense e dolorose, testimonianza della umana sofferenza di Gesù, della violenza e della crudeltà degli uomini. Ogni volta che la guardo cerco di mettere in ordine, in sequenza temporale i vari simboli, ripercorrendo nella mente i tragici fatti di quelle ore: il calice, il gallo, i flagelli, la veste rossa, la corona di spine, la croce, i chiodi e il martello, …. Dopo quella croce le statue che testimoniano i fatti di quelle ore.


Timore: perché non riesco a fissarla per troppo tempo, perché penso al “peso” di sofferenza che quella croce può rappresentare e rappresenta per molti fratelli che intorno a noi già la portano, forse con simboli diversi, ma ugualmente dolorosi come la mancanza di lavoro, le malattie, le incomprensioni familiari.

Da confratello rifletto su come mi posso impegnare per cercare di alleviare le sofferenze e il peso, aiutando chi ha più bisogno, così come fece il Cireneo, per quel tratto di Calvario.

Speranza: perché attraverso la Passione, la Morte e la Resurrezione di Gesù c’è la possibilità di essere salvati, di essere migliori, di superare le difficoltà.

Personalmente trovo sempre molta forza nelle parole di Papa Francesco, come quelle espresse nell’Omelia del 24/03/2013 - Domenica delle Palme:

… Gesù ha risvegliato nel cuore tante speranze soprattutto tra la gente umile, semplice, povera, dimenticata, quella che non conta agli occhi del mondo. Lui ha saputo comprendere le miserie umane, ha mostrato il volto di misericordia di Dio e si è chinato per guarire il corpo e l’anima.

… Gesù è Dio, ma si è abbassato a camminare con noi. E’ il nostro amico, il nostro fratello. Qui ci illumina nel cammino. E così oggi lo abbiamo accolto. E questa è la prima parola che vorrei dirvi: gioia! Non siate mai uomini e donne tristi: un cristiano non può mai esserlo! Non lasciatevi prendere mai dallo scoraggiamento! La nostra non è una gioia che nasce dal possedere tante cose, ma nasce dall’aver incontrato una Persona: Gesù, che è in mezzo a noi; nasce dal sapere che con Lui non siamo mai soli, anche nei momenti difficili, anche quando il cammino della vita si scontra con problemi e ostacoli che sembrano insormontabili, e ce ne sono tanti!

… Seguiamo Gesù! Noi accompagniamo, seguiamo Gesù, ma soprattutto sappiamo che Lui ci accompagna e ci carica sulle sue spalle: qui sta la nostra gioia, la speranza che dobbiamo portare in questo nostro mondo. E, per favore, non lasciatevi rubare la speranza! Non lasciate rubare la speranza! Quella che ci dà Gesù.

… Chi lo accoglie è gente umile, semplice, che ha il senso di guardare in Gesù qualcosa di più; ha quel senso della fede, che dice: Questo è il Salvatore. Gesù non entra nella Città Santa per ricevere gli onori riservati ai re terreni, a chi ha potere, a chi domina; entra per essere flagellato, insultato e oltraggiato, …; entra per ricevere una corona di spine, un bastone, un mantello di porpora, la sua regalità sarà oggetto di derisione; entra per salire il Calvario carico di un legno. E allora ecco la seconda parola: Croce. Gesù entra a Gerusalemme per morire sulla Croce. Ed è proprio qui che splende il suo essere Re secondo Dio: il suo trono regale è il legno della Croce! …

… Perché la Croce? Perché Gesù prende su di sé il male, la sporcizia, il peccato del mondo, anche il nostro peccato, di tutti noi, e lo lava, lo lava con il suo sangue, con la misericordia, con l’amore di Dio. Guardiamoci intorno: quante ferite il male infligge all’umanità! Guerre, violenze, conflitti economici che colpiscono chi è più debole, sete di denaro, che poi nessuno può portare con sé, deve lasciarlo …
Oronzo Papalia anni 70, Croce dei Misteri
collezione  A.Stenta 


E Gesù sulla croce sente tutto il peso del male e con la forza dell’amore di Dio lo vince, lo sconfigge nella sua risurrezione. Questo è il bene che Gesù fa a tutti noi sul trono della Croce. La croce di Cristo.”

