mercoledì 27 maggio 2015

Veglia di Pentecoste

Claudio Capraro 

La Conferenza Episcopale Italiana ha invitato tutte le comunità a riunirsi in veglie di preghiera la sera di sabato 23 maggio, dopo la celebrazione dei primi Vespri per la solennità della Pentecoste, in memoria dei cristiani perseguitati in tutto il mondo.

Molteplici sono stati negli ultimi tempi gli interventi del Santo Padre sull’argomento; “esiste un legame forte che già ci unisce, al di là di ogni divisione: è la testimonianza dei cristiani, appartenenti a Chiese e tradizioni diverse, vittime di persecuzioni e violenze solo a causa della fede che professano” ha detto ricevendo i membri della commissione anglicano-cattolica. Davanti al martirio di tanti cristiani, anche appartenenti a tradizioni differenti dalla nostra, la Cei ha invitato nella serata di sabato, tutti quanti di inchinarsi e pregare.


Sempre Papa Francesco, in una sua meditazione in Santa Marta di circa un mese fa, ci ha ricordato come la Chiesa attuale sia Chiesa di martiri e ricordando Santo Stefano, il primo dei martiri, il Santo Padre ha ricordato come possa definirsi tale chi “nella storia della Chiesa ha dato testimonianza di Gesù, senza avere bisogno di altri pani”.

Il numero dei martiri oggi è decisamente superiore a quello dei proto cristiani, a quello di chi fu costretto a dare spettacolo nel Colosseo combattendo contro i gladiatori o finendo in pasto alle fiere, a quello di chi si rifugiava in preghiera nelle catacombe. Oggi i cristiani vengono uccisi, torturati, privati delle libertà fondamentali in diversi Paesi in tutto il mondo, e in tutti i continenti. Se in Africa, in Asia, nel medio oriente tali episodi sono più frequenti, non si deve pensare che i nostri fratelli cristiani che vivono in zone delle terra considerate più evolute non subiscano vessazioni o peggio torture a causa della loro fede religiosa.

All’onore delle cronache i casi in Nigeria, dove i terroristi di Boko Haram hanno tra la popolazione cristiana i loro maggiori obiettivi o ancora ciò che accade in Cina dove invece è proprio il governo ad osteggiare i cristiani o ancora i cristiani assiro-caldei che fuggono dall’Isis. Da una relazione dell’associazione Porte aperte, risultano nel mondo intero 50 nazioni nelle quali i cristiani sono perseguitati.

Le parrocchie dell’Arcidiocesi di Taranto hanno risposto prontamente all’appello dei Vescovi organizzando ognuna un momento di preghiera tra i propri fedeli. Il fatto che oramai da un anno la nostra città sia un avamposto nell’accoglienza di migranti, molti dei quali scappano dalle loro case proprio per sfuggire a persecuzioni di carattere religioso, ha determinato una conoscenza più approfondita di questo problema.

martedì 26 maggio 2015

Tre madri

Alessandro Della Queva 

Una delle più belle e originali canzoni che parlano della Madonna è senza dubbio “Tre Madri”, composta da Fabrizio De Andrè nel 1970 e inserita nell’album intitolato “La Buona Novella”. L’autore, dichiaratamente ateo, prova a disegnare un profilo di una Maria meno etereo e santo ma più umano, imperfetto e forse per questo più vicino a noi.

Nelle prime strofe del testo il cantautore genovese dà voce alle madri dei due ladroni: la prima si rivolge a Tito dicendogli che pur non essendo egli figlio di Dio ha comunque ai suoi piedi una mamma che muore dal dolore a vederlo crocifisso; lo stesso dice la mamma di Dimaco, abbandonata, come suo figlio, dall’uomo che quel figlio le fece concepire e addolorata anch’essa dalla crocifissione del sangue del suo sangue.

Il brano prosegue e racconta lo stupore delle prime due madri nel vedere Maria piangere la morte Gesù; provano addirittura a dissuaderla e a consolarla ricordandole che solo tre giorni dopo suo figlio risorgerà.

Le parole che De Andrè fa pronunciare alla sua Maria sono quanto mai umane e dirette: Maria piange l’assenza fisica di suo figlio, il suo essere uomo, rivendica il suo diritto di madre; una sorta di sano egoismo, comune a qualsiasi mamma del mondo, che arriva a farne rivendicare l’appartenenza. Ricorda di averlo amato ancor prima di metterlo alla luce, prima di vederlo, prima di poterlo stringere tra le braccia; di avere accettato incondizionatamente la Sua esistenza. Trapela sul finale una sorta di rimorso quando afferma “Non fossi stato figlio di Dio t’avrei ancora per figlio mio”.

Personalmente ascoltare queste brano mi ha sempre procurato un nodo alla gola e mi ha sempre messo in evidenza un aspetto drammatico della esistenza di Maria: solo immaginando davvero ciò che di fatto è stato chiesto alla Madonna, provandoci a mettere nei suoi panni possiamo scorgere quanto l’aggettivo “Addolorata” rappresenti timidamente la sua vera pena.

 La grandezza del gesto di Maria è stata quella di accettare di rinunciare al proprio figlio, seppur per il bene dell’intera umanità; indubbiamente è il più grande e inarrivabile gesto di generosità e bontà che un essere umano, una mamma, possa fare. È il gesto di amore più simile e vicino all’amore che solo Dio comprende e sa dare.

Per ascoltare il brano clicca qui

lunedì 25 maggio 2015

La rosa di santa Rita

Valeria Malknecht

Il 22 maggio scorso la chiesa ha festeggiato la solennità di una Santa cui molti sono devoti. Santa Rita da Cascia. E quest’anno la nostra città ha avuto il privilegio di custodire per alcuni giorni le Sue preziose Reliquie.


Rita è stata una sposa, una madre, una vedova ed infine una monaca agostiniana.

Una donna che ha avuto, dunque, diversi ruoli.

Prima moglie di un uomo brutale, che aveva accettato di sposare senza amore ma che, con il tempo, aveva imparato ad amare. Poi madre di due bambini. Poi, ancora, donna del dolore perché divenne presto vedova e, poco dopo, perse anche i suoi figli. Infine, monaca consacrata a Dio.

Non è certo facile riuscire ad essere “tutto questo” in una vita sola.

Eppure Santa Rita è stata l’esempio di una donna completa, dall’amore completo. Per un uomo, per i figli, per Dio.

È la Santa delle rose.

Chi è stato al Santuario di Cascia racconta di essere stato circondato dal loro penetrante odore.

La rosa … un fiore così gentile e delicato per il suo aspetto, per il suo profumo e per la sua bellezza.

La letteratura moderna l’ha celebrata ne “Il piccolo principe”, quale simbolo di amore e di amicizia: “E’ il tempo che tu hai perduto per la tua rosa che ha fatto la tua rosa così importante”.

Ma è anche il fiore delle spine. Spine che possono pungere e far sanguinare e che, quindi, possono far soffrire, provocare dolore. Ma non fa anche questo parte della vita?

Ebbene, Santa Rita racchiude in sé la delicatezza della rosa ed insieme l’accettazione del dolore che la puntura di una spina può comportare. Proprio come il dolore che dovette sopportare Gesù quando fu incoronato di una corona di spine.

Si racconta, infatti, che circa quindici anni prima della sua morte, Rita ricevette sulla fronte “il dono” di una spina della Corona di Gesù sulla fronte, con cui dovette convivere fino alla morte.

