mercoledì 29 aprile 2015

La Corona del Rosario

Umberto De Angelis

La corona del rosario è una componente importante dell’abito di Rito che i confratelli indossano durante le processioni. Come descritto nel nostro Regolamento: “il rosario a cinque poste deve essere in ottone con grani di colore nero. La parte terminale dello stesso dovrà avere delle medaglie di colore dorato e/o argentato ed un Crocifisso. Il rosario penderà sul lato destro del camice e non dovrà coprire lo scapolare che rappresenta l’elemento centrale di tutto l’abito”.

In genere la corona è fissata con delle fettucce alla cinta che si indossa sul camice, in modo da tenere la parte con il crocifisso e le medaglie dal lato destro e si lega sul lato sinistro in modo da lasciare che le decine formino due archi che non devono coprire lo scapolare .

La corona del rosario quando si partecipa al pellegrinaggio del Giovedì Santo (e della mattina del Venerdì Santo), invece è avvolta sul braccio che non mantiene il bordone (il bastone del pellegrino), lasciando che la parte terminale con le medaglie e il Crocifisso resti visibile appena sotto la mozzetta. In genere è lasciata libera una “decina” che serve proprio per l’esercizio delle preghiere della posta (coppia) di perdoni durante il cammino. All’arrivo nelle chiese davanti all’altare della Reposizione e quando due poste si incontrano, i perdoni nel saluto incrociano il bordone tenuto in una mano con il rosario tenuto nell’altra mano e le medaglie sbattono sul petto con il caratteristico tintinnio. La raccolta delle medaglie con immagini religiose che i confratelli portano in fondo al rosario vicino al Crocifisso in genere è il “ricordo” di pellegrinaggi in santuari o località di culto diverse ed hanno un particolare valore affettivo personale.

Relativamente alle origini storiche La parola "rosario" deriva da un'usanza medioevale che consisteva nel mettere una corona di rose sulle statue della Vergine; queste rose erano simbolo delle preghiere "belle" e "profumate" rivolte a Maria. Così nacque l'idea di utilizzare una collana di grani (la corona) per guidare la meditazione. Nel XIII secolo, i monaci cistercensi elaborarono, a partire da questa collana, una nuova preghiera che chiamarono rosario, dato che la comparavano ad una corona di rose mistiche offerte alla Vergine. Questa devozione fu resa popolare da San Domenico, il quale, secondo la tradizione, ricevette nel 1214 il primo rosario dalla Vergine Maria, nella prima di una serie di apparizioni, come un mezzo per la conversione dei non credenti e dei peccatori.

Nel 1571, anno della Battaglia di Lepanto, Papa Pio V chiese alla cristianità di pregare con il rosario per chiedere la liberazione dalla minaccia turco-ottomana. La vittoria della flotta cristiana, avvenuta il 7 ottobre, venne attribuita all'intercessione della Vergine Maria, invocata con il rosario. In seguito a ciò il papa introdusse nel Calendario liturgico la festa della Madonna del Rosario per quello stesso giorno. Grande impulso si ebbe nei secoli XIX e XX con le apparizioni di Maria a Lourdes e a Fatima. La Madonna apparve a Lourdes con la corona del rosario.

martedì 28 aprile 2015

Studio sulla troccola parte terza

Giuseppe di Nunno


Trokos (la campana del Venerdì Santo) 



Il rintocco più povero, fatto di legno e di ferro, 
il rintocco più storico, perché risuonò sul Golgota, 
il rintocco eco del tempo, quando si fece buio sulla terra, 
il rintocco più stridente, nel dolore della Croce,
 il rintocco più sacro sulla Via del Venerdì Santo,
 il rintocco più vicino alla Chiesa, 
perché scende dai Campanili per andare in mano per le strade, 
il rintocco di tanti Continenti, d’Italia, di Spagna, del Sud America, 
Troccola, Matraca, a mani nude, a piedi scalzi
, il rintocco che si fa preghiera sulla Via Crucis del Cristo Morto,
 il rintocco che si fa eterna fede,
nella luce del Cristo Risorto.  


Comunicato Stampa a firma del Priore Cav. Antonello Papalia

Trascriviamo il comunicato stampa di ringraziamento a firma del Priore relativo alla Processione dei Misteri in città vecchia, riteniamo inutile ogni commento o pubblicare un articolo in merito, lo pubblichiamo integralmente, certi che, anche questo, sarà un ricordo da conservare nella memoria di ognuno di noi.. il bello di saper dire "grazie"racchiuso in queste parole. 



Giunti a qualche settimane dalla meravigliosa Processione dei Misteri in città vecchia mi è doveroso condividere alcune riflessioni e ringraziare pubblicamente le tante persone che hanno permesso questo evento storico e straordinario.

Grazie a Mons. Marco Morrone e alla comunità parrocchiale di San Cataldo per averci accolti nella notte del Venerdì Santo nella stupenda Cattedrale della nostra Città.
Un ringraziamento speciale al Questore, Dr. Enzo Giuseppe Mangini, persona che ha creduto nel progetto prodigandosi, con determinazione, per superare le molte difficoltà che esso comportava.
Grazie al Dr. Antonio Calcagni per il perfetto coordinamento del servizio di ordine pubblico.
Grazie al Comandante Provinciale dei Carabinieri, Col. Daniele Sirimarco e della Guardia di Finanza, Col. Salvatore Paiano che, unitamente a tutte le altre forze di Polizia e al 118 di Taranto, con il dott. Balzanelli, hanno reso sicure le strade percorse dalla processione.
Grazie al Comandante della Capitaneria di Porto di Taranto C.V. Giuseppe Famà, per la fattiva collaborazione e per aver consentito la realizzazione, presso i propri locali, della centrale operativa interforze.
Grazie al Signor Sindaco di Taranto Dr. Ippazio Stefano e agli Assessori Francesco Cosa, Gionata Scasciamacchia, Cosima Lorusso, ai Dirigenti Egidio Pranzo e Carmine Pisano nonché ai tecnici comunali dell’ufficio Risanamento Città Vecchia che si sono adoperati per risolvere le problematiche relative alle condizioni, purtroppo non ideali, in cui versa il nostro centro storico.
In particolare il mio grazie va all’Architetto Mino Netti, eccellente professionista e uomo del fare, non del rinviare.
Grazie ai Presidenti Dr. Walter Poggi e Dott.sa Rosa Di Benedetto ed ai Dirigenti dell’AMAT e dell’AMIU per la concreta collaborazione, nonché al Comandante dei Vigili del Fuoco dott. Francesco Notaro e della Guardia Forestale dott. Giovanni Verdiglione.
Un grazie particolare e colmo di gratitudine al Comandante della Polizia Locale Michele Matichecchia che ha, con molta pazienza e concreta operatività, superato ogni ostacolo. 
La gratitudine va estesa a tutti gli appartenenti al Corpo, con una speciale menzione al Capitano Raffaele Maragnoche ha seguito dall’inizio l’organizzazione del piano di sicurezza per lo svolgimento della processione.
Grazie a tutte queste persone e molte altre che nell’ombra, con uno sforzo sovrumano e con un lavoro di preparazione capillare e meticoloso, hanno permesso ed hanno fatto sì che un evento così importante e che presentava molte incognite, come l’imponente Processione dei Misteri in città vecchia, avvenisse senza il minimo inconveniente e senza che l’ordine e la sicurezza pubblica nonché l’incolumità dei fedeli, dei partecipanti tutti e dei simulacri, venissero mai messe in pericolo.

Dietro tutto ciò vi è stato un lavoro certosino, una preparazione iniziata molti mesi fa che ha dato i suoi frutti e per la quale io personalmente e l’Arciconfraternita tutta saremo sempre grati alle persone che ho elencato e ad ogni singolo appartenente alle Forze dell’Ordine e alle unità di soccorso impegnati durante il Venerdì e il Sabato Santo.

Un ringraziamento va alla cittadinanzadi Taranto che, con una partecipazione di fede fuori dal comune, ha riempito le strade del Borgo Antico stringendosi attorno ai suoi Perdoni, alle sue Statue, ai suoi Simboli, in un abbraccio storico, straordinario come straordinaria era la Processione dei Misteri. Così come non potremo mai dimenticare le cinquantamila presenze in Via Garibaldi che, “avvolgendo” con la loro fede il Corteo Professionale, hanno scortato i Confratelli sino alla scalinata della Via Nuova con una compostezza e con un calore senza precedenti. Il tutto nella piena condivisione della meravigliosa gente della città vecchia che ha accolto la processione con una compostezza e una disponibilità che resteranno per sempre nei nostri cuori.