Il Giovedì Santo nelle prime ore del pomeriggio, il Segretario chiama: “Prima posta Città Nuova”, i confratelli a piedi scalzi in abito di rito sono pronti, nel salone cala il silenzio, dopo aver ricevuto il “bordone” (il bastone del pellegrino) la coppia devotamente rende omaggio alla Croce dei Misteri con “l’abbraccio”, incrociando il bordone che i confratelli tengono con una mano, con il rosario che tengono nell’altra. Nel silenzio si sente il rumore delle medaglie che sbattono sul petto, i Riti sono iniziati.

Il cappuccio cala sul volto, il portone si apre, inizia il cammino di preghiera che porterà i confratelli a raccogliersi, rivolgendosi a Cristo Eucarestia sull’altare, per chiedere ancora una volta “perdono”.




Quarant'ore

Claudio Capraro

Sono le 13 esco dall’ufficio per la pausa pranzo; poco meno di tre ore prima di tornare al mio posto. Devo far presto, raggiungere il centro nonostante il traffico dell’orario di uscita dalle scuole. Pioviggina pure. Tutti vanno a pranzo, io no, ho altro da fare. Certo a quest’ora un languorino si sente e il ricordo dei calzoni con la ricotta mangiati ieri ultima domenica di carnevale non aiuta.

Parcheggio e mi avvio. Cammino calpestando coriandoli che mi ricordano che in realtà la Quaresima non è ancora cominciata e che domani sera molti andranno a festeggiare vestiti in maschera. Passo davanti a dove prima c’era la Sem e ricordo che proprio in quei giorni si teneva il “veglioncino in maschera” per chi nei primi anni ’70 era un bambino. Parteciparvi nei saloni di quel locale era motivo di orgoglio non tanto per i bimbi vestiti da Zorro, da fatina o da cow boy, quanto delle loro mamme.

Su a vestirsi. I gesti, i movimenti, anche le parole sono sempre le stesse. Si arriva, ci si saluta con i fratelli, si tira fuori dal borsone l’abito e si comincia ad indossarlo. Lo abbiamo fatto nei mesi passati, a maggio, a giugno e a luglio; a ottobre, a dicembre, ma questa volta anche se indosseremo anche oggi le scarpe, il sapore è differente. Abbiamo già cominciato da settimane a sfogliare i nostri album di foto, ad ascoltare i nostri cd di marce funebri, a rivedere i filmati delle processioni passate. Abbiamo già un sogno che ci gira in testa che condividiamo con altri nostri fratelli ed essere qui oggi, ci fa capire meglio di tutto che ci siamo davvero che il conto alla rovescia dei meno 40 giorni è prossimo a partire.


E poi soprattutto c’è l’incontro con Lui. Quando è arrivata l’ora e un addetto della Congrega viene a chiamarti, metti da parte tutti questi pensieri e ti concentri solo ed esclusivamente su quello che accadrà per la prossima ora o come nel mio caso per le prossime due ore. E arrivati in sagrestia, sbirci sull’altare e vedi l’Ostensorio, intuisci al suo interno il Santissimo, le candele, i fiori. L’orario è particolare, sono quasi tutti a pranzo. Quando entri in chiesa ci sono appena due o tre persone che pregano in silenzio, la luce che entra dalla vetrata del portone è quella grigia dei pomeriggi di febbraio, ma l’altare è splendente, illuminato da decine di ceri.