Il simbolo della rosa l’accompagnerà fino ai suoi ultimi istanti di vita e sarà collegato a diversi prodigi.


Pochi mesi prima di morire chiese ad una sua parente di portarle una rosa dalla sua casa d’origine nonostante fosse pieno inverno. Questa sua cugina esaudì la sua richiesta e trovò fra la neve una bellissima rosa rossa, proprio nel luogo che Rita le aveva indicato.

Un bella rosa fra la neve gelida. La prova che un delicato fiore possa vivere e sopportare di vivere nelle condizioni più disperate ed improbabili. L’impossibile che diviene possibile.

Santa Rita, infatti, è anche ricordata come la Santa dei casi impossibili.

Forse perché la sua stessa vita è stata l’esempio tangibile di come, confidando in Dio, tutto possa davvero accadere, anche l’impossibile.


È il tempo che perdiamo per la nostra rosa a rendere la rosa così speciale. Noi siamo responsabili della nostra rosa e Santa Rita è l’esempio di come amore e dolore possano convivere e di come si possa godere della bellezza della rosa ed insieme accettare la sofferenza che le spine di quella amata rosa possono procurare.

domenica 24 maggio 2015

La ricorrenza di Maria Ausiliatrice

Antonello Battista

Nel mese di Maggio, il più soave, il più dolce, il mese dedicato a Maria, tante sono le festività e le ricorrenze mariane, ma una in particolare attrae le preghiere di molti fedeli e devoti: la festa e la memoria liturgica di Maria Ausiliatrice il 24 Maggio.

Il titolo di “Auxilium Christianorum” è uno dei più antichi attribuiti alla Vergine Maria, sin dai tempi delle prime comunità cristiane, anzi per meglio dire sin dal momento della crocifissione di nostro Signore quando ai piedi della croce, Gesù affida la madre alle cure dell’amato discepolo Giovanni. In quell’atto di affidamento c’è il filiale riconoscimento dell’intera umanità nei confronti di Maria, da quel momento Maria è diventata la nostra mamma celeste, da quel momento si è fatta sostegno ed aiuto per i suoi figli.


Storicamente le fonti attribuiscono ufficialmente questo titolo alla Madonna dal 1571, in occasione della battaglia di Lepanto per la quale fu invocata l’intercessione della Vergine del grande papa mariano e domenicano san Pio V (1566-1572), che le affidò le armate ed i destini dell’Occidente e della Cristianità, minacciati da secoli dai turchi arrivati fino a Vienna, e che in quella grande battaglia navale affrontarono e vinsero la flotta musulmana.

Il papa istituì per questa gloriosa e definitiva vittoria, la festa del Santo Rosario, ma la riconoscente invocazione alla celeste Protettrice come “Auxilium Christianorum”, non sembra doversi attribuire direttamente al papa, come venne poi detto, ma ai reduci vittoriosi che ritornando dalla battaglia, passarono per Loreto a ringraziare la Madonna; lo stendardo della flotta invece, fu inviato nella chiesa dedicata a Maria a Gaeta dove è ancora conservato.

Il culto pur continuando nei secoli successivi, ebbe degli alti e bassi, finché nell’Ottocento due grandi figure della santità cattolica, per strade diverse, ravvivarono la devozione per la Madonna del Rosario con il beato Bartolo Longo a Pompei e per la Madonna Ausiliatrice con San Giovanni Bosco a Torino. Il grande educatore ed innovatore torinese, pose la sua opera di sacerdote e fondatore sin dall’inizio, sotto la protezione e l’aiuto di Maria Ausiliatrice, a cui si rivolgeva per ogni necessità, specie quando le cose andavano per le lunghe e s’ingarbugliavano, a Lei diceva: "E allora incominciamo a fare qualcosa?". 
Il grande sacerdote, apostolo della gioventù, fece erigere in soli tre anni nel 1868, la basilica di Maria Ausiliatrice nella cittadella salesiana di Valdocco a Torino; sotto la Sua materna protezione pose gli Istituti religiosi da lui fondati e ormai sparsi in tutto il mondo: la Congregazione di San Francesco di Sales, sacerdoti chiamati normalmente Salesiani di don Bosco e le Figlie di Maria Ausiliatrice suore fondate con la collaborazione di Santa Maria Domenica Mazzarello e per ultimi i Cooperatori Salesiani per laici e sacerdoti che intendono vivere lo spirito di Don Bosco, come è generalmente chiamato.

Nella bella basilica torinese a Lei intitolata, vi è il bellissimo e maestoso quadro fatto eseguire dallo stesso fondatore, che rappresenta la Madonna Ausiliatrice che con lo scettro del comando e con il Bambino in braccio, è circondata dagli Apostoli ed Evangelisti ed è sospesa su una nuvola, sullo sfondo a terra, il Santuario e l’Oratorio come appariva nel 1868, anno dell’esecuzione dell’opera del pittore Tommaso Lorenzone.

Il quadro rappresenta simbolicamente, cosi come ribadito sopra, Maria che si dona all’umanità, cosi come ai piedi della croce o nel cenacolo con tutti gli apostoli durante la discesa dello Spirito Santo, lo scettro che reca in mano è segno di regalità e di potenza divina, Lei protettrice e consolazione della nostre anime, Lei aiuto e Signora nei secoli della Chiesa Cattolica.

giovedì 21 maggio 2015

La solennità di Pentecoste

Antonello Battista 

Nel calendario liturgico nel cinquantesimo giorno dopo Pasqua, successiva alla festività dell’Ascensione, si commemora la solennità della Pentecoste, che per i Cattolici simboleggia la discesa dello Spirito Santo su Maria e sugli Apostoli, facendoli diventare veri testimoni della fede di Cristo. Con la Pentecoste la Chiesa diventa davvero Cattolica, cioè universale, aperta al mondo, vera sposa di Cristo.

 Lo Spirito Santo si fa paràclito, discende sugli apostoli ancora rinchiusi ed impauriti da probabili ritorsioni dei sommi sacerdoti e del popolo ebraico, ma da quel momento lo Spirito Santo si fa loro protettore, le lingue di fuoco su di loro furono segno di sapienza e fortezza di Dio che non abbandonerà mai gli apostoli e la Vergine Maria.

Presso gli Ebrei la festa era inizialmente denominata “festa della mietitura” e “festa dei primi frutti”; si celebrava il 50° giorno dopo la Pasqua ebraica e segnava l’inizio della mietitura del grano; nei testi biblici è sempre una gioiosa festa agricola. 



È chiamata anche “festa delle Settimane”, per la sua ricorrenza di sette settimane dopo la Pasqua; nel greco ‘Pentecoste’ significa 50ª giornata. Secondo il rituale ebraico, la festa comportava il pellegrinaggio di tutti gli uomini a Gerusalemme, l’astensione totale da qualsiasi lavoro, un’adunanza sacra e particolari sacrifici; ed era una delle tre feste di pellegrinaggio (Pasqua, Capanne, Pentecoste), che ogni devoto ebreo era invitato a celebrare a Gerusalemme.

L’episodio della discesa dello Spirito Santo è narrato negli Atti degli Apostoli, cap. 2; gli apostoli insieme a Maria, la madre di Gesù, erano riuniti a Gerusalemme nel Cenacolo, probabilmente della casa della vedova Maria, madre del giovane Marco, il futuro evangelista, dove presero poi a radunarsi abitualmente quando erano in città; e come da tradizione, erano affluiti a Gerusalemme gli ebrei in gran numero, per festeggiare la Pentecoste con il prescritto pellegrinaggio.