E poi, lasciatemelo dire, il grazie più grande va ai “miei” Confratelli, ai partecipanti attivi e a quelli che sono stati a loro vicini per tutta la durata della Processione, orbene tutti loro, indistintamente uno per uno, dopo 250 anni, hanno rinnovato quel patto ideale con la famiglia Calò, dimostrando  per le strade della nostra città, qualora ce ne fosse bisogno, tutto il loro decoro, la loro dignità, il loro contegno nello svolgere quello che, sicuramente, sarà ricordato come l’evento degli eventi nella storia della nostra Arciconfraternita.

I confratelli sono stati il “trait d’union” ideale tra l’organizzazione meticolosa della Processione e la marea di fedeli accorsa ad ammirarla, dando prova, come sempre, di meritare tutti quegli occhi estasiati e in preghiera che hanno affollato le vie della nostra città.

Una Processione unica, per spazi e situazioni addirittura sconosciuta alle generazioni di confratelli che oggi partecipano ai Riti, eppure svolta, soprattutto dai più giovani, con una compostezza quasi maggiore del solito, con la consapevolezza che quello che si stava facendo era “la storia” della Confraternita e la storia va sempre onorata.

Ricorderò uno per uno i volti dei giovani portatori, dei più anziani, degli storici confratelli, il loro stupore nell’attraversare le strade che furono attraversate dai  loro predecessori, che furono solcate dalle “nazzicate” dei nostri avi, l’imponenza del Duomo che ha accolto i nostri Simboli, un ritorno a casa che è stato antico e nuovo nello stesso tempo e che ci ha “rigenerati” in vista dei prossimi duecentocinquanta anni, come felicemente ebbe a suggerirci il nostro Padre Spirituale Mons. Marco Gerardo quando si iniziò a parlare della Processione nel borgo antico.

E come non ringraziare immensamente il nostro Arcivescovo Mons. Filippo Santoro, Egli ha permesso tutto questo, ci ha concesso questa Processione meravigliosa e straordinaria, da buon padre ci ha accolto nella Sua casa, mettendo a disposizione l’Episcopio; felice, Lui per primo, ha voluto questo evento da noi promosso per valorizzare quella parte sfortunata della nostra città che tanto è martoriata e che tanto merita una rivalutazione storica, senz’altro, ma che permetta a questa parte così bella della nostra Taranto di poter vivere e di poter essere vissuta non solo due giorni all’anno ma sempre.
   
Chiudo queste mie riflessioni, riprendendo proprio le parole dell’Arcivescovo, facendole mie, sperando che questa sinergia tra le forze messe in campo per l’organizzazione della Processione in città vecchia possa essere sprone ed esempio per tutte quelle Autorità ed Istituzioni che hanno il diritto/dovere di non arrendersi, che hanno le risorse per sperare e far sperare in un futuro radioso non solo del Borgo Antico di Taranto ma di tutta la città, perché abbiamo dimostrato che insieme, con una comunione di intenti, con gli stessi obiettivi tutto si può fare e in tutto si può riuscire.


                                                                                                                 Il Priore
                                                                                                      Cav. Antonello Papalia

lunedì 27 aprile 2015

I Misteri 2015- parte terza

Claudio Capraro

Travi di sostegno alla nostra destra a puntellare uno stabile pericolante. Alzando la testa, in alto sopra di noi, ruderi diroccati. Un palazzo con le finestre nude, senza più infissi. Il cuore di questa città; una città ferita ed il suo cuore trafitto proprio come quello nella mano della Vergine. L’isola che l’ultima volta che ha visto passare queste statue per le sue strette viuzze era in uno stato differente dall’attuale: l’evacuazione di massa verso quartieri satellite non era ancora cominciata; la densità era parecchio più elevata; lo stato degli immobili, per quanto vetusti, sicuramente migliore di quello attuale. Siamo tornati qui anche per questo: sperando che la nostra presenza, che la presenza di queste statue possa essere la scintilla che faccia ripartire tutta Taranto a cominciare proprio da questo scoglio.

La Sindone è andata; adesso tocca a Gesù morto. Noi lentamente ci avviciniamo a vico Via Nuova.


La bara del Cristo ha cominciato la salita; pochi istanti e scompare al nostro sguardo. Le forze dell’ordine sono schierate all’imbocco della scalinata; passa solo la processione e chi è autorizzato.

La squadra degli economi e degli addetti ci raggiunge. Con gesti coordinati e con ordini decisi ognuno prende il suo posto: sdanghe, forcelle, collaboratori, ognuno sa dove andare. Entriamo nell’imbuto degli uomini in divisa e si parte. Senza sosta, senza rallentare, con la statua tenuta in mano, facendo attenzione agli spazi, ai lampioni, ai cavi sospesi. Noi a faccia avanti, i collaboratori di spalle, salendo all’indietro, “sentendo” il gradino successivo con il tallone, parlando sottovoce: “prò?”, “via!” e ancora: “prò?”, “via!” e di nuovo: “prò?”, “via!”, così per tutti i gradini. Nel silenzio solo il tintinnio dei medaglieri degli sdanghieri.

“Prò?”, “via!” e siamo in cima, con il fiato corto. Cosa è stato più difficile? Lo sforzo fisico o la preoccupazione per la statua? Sicuramente l’attenzione massima affinché la Vergine Addolorata non avesse alcun tipo di problema.

Via Duomo: alle spalle le transenne bloccano la folla adorante ed orante. Davanti il Duomo. La statua sulle forcelle, il tempo di sistemarsi velocemente: gli sdanghieri gli scapolari e le mozzette, le forcelle i papillon e le corone sulla testa. Gregucci è arrivato, ai bandisti giusto il tempo di riprendersi e si riattacca a suonare. Ricominciamo a muoverci, e quasi non abbiamo avuto modo di assaporare uno dei momenti più belli, più intimi, più emozionanti di questa processione.

Via Duomo in quel tratto è scarsamente illuminata; sono presenti poche persone: gli autorizzati e qualcuno che si è infilato. Differente da pochi minuti prima, dalla folla di una via Garibaldi illuminata. Soltanto un particolare continua ad essere lo stesso: il silenzio, il raccoglimento. Avanziamo a poco a poco, con Gesù morto davanti a noi e la Sindone ad indicarci la direzione, le altre statue non le vediamo.

La strada termina, la luce delle fotoelettriche squarcia il buio, tornano le transenne al di là delle quali sono assiepate migliaia di persone. La facciata del Duomo è lì davanti, il pavimento cambia colore dal nero dell’asfalto al bianco delle chianche. Il portale è spalancato e man mano che ci avviciniamo riusciamo a scorgere il popolo dei fedeli che affolla le navate. Sappiamo che dentro il nostro coro, il coro del Carmine, sta cantando già da un po’ i versi della via Crucis del Marinosci, ma non sentiamo ancora nulla; le note delle bande non ce lo permettono. Per cinque domeniche abbiamo ascoltato quei versi e il nostro spirito si è preparato a questo triduo. Per cinque domeniche abbiamo ascoltato quelle note e abbiamo rivissuto con le letture e le meditazioni il cammino di Cristo sul Calvario. Quest’anno c’è un sesto appuntamento. Si sta svolgendo già da un po’, adesso è arrivato quasi alla fine. Quando faremo il nostro ingresso sarà la volta dell’ultimo canto, quello che ha sempre suscitato maggiori emozioni.

Si arriva sulla soglia, dopo aver atteso qualche istante per poter creare uno spazio sufficiente con la statua davanti a noi, entriamo. E dall’organo partono le note della “Desolata”; finita l’introduzione musicale, dalla cantoria, alle spalle dell’altare maggiore, arrivano le voci melodiose del coro: “muta, trafitta, immobile, Madre dolente stai…” e proprio così Lei sta, sulle nostre spalle.

Man mano che avanziamo nella navata centrale, abbiamo modo di vedere una immagine che probabilmente nessuno dei presenti vedrà più: le prime sei statue della processione dei misteri alla nostra sinistra, sotto le colonne del tempio intitolato al Santo Irlandese. Le colonne ognuna con un capitello diverso, come ci hanno insegnato le nostre maestre quando alle elementari entravamo le prime volte in questa magnifica chiesa, in gita di istruzione.

Gesù morto avanza sulla scala a sinistra dell’altare e viene portato sul presbiterio. Avanza anche la Vergine Addolorata, che segue il suo figlio defunto.