Ci si dà il cambio con chi ha terminato il proprio turno e fatte le genuflessioni, ci si inginocchia davanti a Lui, davanti al Santissimo per l’adorazione Eucaristica comunitaria delle quarantore. Ti segni e cominci a pregare tra te stesso. Le tue intenzioni le hai bene a mente e lì davanti per quel momento di adorazione avrai modo di dialogare a tu per tu direttamente con Lui. Mi torna in mente una omelia che ascoltai qualche anno prima quando fu preso il teso di una canzone e trasportato pari pari come se invece di essere rivolta alla persona amata (immagino che quella fosse l’intenzione dell’autore) fosse rivolta a Cristo Eucarestia: “Mentre il mondo cade a pezzi, io compongo nuovi spazi e desideri che appartengono anche a Te. Mentre il mondo cade a pezzi mi allontano dagli eccessi e dalle cattive abitudini, tornerò all’origine, torno a Te che sei per me l’essenziale”. Forse ardita come trasposizione? Non so dirlo.

Passano i minuti, qualcuno dai banchi alle nostre spalle dà il via alla recita del Santo Rosario. Chi restando genuflesso, chi sedendosi, chi aiutandosi con i grani di una piccola Corona tenuta tra le mani guantate, chi portando mentalmente il conto, tutti recitiamo la dolce preghiera. Davanti a noi la luce delle candele, la cui cera lentamente si consuma ed il profumo dei fiori che annunciano una primavera che è ancora lontana, ma che chiede prepotentemente strada al piovoso inverno.


Termina la prima ora di adorazione; cambiano i miei compagni, cambia la posizione da genuflesso a seduto, vengono cambiate le candele consumate, cambiano le persone che sono in chiesa, quella che continua ininterrottamente è la preghiera. Continuerà fino al giorno successivo, al martedì grasso. Poi mercoledì ricorderemo le Sacre Ceneri. Verranno sparse sul nostro capo, ci verrà ricordata la caducità della nostra vita, saremo chiamati ad una conversione vera e forte. Saremo in Quaresima!

Questi pensieri mi sono tornati in mente, quando stamattina sistemando la mia agenda per la settimana che comincerà domani ho letto un appunto scritto a fine anno passato, una volta ricevuta l’agenda del 2015: “segnarsi per quarantore”.

mercoledì 21 gennaio 2015

Dal Nazzecanne al Pendio..In bocca al lupo!

Alessandro della Queva

Sabato scorso, 17 gennaio, il Consiglio di Amministrazione della Confraternita della Santissima Addolorata e San Domenico ha presentato la nuova veste grafica de “Il Pendio”, autentico diario di bordo del sodalizio, nato per intuizione e volontà dello stesso Consiglio un anno fa.

In realtà il cambio di vesti è soltanto un esaltare l’innovazione e la nuova ambizione che il progetto mensile si prefigge: occuparsi non solo di Settimana Santa e di “mozzetta nera” ma allargare lo sguardo ad altre tradizioni del nostro territorio per occuparsi di tematiche culturali e di impegno sociale; diventare voce anche di altre confraternite più piccole o semplicemente meno note, vicine e lontane. A guidare e coordinare i confratelli redattori ci saranno Gabriella Ressa, giornalista professionista e direttrice del progetto, e Antonello Stenta, uno dei padri dell’iniziativa e caporedattore.

Le copie del giornale saranno stampate con cadenza mensile e saranno distribuite nella Chiesa di San Domenico al termine della Messa Sociale (che si tiene ogni terza domenica del mese alle ore 11.00) e nella segreteria della Confraternita in Sant’Agostino. Il giornale può essere ritirato lasciando una libera offerta che andrà a sostenere tutte le opere culturali e di carità che la Confraternita veicola sul territorio tarantino.
Inoltre, al fine di consolidare il legame con le tradizioni domenicane, è stata annunciata l’attivazione di un servizio di biblioteca: dopo un lavoro di riscoperta, catalogazione e digitalizzazione, svolto da alcuni confratelli volenterosi, ben 400 volumi, di vario tipo e di vari autori, saranno resi fruibili a tutti.

E per rimanere al passo coi tempi a breve sarà anche possibile, a chiunque ne farà richiesta, la consultazione di un ricco archivio fotografico e multimediale presso l’Oratorio della Confraternita.

Ai nostri fratelli “dalla mozzetta nera” porgiamo i nostri più affettuosi auguri.