“Mentre stava per compiersi il giorno di Pentecoste, si trovavano tutti insieme nello stesso luogo. Venne all’improvviso dal cielo un rombo, come di vento che si abbatte gagliardo e riempì tutta la casa dove si trovavano….Apparvero loro lingue di fuoco, che si dividevano e si posarono su ciascuno di loro; ed essi furono tutti pieni di Spirito Santo e cominciarono a parlare in altre lingue, come lo Spirito dava loro di esprimersi. Si trovavano allora in Gerusalemme giudei osservanti, di ogni Nazione che è sotto il cielo. Venuto quel fragore, la folla si radunò e rimase sbigottita, perché ciascuno li sentiva parlare nella propria lingua. Erano stupefatti e, fuori di sé per lo stupore, dicevano: ‘Costoro che parlano non sono forse tutti Galilei? E com’è che li sentiamo ciascuno parlare la nostra lingua nativa? ”.

Il passo degli Atti degli Apostoli, scritti dall’evangelista Luca in un greco accurato, prosegue con la prima predicazione dell’apostolo Pietro, che unitamente a Paolo, narrato nei capitoli successivi, aprono il cristianesimo all’orizzonte universale, sottolineando l’unità e la cattolicità della fede cristiana, dono dello Spirito Santo.
Lo Spirito Santo, rarissimamente è stato rappresentato sotto forma umana; mentre nell’Annunciazione e nel Battesimo di Gesù è sotto forma di colomba, e nella Trasfigurazione è come una nube luminosa. Ma nel Nuovo Testamento, lo Spirito divino è esplicitamente indicato, come lingue di fuoco nella Pentecoste e come soffio nel Vangelo di Giovanni (20, 22):

“Gesù disse loro di nuovo: Pace a voi! Come il Padre ha mandato me, anch’io mando voi. Dopo aver detto questo, soffiò su di loro e disse: Ricevete lo Spirito Santo; a chi rimetterete i peccati, saranno rimessi e a chi non li rimetterete, resteranno non rimessi”.

Lo Spirito Santo viene invocato nel conferimento dei Sacramenti e da vero protagonista nel Battesimo e nella Cresima e con liturgia solenne nell’Ordine Sacro; e in ogni cerimonia liturgica, ove s’implora l’aiuto divino, con il magnifico e suggestivo inno del “Veni Creator”.

Martirologio Romano: Giorno di Pentecoste, in cui si conclude il tempo sacro dei cinquanta giorni di Pasqua e, con l’effusione dello Spirito Santo sui discepoli a Gerusalemme, si fa memoria dei primordi della Chiesa e dell’inizio della missione degli Apostoli fra tutte le tribù, lingue, popoli e nazioni.


mercoledì 20 maggio 2015

Un anno fa l'Incoronazione Canonica

Salvatore Pace

Un anno volato via in fretta, troppo in fretta, il 21 maggio dello scorso anno, infatti, alle prime luci di un caldissimo giorno romano, nel cortile di un hotel zona Monte Mario, cinque confratelli, tra cui il Priore, in Abito di Rito, quattro "forcelle" e un centinaio di appartenenti al sodalizio, emozionati e consapevoli di stare per vivere un evento straordinario muovevano su due pullman in direzione Piazza San Pietro.

Il furgone, che era stato protetto da una scorta armata per tutta la notte, con a bordo la Beata Vergine Addolorata giunse nella città del Vaticano, proprio a ridosso di Piazza San Pietro e lì, tra gli occhi meravigliati ed ammirati di alti prelati e fortunati, pochi, fedeli, la Signora delle Signore venne sistemata sulla base pronta per fare il suo ingresso nella piazza regno della cristianità.

Con gli occhi umidi e col cuore a mille i fortunati otto portatori, attraversato un piccolo arco tra gli onori resi dalle Guardie Svizzere, si trovarono di fronte ad uno spettacolo straordinario, Piazza San Pietro gremita di gente, di fedeli festanti, di gruppi "colorati", di etnie e tradizioni diverse che, non appena videro comparire l'Addolorata, che nazzicando si avvicinava al sagrato di San Pietro, osservarono un rapito e religioso silenzio.

Si poteva scorgere all'estrema sinistra della piazza il gruppo proveniente da Taranto, che intanto era aumentato essendo giunti confratelli e consorelle con mezzi propri, nessuno era immune da commozione, i brividi che dava la nostra Addolorata in quel contesto facevano emozionare anche le pietre, donne che si segnavano, uomini con il capo chino, italiani e stranieri sembravano estasiati dalla bellezza del volto addolorato della Vergine.

Gli economi attenti ad ogni passaggio, ad ogni passetto, scorte amorevoli mentre Lei era poggiata sul sagrato dei successori di Cristo, di Suo figlio che in marmo la contemplavano in cima al colonnato del Bernini, i nostri economi, appunto, mai La lasciarono sola, Mattia, Vittorio e Domenico furono encomiabili ed instancabili dalla preparazione del viaggio sino a quando la Mamma nostra fece rientro nella Sua casa.

E così Tonino e Damiano, esperti, che l'accompagnarono in un viaggio senza alcun problema.

Al termine dell'Angelus il momento più atteso, Francesco successore di Pietro che incorona la nostra Addolorata....rimase qualche secondo unitamente al nostro Arcivescovo, come ammaliato da tanta bellezza, una preghiera, una benedizione e l'Incoronazione tanto attesa fece esplodere in un applauso di giubilo tutto il gruppo di fedeli giunto dalla città bimare.

Iniziavano così le celebrazioni per il Giubileo Particolare indetto per i 250 anni della donazione Calò, un anno, come dicevo volato troppo in fretta che siamo stati fortunati a vivere ed organizzare e che rimarrà nei cuori di ognuno di tutti noi.

E come ogni volta che nella vita il ricordo va ad una cosa bella, un attimo di emozione ha solcato la mia memoria, un attimo di commozione i miei occhi...un grazie ancora una volta va alla mia meravigliosa "Congrega" che, Priore e Don Marco in testa, ha permesso a tutti noi di essere testimoni e attori della storia.





martedì 19 maggio 2015

La Sacra Sindone

Salvatore Pace

La Sindone di Torino, nota anche come Sacra o Santa Sindone, è un lenzuolo di lino conservato nel Duomo di Torino, sul quale è visibile l'immagine di un uomo che porta segni interpretati come dovuti a maltrattamenti e torture compatibili con quelli descritti nellapassione di Gesù. La tradizione cristiana identifica l'uomo con Gesù e il lenzuolo con quello usato per avvolgerne il corpo nel sepolcro.


Il termine "sindone" deriva dal greco σινδών (sindon), che indicava un ampio tessuto, come un lenzuolo, e ove specificato poteva essere di lino di buona qualità o tessuto d'India. Anticamente "sindone" non aveva assolutamente un'accezione legata al culto dei morti o alla sepoltura, ma oggi il termine è ormai diventato sinonimo del lenzuolo funebre di Gesù.