“Ahi! Quanto o Madre amabile…” canta il coro, mentre terminata la scala e sempre con l’aiuto degli economi, facendo attenzione ad evitare tutti gli ostacoli, anche il simulacro della Vergine arriva accanto alla statua di Gesù morto e posto sul tusello designato allo scopo. Il popolo dei fedeli per tutta la durata del canto è rimasto muto; rapito da ciò che le orecchie ascoltavano e da ciò che gli occhi stavano guardando. Più di qualcuno aveva la vista annebbiata dalle lacrime. Anche noi, sia pure stanchi e infreddoliti, a metà del percorso, una volta lasciata la statua siamo rimasti fermi qualche istante, quasi come se volessimo che quel momento non terminasse più. Tra i tanti momenti da ricordare di questa storica processione, l’ingresso in Cattedrale insieme con i fedeli, i canti della Via Crucis ed in particolare il mottetto alla Desolata, il posizionare le due statue originarie, donate dai Calò, sull’altare, saranno sicuramente alcuni che resteranno nella memoria di tanti.

domenica 26 aprile 2015

Lontano da Taranto

Antonino Russo

Non so quanti confratelli e consorelle abbiano passato un Triduo Pasquale fuori Taranto per motivi di lavoro o perché comunque costretti ad essere lontani dalla città negli unici giorni in cui la stessa riscopre la sua identità e bellezza grazie ai nostri Riti.

E ancora, non so quanti abbiano mancato (magari anche solo parzialmente) questo appuntamento in questo 250° anniversario.


Ebbene, io sono tra questi: il giovedì Santo dell’Aprile 2015, ero a Torino.

Il cuore era a Taranto, non solo - come sempre accade durante le trasferte lavorative - rivolto alla mia famiglia ma, questa volta, con una lacerazione in più: non avrei vissuto il Giovedì Santo. Mio cugino Roberto mi aveva contattato nei giorni precedenti per propormi il Pellegrinaggio in città vecchia: “mi spiace, sto fuori Taranto”.

Una frase che tanti hanno detto e che in molti continueranno a dire se le nostre questioni lavorative non verranno affrontate politicamente in una prospettiva di reale sviluppo che parte dall’università e continua con un percorso lavorativo degno di tale nome.

E così, mentre alle 15 usciva la prima posta, dalle finestre vedevo le Alpi. Qualcosa non tornava. Pausa. Sì, meglio una pausa. Davanti ad un caffè con altri colleghi si parla di settimana Santa. Provi a spiegare ma è difficile comprendere se non sei tarantino: “Siete pazzi!” mi dicono, “Precisamente MALATI, direbbe il Priore”.

Si parla dei Riti a Genova, delle tradizioni in Sicilia, nel Lazio e ognuno ha un ricordo, un lampo negli occhi.

Intanto sui Social Network tanti Confratelli postano foto e video: ma serve a poco, non è reale. Non sono reali i colori, non è reale il suono delle bande, non è reale la fatica.


Si riprende a lavorare e poi in aeroporto a prendere l’unico volo diretto per la Puglia. Atterraggio previsto a Bari (l’aeroporto a Taranto è ovviamente ancora utopia) alle 23:30.

Cerchi con l’immaginazione di far andare l’aereo più veloce, in fondo potresti ancora vivere uno scampolo di Giovedì Santo.

Poi un servizio navetta a riaccompagnarmi a Taranto dopo una sosta in provincia per lasciare un collega. Sono circa le 01:30 del Venerdì: anche l’Addolorata avrà lasciato San Domenico.

Non resta che aspettare la processione dei Misteri: ma questa è un’altra storia.

sabato 25 aprile 2015

Taranto Vecchia: abitanti e residenti scrivono a Vescovo e Confraternita del Carmine

“Grazie per i Misteri nell’Isola, teniamo viva la speranza non escludendo un ritorno tra i vicoli”
Sarà che a Taranto Vecchia siamo talmente abituati a sentir ripetere il lungo elenco di opere e servizi mancanti, al punto da non poter ignorare i gesti concreti. Sarà che, da bravi isolani, siamo legati a valori e modi di fare ormai andati. Ma, in tempi in cui tutto è dovuto, in rappresentanza di una nutrita schiera di abitanti e di commercianti della Città Vecchia di Taranto non possiamo fare a meno di esprimere pubblicamente la nostra gratitudine agli artefici dello storico ritorno della Processione dei Misteri nell’Isola.
Un ringraziamento dovuto, che segue di qualche settimana lo storico evento, Tempo che è stato utile per confrontarci, compattarci ed avviare una seria riflessione.
Prima ancora di ogni possibile valutazione, di ogni giudizio, di ogni dibattito su quanto di straordinario abbiamo visto nello storico Venerdì Santo del 250imo, sentiamo il dovere di gridare un grazie pieno, incondizionato, convinto.
Questo ringraziamento è innanzi tutto rivolto all’Arcivescovo di Taranto, monsignor Filippo Santoro. L’attenzione dell’Arcivescovado all’Isola non è una novità e, di conseguenza, non ci meraviglia. Da sempre chiese, religiosi, confraternite rappresentano l’eccezione alla quasi totale assenza di punti di riferimento e di agenti di socializzazione nel quartiere. Ma, se possibile, il presidio sull’Isola è divenuto ancor più presente, attento, percepito dall’insediamento di monsignor Santoro, che acconsentendo alla celebrazione del 250imo in Città Vecchia ha lanciato l’ennesimo concreto segnale nella direzione di un risanamento prima di tutto storico e umano dell’Isola.
Il nostro ringraziamento non può che estendersi a tutta l’Arciconfraternita del Carmine e al suo Priore, Antonello Papalia. Un ringraziamento all’audacia, allo sforzo organizzativo, alla fatica fisica sopportata dai confratelli nel freddo di via Garibaldi, lungo il difficile salto di quota della via Nuova, per gli angusti spazi della via Duomo.
Abitanti e commercianti della Città Vecchia, dopo il faticoso tentativo di “risvegliarsi” da una notte che, ancora oggi, facciamo fatica ad ammettere di aver realmente vissuto e non solo semplicemente sognato, continuano ogni giorno a ricordare e a discutere di quella notte. La notte in cui, nel celebrare il mistero della Resurrezione abbiamo potuto sperare nella rinascita del quartiere. Un quartiere che, con fede, decoro, silenzio e devozione ha dimostrato che non sono stati sufficienti decenni di esilio per strappare ai nostri cuori il Venerdi Santo. Fede, decoro, silenzio e devozione, insieme al fascino e alla sofferenza delle pietre, dei palazzi, dei vicoli del quartiere, sono diventati parte integrante del percorso penitenziale, conferendo allo stesso un fascino che i più giovani tra di noi avevano sentito solo raccontare.
Quando i Misteri abbandonarono la Città Vecchia, fu Taranto ad abbandonare l’Isola: accecata da un mito di modernizzazione che ha modificato la storia economica, sociale, umana e residenziale della nostra città. Avete riportato la Storia a casa, per questo siete e resterete nella Storia.
In tempi in cui non solo la nostra città, ma il mondo intero scopre gli effetti collaterali di quella modernizzazione esasperata che ha allontanato ogni uomo dai suoi tempi, dai suoi affetti, dalla sua sfera umana e spirituale, da quest’Isola in cui ancora crediamo al valore della gratitudine e della riconoscenza siamo a richiedere tanto all’Arcivescovo, quanto alla Confraternita del Carmine un incontro in forma privata, per poter portare personalmente il nostro ringraziamento e – con esso -il racconto di quella splendida notte insieme alla richiesta di tenere viva la speranza, non escludendo la possibilità di riportare ancora la Processione dei Misteri nell’Isola che le ha dato i natali.
Nel cogliere l’occasione per ringraziare tutti gli operatori coinvolti nell’immane sforzo organizzativo (da Prefetto e Questore a 118, Protezione Civile, Amiu), proveremo a compattare un numero sempre maggiore di abitanti e commercianti nell’Isola, per farci trovare pronti e fare in modo che nessuno dimentichi il 250imo.

Fonte: pugliapress.org

venerdì 24 aprile 2015

25 Aprile - San Marco

In occasione della ricorrenza di domani qualche cenno sulla vita di San Marco

Antonello Battista 


Il 25 Aprile la Chiesa Cattolica ricarda la figura di un santo che è tra i pilastri della nostra fede: San Marco evangelista. Ebreo di origine, nacque probabilmente fuori della Palestina, da famiglia benestante. San Pietro, che lo chiama «figlio mio», lo ebbe certamente con sé nei viaggi missionari in Oriente e a Roma, dove avrebbe scritto il Vangelo. 

Oltre alla familiarità con San Pietro, Marco può vantare una lunga comunità di vita con l'apostolo Paolo, che incontrò nel 44, quando Paolo e Barnaba portarono a Gerusalemme la colletta della comunità di Antiochia. 