Buon Lavoro

martedì 20 gennaio 2015

I Priori: Pietro Piangiolino


Antonello Battista 

Continuiamo a ripercorrere quella storia con la S maiuscola della quale ho raccontato negli scorsi numeri di Nazzecanne coloro che la hanno compiuta sino ai giorni nostri, sino a lasciarci in eredità la nostra confraternita così come oggi la conosciamo e che è senza ombra di dubbio una delle realtà migliori che possiamo trovare nella nostra città e nella nostra diocesi.

Riscopriamo oggi la figura di un Priore, che forse suo malgrado è strettamente legato con l’attualità di questi mesi e più avanti scopriremo il perché; ricordiamo dunque il Priore Pietro Piangiolino.

Priore per due volte, un primo mandato dal 1952 al 1953 ed un secondo dal 1962 al 1971, fu comandante dei Vigili Urbani di Taranto, era perciò una personalità di tutto rispetto anche al di fuori dell’ambito confraternale. Nel 1969, come noto, fece acquistare il meraviglioso organo a canne ancor oggi presente nella chiesa del Carmine e che maestoso svetta dalla cantoria al di sopra del portone d’ingresso.

L’episodio che ha caratterizzato però il suo mandato, come già ho detto, è legato a doppio filo con le nostre vicende di queste settimane. Infatti nel 1967 il Priore Piangiolino, unitamente col Consiglio d’Amministrazione della confraternita assunse la dolorosa decisione di dirottare il percorso della processione dei Misteri dalla Città Vecchia al solo Borgo Umbertino, decisione che come ben sappiamo ha segnato la storia della nostra confraternita e della città tutta. Una decisione che credo sia stata più che mai sofferta e dolorosissima, poiché veniva tagliato quel cordone ombelicale che legava noi confratelli del Carmine all’Isola Madre, al luogo dove tutta la nostra tradizione ebbe inizio del XVII secolo. La storia purtroppo la conosciamo tutti e dal quel 1967 i Misteri non hanno più fatto ritorno in Città Vecchia, contribuendo a far calare sul Borgo Antico un alone di oblìo che ormai da mezzo secolo attanaglia il cuore storico della nostra città.

Il col. Piangiolino, Comandante dei
Vigili Urbani di Taranto
La decisione si rese inevitabile a causa delle cattivissime condizioni in cui versava la Città Vecchia ed il Priore Piangiolino, comandante dei Vigili, ben conosceva dunque i rischi d’ordine pubblico e di viabilità che comportava il passaggio della processione dei Misteri in quei vicoli ormai quasi spopolati e a volte pieni di macerie di crolli di abitazioni e calcinacci. Tuttavia come il filosofo Vico affermava la storia torna ciclicamente a ripetersi, ed è risaputo ormai che noi confratelli del Carmine rappresentati dal nostro Priore Antonello Papalia, abbiamo fatto istanza all’Arcivescovo Santoro ed alle autorità civili preposte di ritornare con la processione dei Misteri in Città Vecchia per celebrare il 250esimo anniversario della donazione dei Calò. Sarà dunque una tantum, ma in cuor mio e di molti miei confratelli la speranza sarebbe di ritornare in pianta stabile col percorso nel Borgo Antico, per far pulsare di nuovo il cuore della città di Taranto e far ritornare protagonista l’Isola nella quale noi tarantini abbiamo le nostre radici e vederla nell’occasione più importante dell’anno risplendere con la sua storia ed il suo mare che sono il suo abito più bello.