Nel 1988, l'esame del carbonio 14, eseguito contemporaneamente e indipendentemente dai laboratori di Oxford, Tucson e Zurigo, ha datato la sindone in un intervallo di tempo compreso tra il 1260 e il 1390, periodo corrispondente all'inizio della storia della Sindone certamente documentata.


Ciononostante, la sua autenticità continua a essere oggetto di fortissime controversie.

Le esposizioni pubbliche della Sindone sono chiamate ostensioni (dal latino ostendere, "mostrare"). Le ultime sono state nel 1978, 1998,2000, 2010 e 2013. L'attuale ostensione è nel 2015, dal 19 aprile al 24 giugno.


(Fonte wikipedia)

Potranno esserci migliaia di studiosi e migliaia di esami che verranno a confutare l'autenticità della Sacra Sindone ma per noi cattolici quel lenzuolo "martoriato", quella foto in negativo, quel sangue appartengono a Gesù.

L'emozione che si prova nel vedere quel misterioso lino è una di quelle cose che non possono spiegarsi, io la guardo, la riguardo, cerco fotografie, video e sono certo, sono sicuro che il dolore del Figlio di Dio è impresso lì, quello non è solo il sangue, quelle non sono solo le ferite, quelli non sono solo i segni dei chiodi..il silenzio della stoffa ci assorda con le Sue grida, le lacrime della Madonna Addolorata hanno intriso quel lenzuolo.

Pensiamo per un momento al Corpo dell'Agnello adagiato lì, senza vita, abbracciato da chi lo aveva vegliato sino all'ora della Sua Morte, sul Golgota, su quella Croce grezza .. il cielo scuro, il Sepolcro in pietra, l'ultimo saluto e poi pensiamo a tre giorni dopo quando il corpo di Nostro Signore lasciò quel lenzuolo..ecco il Miracolo, la testimonianza del Suo Martirio impressa lì su quella stoffa che i secoli hanno tramandato, hanno fatto sopravvivere a scempi e catastrofi e che non può essere null'altro se non quello che crediamo Essa sia.

Nella nostra Processione dei Misteri la Sacra Sindone ha il posto d'onore, precede le due storiche statue dei Calò, nazzica sulle spalle dei Confratelli con la banda che la segue ed è l'unica statua che vive, che sembra seguire anche lei il ritmo delle strazianti marce funebri, che si muove nel vento stagliando la sua ombra "viva" a volte sui palazzi, a volte sulla strada.

Trovarsi a nazzicare sotto le sue sdanghe, dietro e alzare gli occhi mentre il lenzuolo si muove  è una sensazione molto coinvolgente, quando davanti il Crocifisso non è molto distante si ammira il Mistero della Morte e della Resurrezione quasi contemporaneamente la Croce che poco prima aveva appeso ai suoi bracci Nostro Signore poco dopo è spoglia con il solo lenzuolo...

Quest'anno quella Croce  l'abbiamo vista svettare nel Sepolcro della nostra Chiesa .. in uno dei Sepolcri più belli di sempre.. mentre vegliava amorevolmente il Suo Signore appena deposto e la Mamma Addolorata ..ed è sembrata nell'anno dell'ostensione la più bella delle coincidenze. 

La foto del sepolcro è di E.Damone per Portodimareter 

Sulle orme di San Cataldo

Umberto De Angelis

Come ogni anno il 10 di Maggio per la festa di San Cataldo, patrono della nostra Taranto, si è svolta la processione “a terra” della statua del Santo che, preceduta dalla rappresentanza di tutte le confraternite, degli ordini religiosi e istituzionali della città, partendo dalla Basilica Cattedrale nella Città Vecchia è giunta, superando il ponte girevole, fino al Borgo (Città Nuova). Dopo una breve sosta nei pressi della chiesa del Carmine, per il discorso pronunciato dal Vescovo al popolo tarantino, la processione ha ripreso il cammino per il rientro della statua nella Cattedrale.

La Messa solenne è stata celebrata dal Vescovo Mons. Filippo Santoro nella Cattedrale piena di fedeli.

Nell’omelia e poi nel discorso al popolo il Vescovo ha posto l’accento sull’Amore di Dio per il suo popolo. "Nessuno ha un amore più grande di questo: dare la sua vita per i propri amici" (Gv 15, 13). Spesso la parola Amore è stata travisata. Il vero significato e “la risposta di Gesù è semplice - dare la vita per i propri amici - sino a perdonare ai propri nemici. Questo è "l'amore più grande". E per farcelo capire lo ha vissuto Lui per primo amandoci sino alla fine, lavando i piedi ai suoi discepoli e donandosi come pane della vita.”

E riferendosi proprio al nostro Patrono: “Il nostro San Cataldo ha obbedito a questo comando con generosità e senza riserve, ha risposto alla sua chiamata alla santità, all'essere amico del Signore. E quando è giunto dopo un naufragio sulle coste della nostra terra, invece di disperarsi e di lamentare la sua triste sorte, ha abbracciato la circostanza che gli era successa ed ha cambiato il suo piano di vita.

Si è donato con passione al bene del popolo tarantino; con passione e con zelo missionario.” E ci ha spronato tutti a riflettere sul significato della scelta di Amore del Santo, sulla sua opera, che anche oggi in circostanze e tempi diversi, ma con molte analogie (ndr), ci chiama tutti ad impegnarci per le famiglie più deboli, per tutti quei fratelli nostri concittadini in difficoltà e per i tanti fratelli migranti che naufraghi bussano alle nostre porte per ricevere assistenza. Il Vescovo ha quindi esortato tutti a donare con regolarità, come puro servizio, un’ora del proprio tempo della settimana per opere gratuite di attenzione ai più bisognosi, agli ammalati, ai carcerati, ai poveri ecc.

Al termine del discorso il corteo processionale ha ripreso il cammino per accompagnare la statua di San Cataldo nella Cattedrale.

Numeroso è stato il gruppo di consorelle e confratelli del Carmine in abito di Rito che hanno partecipato con grande devozione alla Messa e alla processione, insieme al Priore, al Padre Spirituale, al Consiglio di Amministrazione e agli Officiali minori.

Ph: Emanuele Damone per Portodimareter

lunedì 18 maggio 2015

L'Ascensione

Antonello Battista 
La conclusione del tempo liturgico della Pasqua è segnata dalla festività dell'Ascensione al Cielo di Nostro Signore Gesù Cristo che cade sempre nel quarantesimo giorno successivo alla Pasqua. Una festività molto importante per tutti i fedeli perché sancisce la creazione della Chiesa trionfante del Regno dei Cieli. I Libri del Nuovo Testamento contengono sporadici accenni al mistero dell’Ascensione; i Vangeli di Matteo e di Giovanni non ne parlano e ambedue terminano con il racconto di apparizioni posteriori alla Resurrezione.

Marco finisce dicendo: “Gesù… fu assunto in cielo e si assise alla destra di Dio” (XVI, 10); ne parla invece Luca: “Poi li condusse fin verso Betania, e alzate le mani, li benedisse. E avvenne che nel benedirli si staccò da loro e fu portato verso il cielo” (XXIV, 50-51).