Al ritorno, Barnaba portò con sé il giovane nipote Marco, che più tardi si troverà al fianco di San Paolo a Roma. Nel 66 san Paolo ci dà l'ultima informazione su Marco, scrivendo dalla prigione romana a Timoteo: «Porta con te Marco. Posso bene aver bisogno dei suoi servizi». L'evangelista probabilmente morì nel 68, di morte naturale, secondo una relazione, o secondo un'altra come martire, ad Alessandria d'Egitto. Gli Atti di Marco (IV secolo) riferiscono che il 24 aprile venne trascinato dai pagani per le vie di Alessandria legato con funi al collo. Gettato in carcere, il giorno dopo subì lo stesso atroce tormento e soccombette. 

Il suo corpo, dato alle fiamme, venne sottratto alla distruzione dai fedeli. Secondo una leggenda due mercanti veneziani avrebbero portato il corpo nell'828 nella città della Venezia della quale divenne patrono. La figura dell’evangelista Marco, è conosciuta soltanto da quanto riferiscono gli Atti degli Apostoli e alcune lettere di San Pietro e San Paolo; non fu certamente un discepolo del Signore e probabilmente non lo conobbe neppure, anche se qualche studioso lo identifica con il ragazzo, che secondo il Vangelo di Marco, seguì Gesù dopo l’arresto nell’orto del Getsemani, avvolto in un lenzuolo; i soldati cercarono di afferrarlo ed egli sfuggì nudo, lasciando il lenzuolo nelle loro mani. 

Quel ragazzo era Marco, figlio della vedova benestante Maria, che metteva a disposizione del Maestro la sua casa in Gerusalemme e l’annesso orto degli ulivi. Nella grande sala della loro casa, fu consumata l’Ultima Cena e lì si radunavano gli apostoli dopo la Passione e fino alla Pentecoste. Quello che è certo è che fu uno dei primi battezzati da Pietro, che frequentava assiduamente la sua casa. Il Vangelo scritto da Marco, considerato dalla maggioranza degli studiosi come “lo stenografo” di Pietro, va posto cronologicamente tra quello di San Matteo (scritto verso il 40) e quello di s. Luca (scritto verso il 62); esso fu scritto tra il 50 e il 60, nel periodo in cui Marco si trovava a Roma accanto a Pietro. 

È stato così descritto: “Marco come fu collaboratore di Pietro nella predicazione del Vangelo, così ne fu pure l’interprete e il portavoce autorizzato nella stesura del medesimo e ci ha per mezzo di esso, trasmesso la catechesi del Principe degli Apostoli, tale quale egli la predicava ai primi cristiani, specialmente nella Chiesa di Roma”.

Il racconto evangelico di Marco, scritto con vivacità e scioltezza in ognuno dei sedici capitoli che lo compongono, seguono uno schema altrettanto semplice; la predicazione del Battista, il ministero di Gesù in Galilea, il cammino verso Gerusalemme e l’ingresso solenne nella città, la Passione, Morte e Resurrezione. Tema del suo annunzio è la proclamazione di Gesù come Figlio di Dio, rivelato dal Padre, riconosciuto perfino dai demoni, rifiutato e contraddetto dalle folle, dai capi, dai discepoli. Momento culminante del suo Vangelo, è la professione del centurione romano pagano ai piedi di Gesù crocifisso: “Veramente quest’uomo era Figlio di Dio”, è la piena definizione della realtà di Gesù e la meta cui deve giungere anche il discepolo. 

La nostra città e la nostra comunità carmelitana sono fortemente legate alla figura di San Marco, infatti nella nostra Chiesa si conserva una colonnetta che sarebbe, secondo la tradizione, la pietra sulla quale lui insieme a San Pietro celebrò la prima eucarestia nella terra Jonica, tappa di un loro viaggio verso Roma.

Martirologio Romano: Festa di San Marco, Evangelista, che a Gerusalemme dapprima accompagnò San Paolo nel suo apostolato, poi seguì i passi di San Pietro, che lo chiamò figlio; si tramanda che a Roma abbia raccolto nel Vangelo da lui scritto le catechesi dell’Apostolo e che abbia fondato la Chiesa di Alessandria.

Emblema: Leone.

(Fonte SantieBeati.com)

mercoledì 22 aprile 2015

Le nuove lapidi commemorative nella nostra chiesa


Lo scorso 22 marzo, Va Domenica di Quaresima, Dominica Prima in Passione Domini, nella nostra chiesa sono state svelate e benedette due nuove lapidi commemorative, entrambe legate alle celebrazioni giubilari del 250mo anniversario della donazione delle statue di Gesù Morto e dell’Addolorata, dalla famiglia Calò al nostro sodalizio.

La prima lapide si trova al di sopra del sacello dedicato alla Vergine Addolorata. Il testo è il seguente:

XXI MAIUS MMXIV
AD LIMINA BEATI PETRI APOSTOLI IN VATICANO
SVMMVS ROMANVS PONTIFEX F.R.
FRANCISCVS P.P.
SACRVM SIMVLACRVM
DEIPARAE VIRGINIS PERDOLENTIS
IN ANNO JVBILAEO CCL AB CONFRATERNITATE EO DONATA
A N.H. FRANCISCO ANTONIO CALO’,
MORE CANONICO
CORONAVIT AC VENERAVIT.
A.P.R.M. SODALES POSVERUNT



Questa la traduzione:

Il 21 maggio 2014
Presso le dimore di San Pietro in Vaticano
Il Sommo Pontefice felicemente regnante
Francesco P.P.
Incoronò canonicamente e venerò
La sacra immagine
Della Beatissima Vergine Addolorata
Nell’Anno giubilare 250mo dalla donazione alla Confraternita
Da parte di don Francesco Antonio Calò.
A perpetuo ricordo
I Confratelli posero 


La seconda lapide si trova esattamente di fronte alla prima, sulla parete opposta della navata. Questo il testo:

N.H. FRANCISCVS ANTONIVS CALO’
IV APRILIS MDCCLXV
IESV MORTVI DEIPARAEQVE VIRGINIS PERDOLENTIS
ILLIS IPSIS SIMVLACRIS PARATIS
A N.H. DIDACO PATRVO SVO MAGNO
HANC CONFRATERNITATEM
VIRGINIS CARMELI COLLATAM DONAVIT
ANNO IVBILAEO CCL AB DONATIONE
AD PERPETVAM REI MEMORIAM,
PHILIPPO SANTORO ANTISTITE
MARCO GAERARDO CORRECTORE
ET ANTONELLO PAPALIA PRIORE,
SODALES POSVERVNT
IV APRILIS MMXV



La traduzione è la seguente:

Don Francesco Antonio Calò
Il 4 aprile del 1765
Donò quegli stessi simulacri
di Gesù Morto e della Beatissima Vergine Addolorata
fatti realizzare
da don Diego, fratello di suo nonno
a questa Confraternita
consacrata alla Madonna del Carmine
Nell’anno giubilare 250mo dalla donazione
a perpetuo ricordo
Quando Flippo Santoro era Vescovo
Marco Gerardo era Padre Spirituale
E Antonello Papalia era Priore
i Confratelli posero
4 APRILE 2015


Le lapidi sono state realizzate in marmo bianco di Carrara; la scritta è scolpita ed è colorata di “rosso cardinale”.

Latino o volgare

In fase di progettazione si è dovuto anzitutto scegliere se proporre un testo in lingua latina o in volgare. Nella scelta non è stato possibile utilizzare il criterio dell’uniformità rispetto alle altre lapidi presenti nella nostra chiesa: nel corso degli anni infatti, gli amministratori che nel tempo si sono succeduti hanno operato scelte diverse. E così, per esempio, la grande lapide commemorativa dedicata al padre spirituale mons. Raffaele Rossi, in seguito vescovo di Acerenza e Matera, è scritta in latino; la piccola lapide dedicata invece al Santo papa Giovanni Paolo II che la sera del 28 ottobre 1989 sostò in preghiera nella nostra chiesa, è scritta in volgare. Per le lapidi del nostro Giubileo è stata scelta la lingua latina per il carattere immobile ed eternante che una lingua come il latino ha, per il fatto di essere sottratta all’uso quotidiano, e quindi non suscettibile di slittamenti semantici o di registri espressivi. Un testo in italiano, col passare degli anni, sarebbe stato esposto al rischio di fraintendimenti, tanto lessicali quanto retorici. Del resto è il motivo per il quale, per 19 secoli, la Chiesa occidentale, per la liturgia, per l’insegnamento teologico e, non in ultimo, per la memoria, ha costantemente utilizzato la lingua latina, nei registri medio e sublime, riservando alla sola omiletica, alla catechesi e alla missio ad gentes, l’uso delle lingue vernacole.