Concludendo vorrei lasciare spazio alle emozioni e son sicuro che da lassù il Priore Piangiolino forse plauda a questa nostra iniziativa, perché è nostra intenzione riscoprire le tradizioni dei nostri padri, rivivere i luoghi che le hanno viste nascere per dare lustro e decoro alla nostra confraternita ed alla nostra città. Sono anche sicuro che da lassù rivedendo quelle otto statue varcare di nuovo il Ponte Girevole, non solo il Priore Piangiolino, ma anche tutti i vecchi amministratori ed i confratelli che non ci sono più e che in passato varcavano il ponte con quelle statue in spalla, stilleranno di gioia e non mancheranno di assisterci durante la processione affinché ogni cosa vada per il meglio.

lunedì 19 gennaio 2015

"Bentornato a casa"


Valeria Malknecht

Saranno anche le solite parole “trite e ritrite”, ma quando si è lontani dalla propria città (per lavoro, per studio oppure a causa di un trasferimento), si avverte una sensazione di “strappo”, di malinconia e di nostalgia che non si riesce bene a spiegare da cosa derivi esattamente.
È vero, ciò che qui lasciamo (la famiglia, gli amici) ci manca terribilmente, ma spesso accade di sentire la mancanza non solo delle persone, ma anche dei nostri luoghi, delle nostre vie e del nostro mare.
In altre parole sentiamo la mancanza della nostra città, seppur problematica, inquinata e allo stremo delle proprie forze.

Sentiamo la mancanza della nostra terra.
Perché è la terra che ci ha visti crescere e perché è in quella terra che vivono ancora ben salde le nostre radici, che non si spezzano.
E fra le radici che ci tengono ben saldi con il cuore qui e che ci fanno sentire a casa anche se siamo a centinaia di chilometri di distanza, ce n’è una che resiste a qualsiasi tipo di terremoto ed a qualunque momentaneo trasloco o trasferimento: l’attesa della nostra Settimana Santa.

Alzi la mano chi in questi giorni, vicino o lontano che sia, non ha pensato di ascoltare anche solo per pochi secondi qualcuna delle bellissime marce funebri che sono un po’ la colonna sonora delle nostre tradizioni pasquali.
Chi di noi non ha guardato con occhi un po’ diversi quel Gesù Morto e quell’Addolorata incoronata che ormai da quasi un anno sono esposti alla venerazione dei fedeli proprio innanzi all’altare della nostra Titolare.
 
Chi di noi non ha frugato fra le vecchie cassette VHS, o fra i più recenti cd e dvd, alla ricerca di qualche filmato delle nostre processioni, per immergersi in quel clima così personale e così familiare che “fa subito casa”.
I filmati, le immagini e la musica che ci aiutano a vivere l’attesa dei Riti della Settimana Santa sono un linguaggio universale che, grazie all’aiuto di internet, può essere usato da tutti, in qualunque momento della giornata e ovunque.

E per il tramite di questo potente mezzo di comunicazione, chi è lontano da casa può sentirsi vicino e partecipe delle proprie delle tradizioni che ci legano a questa nostra terra…che è fatta sì di fumi neri, ma anche di gente che attende di rientrare e di vivere con fede i propri riti.

E così, diventa quasi un rito nel rito avviare quel filmato o mettere play a quel motivo musicale per essere in pochi secondi “virtualmente” qui a Taranto e viaggiare con la mente fra le nostre strade affollate di gente, a percepire quasi l’odore di quelle notti, a sentire nel cuore l’emozione che ogni anno si rinnova.
E ci si chiede se anche quest’anno ci sarà la possibilità di tornare in tempo, di partecipare almeno ad una via crucis o ad un concerto. 

I tarantini c.d. “fuori sede”, quelli che hanno la città e le nostre tradizioni nel cuore, non sono mai davvero andati via da qui.
E se a volte la mancanza di tutto ciò che li lega a questa terra pare incolmabile (compresa l’impossibilità di poter partecipare di persona ai riti della nostra settimana santa), la gioia che si prova ad ogni ritorno li appaga di ogni attesa.

E quella gioia e quella serenità dell’essere “finalmente a casa” la si percepisce fin da quando, provenendo dalla statale 106, all’improvviso compare davanti ai nostri occhi la città vecchia, il mare calmo e le sue barche attraccate e, sullo sfondo, l’immagine familiare della facciata della Chiesa di San Domenico e del campanile di San Cataldo che, puntualmente, pare siano lì per dire “bentornato a casa”.