Ancora Luca negli Atti degli Apostoli, attribuitigli come autore sin dai primi tempi, al capitolo iniziale (1, 11), colloca l’Ascensione sul Monte degli Ulivi, al 40° giorno dopo la Pasqua e aggiunge: “Detto questo, fu elevato in alto sotto i loro occhi e una nube lo sottrasse al loro sguardo. E poiché essi stavano fissando il cielo mentre egli se ne andava, ecco due uomini in bianche vesti si presentarono a loro e dissero: Uomini di Galilea, perché state a guardare il cielo? Questo Gesù, che è stato tra di voi assunto fino al cielo, tornerà un giorno allo stesso modo in cui l’avete visto andare in cielo”. Gli altri autori accennano solo saltuariamente al fatto o lo presuppongono, lo stesso San Paolo pur conoscendo il rapporto tra la Resurrezione e la glorificazione, non si pone il problema del come Gesù sia entrato nel mondo celeste e si sia trasfigurato; infatti nelle varie lettere egli non menziona il passaggio dalla fase terrestre a quella celeste. Ma essi ribadiscono l’intronizzazione di Cristo alla destra del Padre, dove rimarrà fino alla fine dei secoli, ammantato di potenza e di gloria; “Se dunque siete risorti con Cristo, cercate le cose di lassù, dove Cristo sta assiso alla destra di Dio; pensate alle cose di lassù, non a quelle della terra; siete morti infatti, e la vostra vita è nascosta con Cristo in Dio!” (Colossesi, 3, 1-3)

San Giovanni nel quarto Vangelo, pone il trionfo di Cristo nella sua completezza nella Resurrezione, e del resto anche gli altri evangelisti dando scarso rilievo all’Ascensione, confermano che la vera ascensione, cioè la trasfigurazione e il passaggio di Gesù nel mondo della gloria, sia avvenuta il mattino di Pasqua, evento sfuggito ad ogni esperienza e fuori da ogni umano controllo.
Quindi correggendo una mentalità sufficientemente diffusa, i testi evangelici invitano a collocare l’ascensione e l’intronizzazione di Gesù alla destra del Padre, nello stesso giorno della sua morte, egli è tornato poi dal Cielo per manifestarsi ai suoi e completare la sua predicazione per un periodo di ‘quaranta’ giorni. 

Quindi l’Ascensione raccontata da Luca, Marco e dagli Atti degli Apostoli, non si riferisce al primo ingresso del Salvatore nella gloria, quanto piuttosto l’ultima apparizione e partenza che chiude le sue manifestazioni visibili sulla terra.Pertanto l’intento dei racconti dell’Ascensione non è quello di descrivere il reale ritorno al Padre, ma di far conoscere alcuni tratti dell’ultima manifestazione di Gesù, una manifestazione di congedo, necessaria perché Egli deve ritornare al Padre per completare tutta la Redenzione: “Se non vado non verrà a voi il Consolatore, se invece vado ve lo manderò” (Gio. 16, 5-7).

Il catechismo della Chiesa Cattolica dà all’Ascensione questa definizione: “Dopo quaranta giorni da quando si era mostrato agli Apostoli sotto i tratti di un’umanità ordinaria, che velavano la sua gloria di Risorto, Cristo sale al cielo e siede alla destra del Padre. Egli è il Signore, che regna ormai con la sua umanità nella gloria eterna di Figlio di Dio e intercede incessantemente in nostro favore presso il Padre. Ci manda il suo Spirito e ci dà la speranza di raggiungerlo un giorno, avendoci preparato un posto”. La prima testimonianza della festa dell’Ascensione, è data dallo storico delle origini della Chiesa, il vescovo di Cesarea, Eusebio (265-340); la festa cadendo nel giovedì che segue la quinta domenica dopo Pasqua, è festa mobile e in alcune Nazioni cattoliche è festa di precetto, riconosciuta nel calendario civile a tutti gli effetti.

Il colore liturgico di questa festività è il bianco, è il preludio alla Pentecoste ed alla festività del Corpus Domini, in passato la festa dell'Ascensione era molto radicata nelle realtà popolari urbane e rurali, festeggiata con grandi solennità e fiere sanciva simbolicamente la rinascita primaverile della natura e dei cicli di coltivazione della terra ed allevamento dei bestiami.

giovedì 14 maggio 2015

Qualche passo indietro

Luciachiara Palumbo

Ho chiuso gli occhi per un momento mentre il vento tiepido di Maggio graffiava il collo nudo e scompigliava i capelli.

Ho chiuso gli occhi per un momento mentre la banda in lontananza suonava a festa. Ho forse sognato per un istante, la mente ha viaggiato e con lei il cuore. Le medaglie battevano sulle ginocchia e quel suono massiccio si faceva di nuovo largo tra la folla. Sarei voluta restare ad occhi chiusi, avevo paura che sarebbe svanito tutto ma i luoghi parlano e le emozioni restano. Lo sguardo punto dal freddo è caduto su quell'angolo dove in quella notte, avvolta nella sciarpa, cercavo di nascondermi tra la gente che mi precedeva, per soffrire meno il gelo. 

Ho rivisto delle mani familiari che mi prendevano il volto per riscaldare le orecchie, il naso e per coprire gli occhi arrossati. Il sorriso è comparso sulle labbra sentendo la troccola attraversare il ponte, osservando di nuovo i miei perdoni che facevano attenzione a non incastrare il bordone nelle fessure. E quel silenzio, quel misterioso silenzio mescolato con le lacrime ha avvolto quella scena che a me, in tutta la sua semplicità, ha allargato il cuore. 

Il Cristo all'orto piano piano veniva abbassato e con immensa cura, l'angelo dal destino crudele tra le mani veniva adornato nuovamente con le ali. Il vento allora si era placato e nel buio di una notte di passione, la luna, bella più che mai, si rifletteva tra le onde del nostro mare.

A braccia conserte sulla Ringhiera la sera prima avevo osservato le lucine della rimessa delle barche e delle case lontane… Un quadro noto, un quadro da "Mistero e sgomento". Per tutta quella via, avvolta solitamente dal rumore delle auto, si diffondeva invece la voce del mare che sbatteva sulle coste e faceva oscillare le barche. 

A passo svelto poi mi ero diretta verso San Cataldo dispiacendomi di non poter vedere le statue nel bagno di folla di via Garibaldi. Ogni tratto percorso, però, non risparmiava l'emozione. Dall'alto dell'altare, mentre cantavamo le ultime ore di Cristo, il portone della Chiesa si era spalancato. Tutti i coristi avevano abbandonato le loro postazioni per vedere lo spettacolo più bello che nei miei diciassette anni abbia mai visto. I palazzi antichi , abitati da generazioni e generazioni di tarantini erano la scenografia ideale. 

Tra di essi i Misteri oscillavano ed il buio di un'isola abbandonata a se stessa veniva rischiarato dalle candele delle otto statue. La visuale era libera e sporgendosi si riusciva a vedere anche la Sindone che si trovava alla fine della piazza. Le marce imponenti riecheggiavano e smuovevano l'animo addormentato di una Taranto scordata.

Ho riaperto gli occhi ed un arcobaleno di congreghe sotto le luminarie attendeva il Santo ma gli occhi di alcuni, perso nel vuoto apparentemente, erano lo specchio di qualcosa di più grande. Ricordavano quel momento unico e lo rivivevano con nostalgia incastrandolo tra le pietre diroccate del Borgo antico… Il Borgo di Cristo.

Ph. E.Damone

mercoledì 13 maggio 2015

Figlio ..ecco tua Madre

Valeria Malknecht

Figlio, ecco tua Madre.
Maggio. Il mese in cui sbocciano i fiori ed in cui l’aria sa di una primavera quasi estiva.