La redazione del testo

Per la realizzazione di entrambe le lapidi, sono state esaminate diverse bozze di testo. Entrambe rispettano i canoni stilistici e le consuetudini linguistiche delle lapidi poste in edifici di culto. E così per indicare il sagrato della Basilica di San Pietro, dove si è svolta l’udienza generale nel corso della quale Papa Francesco ha coronato la nostra Addolorata, è stato utilizzato il termine LIMEN. Ma si tratta dello stesso termine utilizzato tradizionalmente per indicare più in generale la “casa” del Papa, posta sulla Tomba dell’Apostolo Pietro. L’espressione “ad limina” identifica infatti la visita che ogni cinque anni i Vescovi di tutto il mondo devono rendere al Papa, nella di lui casa.

Come in tutte le lapidi romane, il nome del sovrano Pontefice è seguito dalla doppia “P”, variamente interpretata dagli esperti di epigrafia cristiana, come “Pater Patruum” o “Primus Pontifex”, rispettivamente Padre di tutti i Vescovi, e Pontefice Massimo.

Da notare inoltre i due aggettivi che, quasi in un iperbato, accompagnano il sostantivo Virgo: Deipara e Perdolens. Il primo indica il carattere divino della singolarissima santità di Maria. Si sarebbe semplicemente potuto scrivere “Beatissima” o “Sancta”. L’uso di “Deipara” però, è una evidente citazione di un’altra lapide: quella posta sulla facciata della nostra chiesa che  ricorda la costruzione della stessa facciata nel 1937.

DEIPARAE VIRGINI
SUB TITVLO CARMELI
EIVSDEM CONFRATERNITAS
PIETATIS CAVSA
MAIORVMQUE VOTA EXPLENS
A.D. MCMXXXVII

(Dedicato alla Beatissima Vergine/ sotto il titolo del Carmelo/ la Confraternita col medesimo titolo/ per devozione/ e adempiendo i desideri degli antenati/ nell'anno del Signore 1937)
Il secondo aggettivo è “Perdolens”, tradotto in “Addolorata”. Nella primitiva bozza era stato utilizzato l’aggettivo “Dolorosa”, familiare un po’ a tutti i devoti dell’Addolorata per il suo utilizzo massivo nelle pie pratiche e nella liturgia in lingua latina, a partire almeno dalla famosa sequenza “Stabat Mater Dolorosa”, datata al XIII secolo e attribuita, anche se non univocamente, al Beato Jacopone da Todi. Si è infine optato per l’uso dell’aggettivo “Perdolens” su indicazione del Padre Spirituale il quale ha opportunamente fatto notare come nella bolla di concessione del nostro Anno Giubilare, il competente ufficio delle Penitenzieria Apostolica indica l’Addolorata con l’espressione “Maria Perdolens”. È risultato quanto mai opportuno quindi, anche in questo caso, optare per una citazione.

La redazione del testo della seconda lapide è stata notevolmente più laboriosa. La prima bozza presentava una fedele traduzione in latino di un passo del testo della donazione delle due statue redatto a suo tempo dal notaio: era il punto in cui si specificavano i motivi per cui don Francescantonio Calò aveva deciso di donare le statue, e con esse l’onore e l’onere di organizzare la processione del Venerdì Santo, alla nostra Confraternita. Bello… ma decisamente troppo lungo per una lapide commemorativa, indipendentemente dalla disponibilità di spazio! Il testo è stato quindi ridimensionato, avendo però cura di lasciare almeno il nome di “Didaco” – Diego Calò – il nobile, d’animo e di giustizia, al quale si deve l’inizio stesso della nostra processione, con la realizzazione dei due simulacri.

La datazione

Chiunque si trovi a comporre oggi un testo in latino, e si trovi a dover indicare in esso una data, deve scegliere fra la datazione di tipo moderno – giorno, mese, anno – e quella tradizionale– Kalendae, idi, nonae, etc. – in uso presso i Romani.
Nella seconda ipotesi nel date delle nostre lapidi sarebbero risultate scritte rispettivamente nel modo seguente:
- A.D. XII. KAL. IVN., cioè 12 giorni prima delle “calende di giugno”, quindi 21 maggio
- PRIDIE NONAS APRILES, cioè il giorno prima delle “none” di aprile, quindi 4 aprile.

Si è infine preferita la datazione nella forma “moderna”… che poi tanto moderna non è. Da uno studio comparativo, risulta infatti che nei contesti religiosi, sia letterari sia epigrafici, a partire dal 1582 si registra la preferenza a datare, anche in lingua latina, non più col metodo romano, ma col sistema al quale ancora oggi siamo abituati: giorno, mese, anno. Il 1582 è l’anno in cui papa Gregorio XIII, con la bolla “inter gravissimas” introduceva la riforma del calendario di Giulio Cesare, col “recupero” dei dieci giorni indebitamente accumulati nei secoli, e non rispondenti al calendario astronomico. Si passò quell’anno dal 4 ottobre al 15 ottobre, riportando l’armonia fra i cicli stagionali e il computo del calendario; quella riforma, col nome di “Calendario gregoriano”, è tutt’ora in vigore nella maggior parte dei paesi del mondo, non solo di tradizione cattolica. L’utilizzo quindi, per le nostre lapidi, della datazione con la numerazione romana, avrebbe rischiato di apparire come un inutile esercizio di culturismo classicista.

Nel rispetto dei canoni epigrafici, tanto pagani quanto cristiani, all’anno numerico – 2015 – si accompagnano i tre ablativi assoluti con i nomi delle persone che ricoprono le cariche di riferimento istituzionale in quello stesso anno: quello dell’Arcivescovo – “Antistes” è il termine utilizzato nella liturgia in latino – Filippo Santoro, del Padre Spirituale – “Corrector” è il termine utilizzato tradizionalmente nei documenti in latino – Marco Gerardo, del Priore Antonello Papalia.

martedì 21 aprile 2015

Studio sulla troccola parte seconda

Maestro Giuseppe Di Nunno

Il Venerdì Santo la storia e la fede rivivono la memoria della Crocifissione di Gesù di Nazareth e la Chiesa Cattolica celebra il mistero salvifico della Crocifissione del Figlio di Dio.

Nel silenzio, che un tempo avvolgeva anche la comunità civile nelle trasmissioni della radio, nella chiusura delle sale cinematografiche, anche la Chiesa legava le funi alle campane, i cui rintocchi tacevano, come oggi, nella fede e nella pietà popolare.

In sostituzione dei Sacri Bronzi veniva usata, ieri come oggi, la Troccola, strumento liturgico sacro, campana di legno e di ferro, come riporta la cultura dell’Italia meridionale fino alla Sicilia, alla Sardegna, alle Marche, al Veneto.
In provincia di Enna nel Venerdì Santo dicono che “lu Venniri è di lignu la campana”.

La Troccola è una tavoletta di legno, composta da maniglie di ferro che ruotando in senso alternato con l’impugnatura della mano, sbatte su chiodi di ferro infissi nel legno, producendo un suono stridente, un crepitio, che rievoca i colpi di ferro sui chiodi infissi nel legno sacro della Croce di Gesù, “quando si fece buio su tutta la terra… e la terra si scosse” (Matteo, cap. 27, v. 45 e 51).

La radice etimologica del termine risale al greco τροχός (trokòs), “ruota”, allo strumento latino Crotalum, composto da due valve di legno o ferro e corrisponde nel suono al Crepitaculum di un antico strumento.

Lo strumento medievale cristiano riconduce all’Antichità classica e a strumenti di legno presenti nelle danze religiose, quali il crepitaculum (sonaglio di legno) e il crotalum, (gr. Krotalon), citato nell’appendice virgiliana (Copa).

Il crepitacolo come giocattolo infantile, esistente nel nostro territorio nel ‘900, risale all’Antica Roma del I sec. a. C. e d. C., citato da Marziale negli Epigrammi, al Libro XIV, XIV: “crepitacillum”.

Anche Quintiliano nelle Institutiones, Libro IX, 4, LXVI, descrive il crepitaculum puerile, come strumento a percussione, “ad fletum sedandum”, per sedare il pianto stridente dei bambini.

Il Glossarium Latinitatis del Latino medievale del Du Cange del ‘600, riporta l’origine del nome: “crepitaculum, quod nomen assumpsit a frequenti crepitu, in delitiis puerorum ad fletum sedandum”.