E ogni volta, scorgendo la scalinata della Chiesa di San Domenico, il pensiero va a Lei che anche quest’anno ti permetterà di andarle in contro nel cuore della notte, mentre una banda intona le primissime note di “A Gravame”.

domenica 18 gennaio 2015

La manina sul mio guanto



 Luciachiara Palumbo

foto: Emanuele Damone
Sono immerso nella preghiera dopo ore che cammino, dopo ore che nazzico con il mio compagno affianco. Quell'andamento è diventato parte di me e l'equilibrio ora è così perfetto da venire spontaneo lo spingersi uno verso l'altro. Posso permettermi di pensare solo a quello che sto ascoltando, al dolore che sto provando mentre nella testa riaffiorano tutti i sacrifici, infinitamente piccoli rispetto al Suo… Le marce mi portano via, mi portano lontano ed è come se quel mondo così piccino, visto attraverso quei forellini, sparisse piano piano e ci fossi solo io… solo io che chiedo perdono e che amo quel mio tenero Salvatore. 

 Ma improvvisamente qualcosa mi distoglie, sento qualcosa appoggiarsi sul mio guanto bianco. Abbasso la testa per cercare di mettere a fuoco l'immagine… E' un bellissimo bambino, che in braccio al papà si divincola per afferrarmi, appoggia la sua manina sulla mia e segue il mio ritmo. Gli faccio ciao e sorrido ma so che non può vedermi e spero che non abbia paura di me… "non sono un fantasma", gli dico nella mia testa. Il bimbo sembra capire cosa ho detto e allarga i dentini in un sorriso, continuando a stringermi la mano… Le mie mani… Le mani di un semplice uomo eppure i piccoli fanno di tutto per toccarle, le vanno cercando; è il loro modo per sentirsi vicino a me, per conoscermi e per non avere paura. Queste mani che distrattamente hanno indossato i guanti poche ore fa come consuetudine, dimenticando il perché di questo gesto. Quei guanti bianchi che mi purificano, quei guanti che toccano un pezzo di sofferenza di Cristo. Quei guanti che impugnano il bordone, che scaricano su di esso tutto il peso
foto: Emanuele Damone
del mio corpo affaticato… Quei guanti che impugnano il rosario, che stringono quella corda di amore con Dio.

I grani scivolano sul palmo e tante volte tento di arrivare a sfiorare le medaglie che mi ricordano il cammino svolto in questi anni e di cui amo il suono. Quei guanti che abbassano il cappello in modo che possa salutare umilmente il mio Creatore. Quei guanti che pregano davanti all'altare della Reposizione, quei guanti dove nascondo il mio volto per supplicargli pietà e misericordia di me… Quei guanti che sperano di poter impugnare la troccola, di poterla scuotere e così di scuotere gli animi di tutti coloro che mi circondano… Quei guanti che caricano le sdanghe sulle spalle e così sollevano la croce di Cristo, quella croce che mi piace portare e quel Gesù che mi piace aiutare… I guanti bianchi avvolgono le mie mani, le mani di una semplice persona che, bambino mio, chiede scusa. Sono mani come tante altre, ma oggi le stringo forti alle tue come se fossero speciali… come se fossero le mani di quell'uomo che tanto tempo fa le aveva rovinate tutte a furia di portare quel legno scorticato, come se fossero le mani di Dio… stringile e custodiscile nei tuoi ricordi, un giorno, se lo vorrai, sarai qui anche tu.

giovedì 15 gennaio 2015

La preghiera del corpo nella Liturgia

Dal trattato "Brevi cenni sulla preghiera del corpo" di Giovanni Schinaia, una sintesi in tre puntate:

1) La preghiera del corpo nella Liturrgia (qui di seguito)

Nelle prossime settimane:

2) La preghiera del corpo nella Pietà Popolare
3) I gesti della nostra Settimana Santa, valore latreutico e valore simbolico - didattico