Maggio. Il mese della festa della mamma.

Maggio. Il mese di Maria.

“Mamma” come la nostra mamma.

Da sempre, la figura che più di ogni altra cerchiamo è quella della mamma.

È il corpo che ci custodisce per nove mesi, le braccia che cerchiamo per prendere coraggio quando facciamo i primi passi, il volto da cui non ci vorremmo staccare quando andiamo via ed è la prima persona a cui pensiamo quando stiamo tornando.

Le mamme sono il nostro punto di riferimento, sia da bambini che da adulti.

Sono il nostro porto sicuro, la nostra consolazione, anche quando ci guidano dal cielo.

“Mamma” come il ruolo che ogni donna spera vivere e di avere nella vita di qualcuno.

Sia che si concepisca un figlio, sia che si diventi madre attraverso l’adozione, ogni donna aspira ad essere madre.

Perché è nella natura di ogni donna, essere figlia di una madre e desiderare di diventarlo.

È strano come una cosa così naturale e semplice possa essere anche così straordinaria.

“Mamma” come Maria, la nostra Madre Celeste.

Maria è divenuta nostra madre poco prima che Gesù morisse.

È stato Gesù stesso a presentarcela per mezzo di Giovanni, il discepolo amato: “Donna, ecco tuo figlio…Figlio, ecco tua Madre”.

Il sacrificio di Gesù, che è morto per la salvezza di tutti noi, passa attraverso il dolore di Maria ed il comandamento dell’amore che egli ci ha lasciato si completa proprio attraverso questo gesto di affido.

Ed il mese di maggio, più di ogni altro mese dell’anno, ci ricorda questa unione fra noi e Lei.

Quale altro mese dell’anno poteva essere dedicato a Maria se non il mese di maggio, quando sbocciano i fiori, l’aria si fa profumata ed i colori ci rallegrano il cuore.

Ma non sempre il mese di maggio è un mese colorato.

Per molti, può essere un mese grigio e autunnale, spento e pieno di preoccupazioni.

Non sempre, infatti, la primavera della natura corrisponde alla primavera del cuore.

Ed è qui che, allora, occorre mettersi sotto al manto della Madonna e cercare la sua protezione e la sua consolazione, proprio come facevamo da bimbi con la nostra mamma quando qualcosa ci spaventava.

Nessuna madre, quando un figlio l’invoca, rimane indifferente al suo richiamo.

E non lo farà certo Maria.

Auguri, Madre Celeste, Vergine del Carmelo, Madre Addolorata.

Questa festa della mamma è anche e soprattutto per te.

Proteggi sempre questi tuoi figli.

Amen.

photo G.Conte per Portodimareter

giovedì 7 maggio 2015

San Giuseppe Artigiano

Umberto De Angelis 

Il 1° Maggio oltre ad essere la “Festa dei lavoratori”, è la festa di San Giuseppe Artigiano.

Innumerevoli sono le categorie che lo considerano loro speciale patrono: viene invocato per l'infanzia, gli orfani, la gioventù, le vocazioni sacerdotali, le famiglie cristiane, i profughi, gli esiliati. È speciale patrono degli operai in genere e in particolare dei falegnami e degli artigiani. Si ricorre a lui inoltre per gli ammalati gravi ed in particolare per i moribondi.

Come conosciamo tutti, la Chiesa cattolica ricorda san Giuseppe il 19 marzo con una solennità di precetto a lui intitolata.

Altra festa ancora è quella del Patrocinio di San Giuseppe, che Pio IX estese a tutta la Chiesa nel 1847. La festa, già celebrata a Roma dal 1478, veniva celebrata la terza domenica dopo Pasqua; fu trasferita poi al terzo mercoledì dopo Pasqua, e infine sostituita nel 1956 con la festa di San Giuseppe Artigiano, assegnata al 1 maggio.

L'8 dicembre 1870 Pio IX proclamò San Giuseppe patrono della Chiesa universale, dichiarando esplicitamente la sua superiorità su tutti i santi, seconda solo a quella della Madonna.

Papa Leone XIII scrisse la prima enciclica interamente riguardante il santo: la Quamquam pluries, del 15 agosto 1889.

Nella tradizione popolare il mestiere di San Giuseppe è identificato come quello di falegname.

In Matteo (13,55) la professione di Giuseppe viene nominata quando si dice che Gesù era figlio di un "téktón". Il termine greco téktón è stato interpretato in vari modi. Si tratta un titolo generico che veniva usato per operatori impegnati in attività economiche legate all'edilizia, dunque in senso stretto non doveva appartenere a una famiglia povera, non si limitava ai semplici lavori di un falegname ma esercitava piuttosto un mestiere con del materiale pesante che manteneva la durezza anche durante la lavorazione, per esempio legno o pietra. Accanto alla traduzione - accettata dalla maggior parte dagli studiosi - di téktón come carpentiere, alcuni hanno voluto accostare quella di scalpellino.

Secondo la tradizione del tempo in Palestina, per i figli maschi, anche Gesù da bambino praticò il mestiere del padre. Il primo evangelista ad usare questo titolo è stato Marco che definisce Gesù un téktón in occasione di una visita a Nazaret, osservando che i concittadini ironicamente si chiedono: "Non è costui il téktón, il figlio di Maria?" (Mc 6,3).

Matteo, che probabilmente si trovava a disagio con questo sarcasmo e con questo titolo, riprendeva il racconto di Marco, ma con una curiosa variante: "Non è egli (Gesù) il figlio del téktón?" (Mt 13,55). Come è evidente, qui è Giuseppe ad essere iscritto a questa professione.

Nei tempi antichi, i Padri latini della Chiesa hanno però tradotto il termine greco di téktón con falegname, dimenticando forse che nella Palestina di allora il legno non serviva soltanto per approntare aratri e mobili vari ma veniva usato come vero e necessario materiale per costruire case e qualsiasi edificio. Infatti, oltre ai serramenti in legno, i tetti a terrazza delle case palestinesi erano allestiti con travi connesse tra loro con rami, argilla, fango e terra pressata.

[Informazioni storiche e riferimenti tratti da Cathopedia – Enciclopedia Cattolica]

mercoledì 6 maggio 2015

..Totus tuus...

Antonello Battista 

All’inizio di questo Maggio, non può mancare un articoletto dedicato a Maria, a Lei che è il centro di tutta la nostra spiritualità carmelitana, a Lei che ci infonde il suo carisma e che ci illumina la vita sotto le insegne del Carmelo.

Maggio è il mese di sicuro più dolce e rassicurante dell’anno, non solo per la rinascita della natura nello scorrere delle stagioni, ma proprio perché essendo il mese della rinascita, noi cristiani rivolgiamo la nostra devozione a Colei che ha fatto nascere e rinascere l’umanità nella sua immacolata concezione. Simbolicamente è in verità questo il motivo per il quale si dedica il mese di Maggio alla Madonna, raffigurata come una rosa che sboccia, come un germoglio che fiorisce, come un virgulto appena seminato.

Come confratelli del Carmine, come custodi di quel titolo mariano che portiamo sugli scapolari, è nostro dovere di figli, nonché piacere per lo spirito dedicare qualche minuto della nostra affannosa vita, per recitare a Lei quotidianamente un rosario od un Ave Maria, o ancora più semplicemente dirigerle i nostri pensieri e pregare col cuore per noi, per i nostri cari, per il mondo.