Il “crepitacolo” religioso figura nell’Enciclopedia Cattolica e nel Vocabolario liturgico veneto, associato al nome di bàttola o raganella.

Lo strumento liturgico del Crepitaculum o Matratum ( voce gallica da cui deriva la Matraca spagnola), nelle origni medievali, lo ritroviamo nel Tomo IV del Glossarium Latinitatis del Du Cange del MDCCXXXIII: “tabula lignea quae pluribus malleolis pulsatur, sive ad excitandos fratres in monasteriis, sive ad horas divini Officii indicandas diebus infra hebdomadam sanctam quibus silent campanae” (la tavoletta di legno, che viene battuta da molti martelletti, sia per richiamare i frati nei monasteri, sia per manifestare la Liturgia delle ore dell’Ufficio Divino nei giorni della Settimana Santa, in cui tacciono le campane).

È l’Ufficio delle Tenebre del Giovedì, Venerdì e Sabato santo, in cui la Liturgia prevedeva l’uso dei Crepitacoli: “sit fragor et strepitus aliquantum”.


La denominazione della Troccola evoca quindi la radice onomatopeica del suono, del crepitio, in una cultura molto diffusa in Puglia e nel Tarantino, da dove è stata avviato lo studio di ricerca.

A Taranto infatti, come il altre città, ancora oggi la Processione dei Misteri del Venerdì Santo, che esce dalla Chiesa del Carmelo, riporta la figura dei Troccolanti, i quali, a piedi scalzi, impugnano il sacro strumento facendolo risuonare con lenta andatura e annunciando i segni della Passione di Cristo.

Anche a Canosa di Puglia la Processione dei Misteri del Venerdì Santo ha origine dall’antica Chiesa del Carmelo presso la via dei Carmelitani e la Salita Calvario, nella memoria millenaria di fede e di storia dei monaci Carmelitani del I secolo d.C., i quali uscendo dal monastero del Monte Carmelo percorrevano il monte palestinese fino al Santo Sepolcro, posto ai piedi del monte.

Anche nella Cattedrale di San Sabino di Canosa di Puglia, con la cura di mons. Felice Bacco, si custodisce una Troccola antica, che le mie mani, da bambino, hanno impugnato nel Venerdì Santo.

Usare la Troccola oggi, come avviene in molte Chiese e città, risponde, a nostro avviso, alla Nota pastorale del 1998 sui riti religiosi popolari delle Chiese di Puglia, che richiama la valorizzazione nella pietà popolare dei “segni delle tradizioni popolari”, della “storia e della cultura locale” nell’identità della nostra civiltà, accanto a quel “patrimonio di preghiere, canti e musiche”.

Dal Convento dei Cappuccini di Campobasso, frate Antonio ha confermato l’uso della Troccola nel Venerdì Santo nel Comune di Sant’Elia a Pianisi. E nel Gargano mistico, a Monte Sant’Angelo nella Processione del Cristo Morto del Venerdì Santo la Confraternita di Sant’Antonio Abate della Chiesa di “San Benedetto” , nota per la presenza dei Benedettini, porta la Troccola: come attesta il Priore Ernesto Scarabino : “sono due troccole secolari di diversa lunghezza e quindi con due tonalità diverse”.

Così anche a San Giovanni Rotondo il Rev.ndo don Giovanni Ercolino della Chiesa di Sant’Onofrio (XIII sec.) ci attesta: “quaranta anni fa quando sono venuto a San Giovanni si usava la Troccola nella Liturgia del Mattino per l’Ufficio delle Tenebre”.

A Gallipoli in Puglia, i Troccolanti col saio rosso portano la Troccola “un povero strumento che scandisce le ore più toccanti della liturgia cristiana”.
Anche in provincia di Treviso, a Salvatronda di Castelfranco Veneto, il parente di famiglia Amedeo attesta: “quando ero bambino, la usavamo nel Venerdì Santo, con il nome di racoéta” e don Mauro Simeoni, Parroco della Chiesa Madre di Salvatronda, con il laico Maurizio Sbrissa, ci mostra la grande “racoèta” datata nell’800, usanta ancora oggi.

Lo stesso prof. Giacinto Cecchetto ci conferma l’uso di tavolette di legno con impugnatura, nel territorio, a Castelfranco Veneto.

Nella stessa cara Pederobba (TV), il caro prof. Agostino Vendramin, già Assessore alla Cultura, mi riferisce dell’esistenza in passato della “raganella”, di questo “strumento di legno, che faceva un gran crepitio nella notte del Venerdì Santo”.

La versione della raganella ( o racanella) è la ruota dentata su cui scorre un lamella di legno, presente anche a Canosa nella bottega del falegname Sabino Morea. La raganella, trae il nome onomatopeico dal gracidare della ‘ranocchia’ (ragana) di colore verde, e ritroviamo il lemma nel Vocabolario della Lingua Italia, già compilato dagli Accademici della Crusca di Firenze, nell’Edizione del1838, alla pagina 726 decifrata gentilmente da Francesca Carletti, della Biblioteca dell’Accademia della Crusca: “Raganella, chiamano i fanciulli uno Strumento fatto di canne con una girella, colla quale suonano in Chiesa la Settimana santa, quando si fanno le tenebre”.

La Troccola figura come tavoletta in Puglia a Taranto con i Troccolanti a piedi scalzi, sul Gargano mistico a Monte Sant’Angelo, con i Troccolanti col saio rosso a Gallipoli (Lecce), a Siracusa in Sicilia, a Belvedere Marittimo (Cosenza) con il nome di “maschitto”, nell’Alto Sannio del Molise, nelle Marche a Belvedere Ostrense, nella Lombardia, a Mantova con il nome di ‘bàttola’, nel Veneto con la “ràcola” nella Cattedrale di Vittorio Veneto (TV) o “racolèta” nella Marca Trevigiana; nel Veneto, in provincia di Belluno, lo strumento figura con il nome di “bàttola”, a Pieve di Livinallongo, come attesta l’Archivista del Museo comunale.

Ma la Troccola figura ancora oggi anche… in Hallschlag, nella Germania meridionale con il nome di Ratschen (cricchetto) nel giorno del Karfreitag (Venerdì Santo), portata dai bambini per strada.

E la Troccola del Venerdì Santo, strumento liturgico in uso in Italia, è presente anche nella Spagna (en todos le iglesias catolicas) e nelle Chiese del Messico, sotto il nome di Matraca, che viene portata mano a tavoletta o diventa monumentale nei campanili delle Cattedrali di Spagna, come a Santiago de Compostela, e del Messico, come a Morelia.

La ricerca con la riscoperta è stata guidata all’inizio dal padre spagnolo Redentorista Emilio Lage dell’Accademia Alfonsiana di Roma.

Il nostro Parroco don Peppino Balice, nella radice evangelica, l’ha presentata come Catechesi, leggendo il testo sacro “si fece buio sum tutta la terra, …e la terra si scosse”. Il giovane Parroco don Sabino Lattanzio dell’antica Chiesa di San Giacomo in Barletta, la usa in Chiesa nel Giovedì Santo al termine dell’adorazione dell’Eucarestia. Dalla Spagna, dalla Cattedrale di San Pablo Apostol de Saragosa ci hanno inviato un messaggio di comunione. In Messico l’arcivescovo della Cattedrale de Morelia, Arzobispo Alberto Suarez Inda, ha presentato la matraca monumentale nel Campanile nel Venerdì Santo del 2013: “…e su quel povero legno “austero”, si esprimerebbero i nostri dolori e si dissolverebbero, con i mei, oltre la nostra terra, ad annunciare “l’alto grido” quando spirò “l’uomo dei dolori che ben conosce il patire”.

Se lo strumento di legno (de madera) fosse proposto e portato nelle processioni della Diocesi di Roma, nell’Urbe del cuore della cristianità, lo riconoscerebbero nelle Chiese dell’Italia Meridionale e Centrale e nel Veneto, nelle Chiese della Spagna (en todos le iglesias catolicas), fino al lontano confine del Messico e del Brasile, in una comunione ecclesiale, culturale ed educativa.

E la riconoscerebbero anche i quattro Scout del Brasile, della Via Crucis a Rio de Janeiro del 26 luglio 2013, nella G.M.G. alla presenza di Papa Francesco. Lo attesta la foto dell’Archivio dell’Osservatore Romano.

Così a Canosa di Puglia, nella Processione del Venerdì Santo, dalla Chiesa della B. V. del Carmelo, gli Scout precedono il rito con la sacraTroccola, nelle comuni radici cristiane d’Italia, d’Europa e del Sud America.