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La preghiera del cristiano è rivolta a Dio attraverso una pluralità di linguaggi: c’è anzitutto il linguaggio verbale, cioè le parole che vengono effettivamente pronunciate, se si tratta di preghiera comunitaria, o anche solo pensate, se si tratta di preghiera personale; e c’è il linguaggio non verbale, quello del corpo, con i gesti, le posture, i movimenti, gli atteggiamenti. Provenendo dal medesimo moto del cuore ed essendo entrambi delle espressioni con cui l’unica orazione viene elevata a Dio, i due linguaggi sono complementari l’uno all’altro e per questo motivo sono estremamente importanti. Lo sono per qualunque cristiano; e lo sono a maggior ragione per quanti zelano una spiritualità come quella della nostra Confraternita che, a ben ragione, potrebbe essere definita come una “spiritualità dei gesti”.

Il gesto e la postura, accompagnano dunque la parola nella medesima orazione. Tanto è particolarmente chiaro nella divina liturgia, specialmente nella celebrazione della Santa Messa che è il momento irrinunciabile per la vita del cristiano, il punto di partenza e insieme il fine ultimo a cui tendono tutti gli esercizi di pietà, il modello indefettibile al quale conformare ogni preghiera, ogni orazione. Tanto ha insegnato il Venerabile Servo di Dio, il grande Papa Pio XII nell’enciclica Mediator Dei: “L'augusto Sacrificio dell'altare è l’atto fondamentale del culto divino; è necessario, perciò, che esso sia la fonte e il centro anche della pietà cristiana”. Tanto ribadisce il Concilio Vaticano II nella Costituzione Sacrosantum Concilium: “… la liturgia è il culmine verso cui tende l'azione della Chiesa e, al tempo stesso, la fonte da cui promana tutta la sua energia”.

Nel corso della Santa Messa i fedeli assumono tre posizioni fondamentali: in ginocchio, in piedi, seduti. Le tre posture corrispondono a momenti specifici e distinti della celebrazione. La posizione in ginocchio è quella dell’adorazione; essa va riservata all’adorazione del SS.mo Sacramento, al momento quindi della Consacrazione delle Specie Eucaristiche, al Canone, alla preghiera di ringraziamento dopo aver ricevuto la Comunione. La posizione seduti è quella dell’ascolto, al momento dell’omelia e alla proclamazione della Parola. Ma non alla proclamazione del Vangelo, che va ascoltato in piedi; la postura in piedi è inoltre quella dell’orazione, quella comunitaria, come il Gloria e la Professione di Fede, e quella che il Celebrante rivolge a Dio a nome del popolo e a cui il popolo aderisce, a seconda dei casi, in forma dialogica o con l’Amen conclusivo.

Ci sono poi i gesti, a partire dal segno di Croce che apre e chiude la celebrazione. Ci sono gli inchini, le genuflessioni, la mano sul petto al momento del “mea culpa”, le mani giunte nell’atto di adorazione e al momento di ricevere la Comunione. Guardare e acquisire consapevolezza, poi, dei gesti che si compiono sul presbiterio, fornirebbe materia non per una catechesi, ma per un lungo ciclo di catechesi! E in effetti il nostro don Marco Gerardo ne ha parlato diffusamente nelle predicazioni quaresimali del 2013. Al Santissimo Sacramento è dovuta sempre la genuflessione, alle immagini sacre invece, l’inchino. I ministranti si inchinano davanti al celebrante e davanti all’altare quando transitano da una parte all’altra del presbiterio. Celebrante e ministranti accompagnano con un lieve inchino i nomi di Gesù e Maria ogni volta che vengono menzionati nelle orazioni o nel Canone.