Preghiamola affinché la nostra Terra smetta di ardere nei conflitti scaturiti dal becero pretesto dell’odio religioso, non si può uccidere in nome di Dio, non si può devastare e violentare in nome di un’ottenebrante ideologia religiosa che con la religione non ha nulla a che vedere. Preghiamola per le migliaia di vittime del mare che a pochi chilometri da noi si perdono nelle profondità degli abissi, sfruttati dal disumano commercio di esseri umani, preghiamo anche per coloro che su questi nostri fratelli che cercano solo il diritto ad una vita dignitosa, spargono odio e soffiano sul fuoco dell’intolleranza, perché le loro inutili parole di ripugnanza si trasformino in mani tese che vedono il Cristo nello straniero che cerca accoglienza. 


“Via, lontano da me, maledetti, nel fuoco eterno, preparato per il diavolo e per i suoi angeli, perché ho avuto fame e non mi avete dato da mangiare, ho avuto sete e non mi avete dato da bere, ero straniero e non mi avete accolto, nudo e non mi avete vestito, malato e in carcere e non mi avete visitato…” (Mt 25, 41-43).
Madre mia e madre nostra accogli tutte le preghiere di ogni tuto figlio, che sia abbandona nelle tue braccia amorevoli di madre, donaci la pace dell’anima e mostraci sempre la via che ci conduce al Figlio tuo e nostro Signore Gesù Cristo, Amen.

martedì 5 maggio 2015

I misteri 2015 - parte quarta

Claudio Capraro

Le dimensioni di via Duomo non consentono, a differenza della larga via Anfiteatro, di poter vedere grandi porzioni di cielo. Alzando la testa quello che si riesce a scorgere è uno spicchio abbastanza piccolo, ma a differenza del percorso solito quest’anno avanziamo nel senso opposto, camminiamo verso est, verso levante, verso il punto da cui tra poco sorgerà pian piano il sole. Ed in effetti il nero cupo lascia il posto al blu scuro, che poi diventa blu, si schiarisce in bluette fino a diventare grigio. Non è proprio azzurro, o per lo meno non lo è ancora. La foschia della notte è ancora preponderante, man mano i raggi del sole scalderanno l’aria, la temperatura aumenterà e questa nebbiolina lattiginosa lascerà che il cielo diventi di un azzurro intenso. Quando arriviamo nei pressi della Rossarol, ormai la notte è terminata. La processione ha superato palazzo Calò e si avvia verso il ponte girevole, dietro sono rimaste le ultime due statue.


La tabella di marcia, puramente teorica vista l’originalità del percorso mai sperimentato prima dalla processione, dice che siamo in ritardo anche se non di molto. Le statue di Gesù morto e dell’Addolorata sono davanti al portone di palazzo Calò, vengono fatte girare, disposte una accanto all’altra come se dovessero entrare nell’androne. La banda tace; i fedeli anche. Il padre Spirituale, invita alla preghiera e al termine di questo veloce momento viene scoperta la lapide commemorativa posta su una delle colonne che contornano il portale del palazzo nobiliare.

Diverse le cose che passano per la mente in quel momento. E’ la mattina del 4 aprile 2015 ed esattamente lo stesso giorno di duecentocinquant’anni prima, venerdì 4 aprile 1765, venerdì Santo, quelle due statue uscirono per l’ultima volta da quel palazzo.

In quella posizione, o in una molto simile, invece dovettero trovarsi un anno prima le due statue la mattina del sabato santo del 1764, dopo aver concluso la processione organizzata dalla famiglia Calò, pronte a far rientro nella cappella privata. Dovevano trovarsi pressappoco così davanti al portone, sulle spalle dei portatori e con l’assistente spirituale dei Calò che recitava l’ultima orazione prima che i due simulacri facessero ritorno a casa. E forse proprio in quei momenti che Francescantonio pensava se e come poter perpetuare quella tradizione che il fratello di suo nonno aveva cominciato e che era arrivata sino a lui.

Si riparte. Si arriva alle fine di via Duomo. A sinistra le colonne doriche, il mare blu con i mercantili di tanti colori, il castello saldamente al suo posto. Gli spazi si allargano, la luce del sole inizia a scaldarci. Gran parte del corte processionale ha attraversato il ponte girevole, noi ci apprestiamo a farlo e così come è accaduto all’andata senza l’accompagnamento musicale delle bande. Un drone dotato sicuramente di fotocamera ci segue in alto dal cielo. Superiamo i giunti metallici del ponte. Quel ponte che, ritratto in decine di migliaia di cartoline e di fotografie in un tutt’uno con il castello, è l’immagine più nota della nostra città. Il trait d’union tra la città vecchia e quella nuova, tra le nostre origini ed il nostro presente.

Siamo tornati alle origini, in occasione di questa ricorrenza. Lo abbiamo fatto per diversi motivi, ma uno in particolare dovrebbe essere quello più importante e cioè che la nostra città possa con un colpo di coda, riprendere vita. La cosa strana è che non dovrebbe essere compito di una processione, tra l’altro penitenziale, o di una confraternita o di penitenti tutto questo, ma dovrebbero essere altri ad occuparsene, ma penso che se ci abbiamo provato vuol dire che sicuramente ce ne era bisogno. Una città vecchia ferita, i cui abitanti negli anni sono stati deportati, più o meno volontariamente altrove. Un quartiere in cui molto spesso molti tarantini hanno paura di avventurarsi, se non in occasioni particolari, temendo chissà cosa, proprio come i comandi alleati che nell’immediato dopoguerra avevano affisso sul ponte girevole un avviso di pericolo per i loro militari. Una Taranto vecchia che ha sentito parlare di tanti piani di risanamento, di recupero, che conosce bene il nome Blandino, ma che non ha mai visto concretizzarsi nulla di quanto previsto. Una Taranto vecchia in cui le istituzioni sono quasi del tutto assenti e gli unici uomini o donne in divisa, indossano la talare o il velo e sono visti dagli abitanti come esclusivo punto di riferimento.

Arrivati in via Matteotti, l’isola è ormai alle nostre spalle. Chissà se per altri duecentocinquant’anni o no. Se lo chiedono un po’ tutti. Le bande ricominciano a suonare. Il sole abbastanza alto, insieme all’ennesimo caffè, infonde agli ottoni e ai tamburi nuova energia. Il peso delle statue, ha segnato le spalle degli sdanghieri e delle forcelle. E’ uno dei momenti forse, dal punto di vista fisico, più duro, ma già sappiamo che quando saremo in vista del portone della nostra chiesa, tutto questo sarà un lontano ricordo.

Via Margherita e via D’Aquino sono piene di gente. Noi che siamo in ultima posizione, riusciamo nuovamente a scorgere tutte le altre statue ed i simboli. L’ultima volta era accaduto ieri sera su via Garibaldi. Il sole dritto in faccia ci abbaglia a ci costringe a tenere lo sguardo dritto davanti a noi.

Applausi in lontananza ci ridestano dal torpore nel quale ci aveva fatti piombare il dondolio della nazzicata. Evidentemente il troccolante ha bussato per tre volte al portone. La duecentocinquantesima edizione della processione dei Misteri, organizzata dalla Congrega del Carmine è giunta al suo epilogo. Noi siamo all’altezza dell’hotel Plaza e lentamente ci avviciniamo alla meta. Sappiamo che quelle che la banda alle nostre spalle eseguirà saranno le ultime marce funebri di questa processione e la volontà in ciascuno è quella di poterle godere fino in fondo.