In alcuni ambienti è scomparso questo strumento sacro rituale del Venerdì Santo, perché logorato dal tempo e ritenuto “cosa vecchia”, da Museo, se non da gettare, mentre in molte parti è stato ristruttorato. A volte è stato accantonato e ritenuto ‘folcloristico’, ‘medievale’, in quanto svuotato della radice spirituale ed evangelica dell’ora più santa della storia, “quando si fece buio su tutta la terra… e la terra si scosse” (Matteo, cap. 27, v. 45 e 51). Occorre quindi rivitalizzare la sua funzione catechistica, diffondendo lo scuotimento del Golgota all’ora nona, come dice il Vangelo e nel cammino del Venerdì Santo.

Lo spirito di oggi, immerso in tanti rumori, ha bisogno, nel silenzio sacro del Venerdì Santo, di percepire lo scuotimento della terra nella Crocifisione e Morte di Gesù.

Il rischio di svuotare di storia e di fede i rintocchi di legno del Venerdì Santo, può accadere anche ai simulacri della cristianità, ma questo non deve portare a farli scomparire, quali segni di spiritualità, di storia, di fede.

É un suono che scuote l’udito e lo spirito umano, nel dolore, ma nella fede del suono di gloria della Pasqua, perché “Gesù Cristo ha vinto la morte… ed è RISORTO!” (seconda lettera dell’Apostolo Paolo a Timoteo, v. 10).

Anche Papa Francesco ricorda da bambino il Mistero del Crocifisso, quando sua nonna lo accompagnava alla Processione delle Candele del Venerdì Santo: ci faceva inginocchiare davanti al Cristo giacente, dicendo a noi bambini, "guardate è morto, ma domani sarà risorto!".

Questi nonni ci consegnano oggi, nelle mani, i rintocchi sacri del Venerdì Santo.


Il crepitacolo, quasi un big bang del Golgota, continua a rievocare: “si fece buio su tutta la terra… e la terra si scosse”, mentre gli uomini si inginocchiano ai piedi della Tua Croce, o Signore.


lunedì 20 aprile 2015

I Misteri 2015- parte seconda

Claudio Capraro

Uscire sulla piazza, avere un maxi schermo lateralmente che proietta le immagini della processione è una prima stranezza. Spesso una volta usciti si è curiosi a proposito di dove sia arrivata la testa della processione; questa volta lo vedevi in diretta.

Dopo le parole del padre spirituale, ed il discorso dell’Arcivescovo, arrivati all’incrocio con via D’Aquino la svolta a sinistra invece che a destra. Il sole del pomeriggio era un lontano ricordo. Il freddo pungente ed il vento intenso, una volta usciti dalla calda chiesa, rappresentavano una prova ardua. Le transenne che instradavano la processione verso via Margherita erano strette, ti facevano sentire la folla addosso; un antipasto di quella che sarebbe stata via Duomo, una differenza sostanziale per chi da sempre è abituato ai larghi spazi. Una sosta al termine di via D’Aquino, la Madonna “in mano” per sistemare il vestito troppo soggetto ai capricci del vento. Il Suo volto quasi vicino al nostro. I fedeli accalcati vicino a lei, ma in rispettoso silenzio.

Su via Matteotti, ormai le transenne erano un ricordo, ma la folla iniziava ad essere imponente. A quel punto le bande tacevano, il passo era sostenuto, bisognava passare il ponte girevole. La gente che era presente lì in quella corta via era composta, silenziosa, orante. Vedere il ponte di fronte a noi, con il castello, le palme della piazza, i lampioni liberty, nella mente e nei cuori di ognuno di noi ha suscito pensieri ed emozioni particolari. Quell’attraversamento non veniva compiuto da anni, e chissà quando e se sarebbe stato compiuto di nuovo.

Sul ponte, il vento miracolosamente calato, solo il suono dei medaglieri che sbattevano sulle ginocchia e del legno delle forcelle che toccava l’asfalto. Gesù morto e l’Addolorata stavano facendo ritorno nella loro “culla” accompagnate dalle altre sei statue.

Il Vasto e poi prima di girare, quando la strada è ancora leggermente in salita rispetto alla via Garibaldi, il silenzio rotto dagli “ohoh” di stupore di chi per primo scorgeva il mare di gente, di fedeli. Un mare, che a differenza di quello fatto di acqua distante solo pochi metri che era fermo, un mare quello fatto di gente, che si muoveva, che ondeggiava, che fluttuava. E la possibilità, trovandosi alla fine di poter vedere schierata davanti tutta la processione. Invisibili troccolante e Croce dei Misteri, si intuiva il Gonfalone e poi, aiutato dalla luce dei lumi che risplendevano in quel mare di gente, tutte le altre statue. La bara di Gesù morto pochi metri avanti a noi, dietro di noi la corona della Vergine su un cuscino di velluto rosso, le consorelle, la banda ed i fedeli.

Il passaggio davanti alle palazzine, ai cortili, di via Garibaldi. La gente al balcone che si segnava, quelli per strada che si avvicinavano per toccare la base nero e argento o per inviare a distanza un bacio all’Addolorata. Qualcuno scopriva anche il capo. Attorno silenzio, il brusio ovviamente ineliminabile alla presenza di tantissima gente, era comunque qualcosa di lontano. Silenzio e preghiera. Poi, raggiunto il punto concordato, le bande hanno ripreso il repertorio di marce, il passo è tornato quello solito e la temperatura ha cominciato a far battere i denti a molti.



Davanti alla chiesa di San Giuseppe, l’Addolorata girata in direzione dell’altare, una preghiera e poi di corsa ad infilarsi nella postierla, cercando riparo dal vento che soffiava dal mare. Le altre statue avevano già cominciato ad arrampicarsi per la scalinata. Tra poco sarebbe stato il nostro turno.

50000 grazie...

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Tante sono state le visualizzazioni dal giorno della "rinascita" del Nazzecanne..sedici mesi fa..un gran bel traguardo!

Il coordinamento attività culturali che si occupa della redazione, organizzazione e pubblicazione del Nazzecanne con orgoglio vi dice dunque .....


domenica 19 aprile 2015

Il discorso di S.E. l'Arcivescovo in occasione dei Misteri 2015

ECCO RIPORTATO INTEGRALMENTE IL DISCORSO DI S.E. MONS. FILIPPO SANTORO DURANTE L'USCITA DELLA PROCESSIONE DEI MISTERI 2015.


Ti adoriamo Cristo e ti benediciamo,
perché con la tua croce hai redento il mondo!

Sorelle e fratelli,

saluto ciascuno di voi incoraggiandovi nella preghiera in questo santo pellegrinaggio. Saluto le autorità civili, religiose e militari. Saluto il Priore il Cav. Antonello Papalia e il Padre Spirituale monsignor Marco Gerardo, dell' arciconfraternita del Carmine.

Ecco il mio servo (cfr Is 42), canta il profeta Isaia, adombrando in maniera misteriosa e magnifica il servo sofferente, il giusto. La comunità cristiana della prima ora non poté fare a meno di stupirsi dell aderenza di queste parole profetiche, alle immagini indelebili del Maestro dileggiato dalla soldataglia romana, dai sinedriti e dal popolo. Come pecora muta di fronte ai suoi tosatori il Cristo offre il suo dorso ai flagellatori e la guancia a coloro che gli strappavano la barba, e non apre la bocca per emettere un lamento (cfr  Is 53).

Egli è il servo che Dio sostiene. Il Cristo è un inedito condottiero, un inedito salvatore, che non arringa le folle con la forza della sua voce né con i gesti potenti che gli uomini temono.

Quando sarò elevato da terra attirerò tutti a me (Gv 12,32). e volgeranno lo sguardo a colui che hanno trafitto (Gv 19,37). Come mai può avvenire questo se lo stesso profeta dice che il servo è obbrobrio come uno dinanzi al quale ci si copre la faccia? (cfr Is 53,3)

Perché come ho detto questa notte all uscita della processione dell Addolorata da San Domenico sebbene il dolore domini oggi la scena,  il protagonista di questi giorni è l amore. L amore di Dio. L amore ci attrae e l amore ci possiede (cfr 2Cor 5,14). Non è un amore generico, simbolico, ideale o platonico. Questo amore si chiama Gesù Cristo che con la potenza redentrice della sua morte e risurrezione, in ogni tempo e in ogni dove è capace di trasformare la perdita in un guadagno, la sofferenza in una doglia del parto verso una nuova vita. È amore quello che contempliamo, certo non l amore romantico e sentimentale, ma quell amore che è carne e sangue. Che è cibo. Che è dono perenne.