È un gesto la processione introitale del Celebrante con i ministranti, processione che rappresenta la Chiesa come comunità in cammino che “sale” all’Altare del Signore per la celebrazione del Santo Sacrificio; sono gesti i vari spostamenti del Sacerdote fra la sede, l’ambone e l’altare, i tre luoghi della celebrazione; sono gesti quelli compiuti con i sacri vasi, all’offertorio, alla Consacrazione, al momento dell’ostensione, alla comunione e alla purificazione finale; sono gesti le diverse genuflessioni e i diversi inchini del celebrante, che scandiscono l’intera celebrazione. Come sempre nella liturgia, niente da aggiungere e niente da togliere. A tal proposito un recente ottimo articolo su “Il Timone” del padre Henry Vargas Holguín riporta l’attenzione sulla pratica diffusa del prendersi per mano alla recita del Padre Nostro durante la Messa. È una pratica non prevista fra i gesti della liturgia; una pratica non sbagliata in se stessa ma di derivazione protestante. Ricorda Vargas Holguín come i protestanti, avendo – a suo tempo – rifiutato la Comunione eucaristica, esprimono la comunione ecclesiale mediate il prendersi per mano. I cattolici invece esprimono la comunione al momento di ricevere l’Eucaristia. Ecco uno di quei casi in cui basterebbe un po’ di consapevolezza per evitare di “contaminare” la liturgia.

La compostezza, la precisione, la puntualità e la dignità dei gesti compiuti sul presbiterio, acquistano non solo una funzione cultuale, ma anche una didattica. In altre parole, si tratta di gesti anzitutto finalizzati al culto divino, rivolti cioè a Dio, a cui è destinato il Santo Sacrificio che si compie sull’altare; ma allo stesso tempo quei gesti compiuti dal celebrante e dai ministranti hanno una funzione educativa nei confronti del popolo. I gesti e le posture al momento e nella misura adatti, saranno un esempio per il popolo che assiste e che si comporterà di conseguenza. Il sacerdote, in questo modo svolge la sua missione di educatore della comunità, non solo con le parole ma anche con l’esempio paziente e continuato. Il nostro Arcivescovo, mons, Filippo Santoro, nell’omelia della Santa Messa per l’inizio dell’Anno Pastorale diocesano, lo scorso 13 settembre a San Giovanni Rotondo, ha rivolto a tutti un forte richiamo proprio sull’importanza dei gesti nella liturgia. I segni, ha spiegato l’Arcivescovo, vanno compiuti bene, in modo che siano visibili e comprensibili. Il popolo, educato con la parola e con l’esempio, realizzerà così nel migliore dei modi quella “actuosa participatio”, quella partecipazione “attiva” che il Vaticano II auspicava ormai 50 anni fa.

Quante volte negli anni si è confusa quella “partecipazione attiva” con l’indebita intrusione di gesti estranei a quelli liturgici. A volte – come si è visto nel caso del tenersi per mano durante il Pater noster – in fin dei conti innocui se pur inopportuni; e a volte oggettivamente dannosi. Non è credibile che il popolo di Dio apprezzi quel celebrante che sul presbiterio, durante la celebrazione della divina liturgia, si comporta come un pagliaccio, aggiungendo o togliendo al rito secondo il proprio arbitrio, assumendo posture o atteggiamenti estranei a quelli prescritti. Ma il gesto inopportuno, lo sviamento dalla prescrizione liturgica inevitabilmente mortificherà e svilirà il Rito sacrificale, trasformando la Messa in un tristissimo “one man show” e i fedeli in spettatori e vittime inconsapevoli dell’altrui dappocaggine.

Non si tratta naturalmente di essere attaccati al formalismo fine a se stesso. Si tratta piuttosto della consapevolezza che il gesto liturgico, non diversamente dalla parola, intanto è valido in quanto è normato. Intanto si tratta di preghiera del corpo “liturgica”, in quanto è unica e “cattolica”, cioè universale, uguale a se stessa a tutte le latitudini, in tutte le Basiliche, santuari, parrocchie e oratori del mondo, che a celebrare sia il Papa o l’ultimo e più giovane sacerdote appena ordinato. Non è la liturgia il luogo della creatività o dei gesti “spontanei”. Per quello ci sono gli altri momenti di preghiera. Il popolo cristiano, sin dai primi secoli della storia della Chiesa, ha espresso il proprio sensus fidei nella preghiera personale e soprattutto negli esercizi di pietà popolare.... (Continua)


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