Vorrei ribadire anche qui  le motivazioni che mi hanno spinto ad accettare la domanda dell Arciconfraternita del Carmine a poter vivere in questo 2015 il passaggio dei misteri in Taranto Vecchia. Innanzitutto 250 anni di una passione come quella dei confratelli del Carmine sono una ricchezza alla quale questa città deve essere grata. La famiglia dei Calò, la cui residenza era sull Isola volle donare queste statue meravigliose di Gesù morto e dell Addolorata, al pio sodalizio, perché rimasti ben impressionati dalla compostezza dei Perdoni penitenti. Con gli anni il corredo statuario è aumentato e con esso la fede dei tarantini. Questa tradizione conserva tutt oggi ha prerogativa importante, è viva, cioè capace di innovarsi, di creare cambiamento nella vita della gente. Non avrei tutta la stima che ho per le nostre Confraternite se non sapessi che sotto tanti di questi cappucci ci sono dei giovani, dei ragazzi. Quello che viviamo non è un corteo storico, è una processione di persone che si sforzano di credere. Questa processione nelle strade anguste della Taranto Vecchia, il passaggio sul ponte, e non di meno importanza la sosta nel Duomo Cattedrale è per me, insieme al pellegrinaggio notturno dell Addolorata un segno eloquente, un riflettore puntato sul cuore cittadino che ha bisogno di essere ricostruito sotto tutti i profili.

L attenzione alla città vecchia dove risiedo, costituisce la svolta decisiva per Taranto; il riconciliarci con l origine senza fuggire, il verificare gli errori passati imparando da essi per non ripeterli è essenziale per una città che vuole andare avanti sentendo il valore della storia e l importanza del tempo presente. Questo è un tempo decisivo, un occasione che non possiamo perdere. E il tempo della conversione e dell azione. Tutti siamo chiamati a metterci in gioco, autorità e popolo, ciascuno con la sua responsabilità. Ridiamo un cuore  a Taranto. C è tanta gente che aspetta; c è un popolo onesto che ha bisogno di segnali concreti per collaborare alla rinascita. Emarginiamo ogni forma di corruzione e di illegalità come anche di sconforto e di rassegnazione. Ho sempre ripetuto che siamo una città ferita, ma ancora non agonizzante. Un eccellenza come questa della Settimana Santa che si impone a livello nazionale ed oltre; sono però convinto che questa eccellenza deve essere molto meglio valorizzata perché nasce dalla fede e riunisce cultura, arte e storia. Come anche sono convinto che non utilizziamo appieno tutte le ricchezze che abbiamo che abbiamo qui in Città ed in Provincia  e che le dobbiamo far valere a livello regionale e nazionale, mettendoci insieme in un circolo virtuoso.

Taranto vecchia è la testimonianza esistente di un popolo che per necessità e per scarsa lungimiranza ha lasciato depositare troppa cenere sulle braci della propria storia e della propria arte.

Con il senno di poi comprendiamo le potenzialità di questo nostro angolo unico al mondo. Come Chiesa diocesana mettendoci direttamente in causa ho per la città vecchia due progetti che mi stanno particolarmente a cuore. La riapertura del santuario della Madonna della Salute e l apertura di un nuovo centro per senza fissa dimora e per svariate esigenze legate al mondo della povertà, dalla mensa alla barberia, agli ambulatori. La Madonna della Salute in una città come la nostra, aldilà del valore artistico che quella chiesa ha, è un santuario che nel titolo della sua patrona ha una carica simbolica per Taranto che non ha bisogno di spiegazioni. Spero che parimenti all apertura di quel tempio sia maturata ancora di più la nostra consapevolezza sul bene della salute e che si siano fatti passi concreti in quel senso perché possano concedere al popolo di questa terra giorni più sereni, si possa guardare al proprio futuro con minore apprensione.

Il centro Caritas è un impegno di tutta la diocesi, tra l altro le nostre confraternite danno un contributo concreto per la sua realizzazione, segno concreto della loro devozione.

Dopo il tema della salute non dimentico in questa occasione il grande problema del lavoro che ho anche trattato nel precetto pasquale all Eni e all Ilva. Ogni giorno ho visite drammatiche di persone senza lavoro e adesso senza casa. Mi si stringe il cuore di fronte a tanto dolore e con la Caritas cerchiamo di rispondere per quanto possiamo alle varie richieste che abbiamo.

La nostra preghiera si allarga anche al mondo. Un mondo che bussa alla nostra porta e ci interpella come l universo dei migranti che alle spalle hanno guerra e morte. Il Signore ci insegni a non liquidare in facili pregiudizi tanti nostri fratelli: nella città dei ponti non si alzino muri.

Guardando al mondo e all innocente condannato e flagellato, vi chiedo di pregare per tanti fratelli nel mondo che muoiono e sono perseguitati per il semplice fatto di portare il nome di Cristo. Ci raggiunge la notizia del massacro in Kenya di tanti giovani trucidati perché non conoscevano il corano.

Ammazzati dai miliziani islamici somali, decapitati come fa l Isis. Ammazzati perché si rifiutano di coinvolgersi in una guerra santa, e desiderano conservare la loro fede, che parla di rispetto per tutti e di perdono. Rafforziamo i nostri legami con i nuovi martiri, segno eloquente del Cristo vivo, e ringraziamo il Signore che ci consente di professare sulle libere strade il nostro credo.

Tornando a noi ancora una volta voglio ricordare e pregare per i nostri due marò e le loro famiglie; che questa estenuante vertenza sia risolta positivamente quanto prima possibile.

E nel giorno della passione del Signore non possiamo non ricordare la passione di nostri ulivi di Puglia, del nostro Salento. Che il flagello della Xylella non vinca e che i nostri amministratori nazionali e locali intervengano efficacemente per scongiurare l agonia di queste piante che sono parte della nostra vita col mandorlo, con la vite e con il grano, frutto della terra e del nostro lavoro. Sappiamo che papa Francesco sta scrivendo una Enciclica sulla custodia del creato che il nostro cielo, l aria, la terra ed il mare non siano più aggrediti dall inquinamento e dal profitto di una economia che uccide. Che lo sviluppo, e quindi anche l economia sia a servizio della vita e del bene comune.

Guardando alle tante immagini del Cristo che sfilano in questo corteo, alla centralità di Gesù che soffre ci ricordiamo che chi mette il Signore al centro mette l uomo al centro. Ma mi domando la nostra vita ha ancora un centro? O siamo sbattuti da tante cose e non abbiamo più un centro e tutto si riduce all istinto del momento, alle nostre voglie immediate, al desiderio di accumulare e consumare? Ma così non educhiamo più nessuno e domina quella che Papa Francesco chiama la globalizzazione dell indifferenza ed interi popoli e persone sono considerati scarti . Ricordiamo che Gesù è stato scartato, ma ha accolto l ingiusta condanna a morte e ci ha ridonato un centro che salva la vita e la morte. Il centro di questo pellegrinaggio dei Misteri è questo amore infinito. Lui è il centro con il suo perdono e la sua misericordia. Se vogliamo un centro nella nostra vita guardiamo a Lui e seguiamo Lui; che accoglie tutti, anche chi è distante dalla pratica della fede, ma che nel suo cuore cerca la verità e non ha rinunziato ad essa.

Passeranno i Misteri di Cristo nel Borgo e nella Città vecchia, guardiamo a lui, invochiamolo, seguiamo il Signore e lasciamoci toccare il cuore. Lui ci aspetta. Il cambiamento comincia dal suo amore riversato nei nostri cuori. Tutti possiamo essere perdonati in questo anno della Misericordia. Non rassegniamoci, costruiamo insieme rapporti nuovi per il bene di tutti, particolarmente dei più poveri e più soli.

Ci auguriamo un buon pellegrinaggio con le parole del Beato Paolo VI, parole che da qui a poco saranno pronunciate al Colosseo nella Via Crucis presieduta dal santo padre Francesco.

Guardando al Signore diciamo:
Tu ci sei necessario, grande paziente dei nostri dolori,
per conoscere il senso della sofferenza
e dare ad essa un valore d espiazione e di redenzione.
Tu ci sei necessario,
o vincitore della morte,
per liberarci dalla disperazione e dalla negazione
e avere la certezza che non tradisce in eterno.
Tu ci sei necessario, Cristo, Signore, Dio con noi,
per imparare l amore vero e camminare,
nella gioia e nella forza della tua carità,
sulla nostra via faticosa,
sino all' incontro finale con te amato, con te atteso,
con te benedetto nei secoli. Amen.
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