I familiari ci sono accanto a sostenerci. I fedeli che numerosi riempiono i marciapiedi sono differenti da quelli che ci hanno accompagnato nel corso della nottata, ma un particolare gli accomuna tutti quanti: il raccoglimento e la preghiera.

Superata via Cavour ecco di nuovo le transenne per gli ultimissimi metri del percorso. Le forze dell’ordine cercano di tenere al di là di queste chi non è autorizzato, ma qualcuno sfugge sempre. Anche questa ulteriore differenza ha un sapore nuove, rispetto all’ingresso da via Massari in ombra degli anni passati, quest’anno proseguiamo su una via D’Aquino inondata dal sole.

Di nuovo il maxi schermo che riporta le immagini: le statue che sono già rientrate e sono state sistemate sui cavalletti all’interno della chiesa, il Crocifisso che si appresta ad entrare. La folla assiepata dietro le transenne, le bande che stremate stanno per eseguire l’ultima marcia.

E’ il turno di Gesù morto. Poi toccherà a noi entrare con la stessa marcia funebre. Jone di Petrella. Una marcia straziante con le sue note, la marcia con la quale fa il suo ingresso in chiesa la statua della Vergine Addolorata chiudendo la processione dei Misteri. Ed il pathos che queste note trasmettono, fanno vivere ogni volta emozioni diverse. Fanno riavvolgere nella mente un film durato un anno intero e che vede la sua conclusione in quel momento. Gregucci attacca; Gesù morto viene nazzicato dolcemente, subito dietro noi con la sua Madre vestita a lutto sulle nostre spalle. Tutti i presenti in piazza, sanno che stanno assistendo agli ultimi istanti di questa storica processione. Da lontano arriva il suono di una ambulanza, il brusio in sottofondo è cessato. Gesù morto comincia a muoversi e a fare il proprio ingresso in chiesa. Gli occhi arrossati dalla stanchezza, dal sole che li ferisce, dalle lacrime trattenute a fatica. Ci guardiamo. Ognuno mette la propria mano sulla spalla del compagno davanti a se. Ognuno cerca un contatto con il proprio fratello. Siamo una squadra, ma prima ancora siamo una famiglia.

Tocca a noi; le note raggiungono i toni più alti. Le lacrime ormai non si trattengono più. Entriamo in chiesa, subito dopo sentiamo il portone che viene chiuso alle nostre spalle. Le altre statue sui cavalletti, davanti a noi padre spirituale e priore ci aspettano. Il silenzio è totale. Giusto qualche parola secca, concisa che gli economi ed i collaboratori si danno per sistemare le ultime due statue che sono ancora sulle spalle dei portatori. Gesù morto viene girato. La Madre può guardare il volto del suo Figlio, ancora qualche istante in quella posizione e poi, molto controvoglia, la bara ornata di velluto nero viene affidata ai collaboratori per essere posta sui cavalletti; immediatamente dopo, sempre molto controvoglia, anche la statua della Beata Vergine Addolorata viene presa in cura dagli economi.

Ci si abbraccia, si piange, ci si saluta, ci si fanno gli auguri. Riprendere una posizione pienamente eretta non è semplice, come non è facile riuscire a camminare normalmente. Ci vorrà qualche minuto prima che il corpo si riabitui alla normalità. La preghiera ed il saluto finale e poi su a cambiarsi gli sdanghieri. Per le forcelle è più semplice, sfilati i guanti e slacciata la farfalla, si può far ritorno a casa, in attesa della veglia Pasquale quando potremo cantare gioiosi che Cristo Gesù è risorto!

Ci vorrà qualche giorno per capire cosa è successo. Per assaporare cosa si è fatto. In realtà è passato un mese esatto e ancora le sensazioni le sto vivendo pian piano. Abbiamo celebrato la messa di ringraziamento, abbiamo ricevuto l’attestato per la partecipazione, le prime foto e i primi video sono pronti. Abbiamo saputo come è stata apprezzata questa processione dagli abitanti della città vecchia, ma ancora ve lo giuro, ancora non sembra vero. Si è parlato spesso di un sogno, quello che abbiamo vissuto è stata realtà non un sogno, ma permettetemi di dire che non voglio essere svegliato, che a distanza di un mese voglio continuare a sognare perché ancora tutto quello che è accaduto non mi sembra vero.

La foto dell'Addolorata è di Naldi Schinaia
La foto della Cascata è di Federica Carbotti
si ringrazia per la concessione PORTODIMARETER

..A piccoli passi..la presentazione del lavoro di Francesco Casula

Salvatore Pace

Ieri sera, nella cornice suggestiva della Chiesa del Carmine è stato presentato l'ultimo lavoro sui Riti della Settimana Santa di Francesco Casula, valente giornalista e Confratello.
Un dvd dedicato alla Processione dei Misteri in città vecchia, scritto e diretto da un figlio del Borgo Antico, nato e cresciuto ai "cortili", che oltre al lavoro di cronista e narratore ha infuso nel suo lavoro una passione ed un amore per l'isola madre che, chi scrive può testimoniarlo, Francesco Casula non ha mai nascosto.
Potremmo definirlo un sequel del profetico "Quei misteri della città vecchia" in cui Casula aveva manifestato una certa "delusione" per la decisione assunta nel lontano 1967 dal Priore Piangiolino ed aveva mostrato una città vecchia pronta ad accogliere, come la vecchietta affacciata al balcone, almeno per una volta i suoi "misteri" nei vicoli della loro storia..è così è stato quest'anno nella celebrazione del 250 anniversario della donazione Calò.
L'incontro, moderato da Domenico Palmiotti responsabile per la sede di Taranto della Gazzetta del Mezzogiorno, si è articolato sugli interventi di Mons. Marco Gerardo e del Priore Cav. Antonello Papalia che hanno sottolineato entrambi l'encomiabile lavoro svolto dall'equipe di Casula.
Un lavoro ben più lungo e articolato dei 50 minuti del DVD, fatto di immagini, musiche e soprattutto di un testo, creato e "narrato" dallo stesso Casula, molto ben adattato alle immagini, conciso e preciso tanto da farlo battezzare, come il priore ha sottolineato, figlio professionale ed ideale di Nicola Caputo.
Dopo uno struggente flash di immagini con in sottofondo la meravigliosa "Venerdì Santo" di Nicola Centofanti è stata la volta dei ringraziamenti e dell'intervento di un visibilmente commosso Francesco Casula.
La famiglia, gli amici, e l'Amministrazione dell'Arciconfraternita, patrocinante il progetto, sono state salutate dall'autore che, per ultimo, ha rivolto un pensiero alla sua fidanzata, che, come tutte le "femmen d'sumana sand" è stata complice e "martire" nella passione di Francesco capace di creare, ancora una volta, un prodotto di alta qualità, come ha sottolineato il Priore Papalia.
La squadra per la realizzazione del dvd è stata formata da Francesco Casula, appunto, che lo ha scritto e diretto, da Luigi Piepoli e Martino Vinci alle riprese, da Stefano Spinelli per il montaggio, da Francesco Greco per la parte musicale e da Elena Maiorino per la grafica.
Il dvd è disponibile per la vendita ad un prezzo veramente simbolico di 10 euro che vale la pena offrire per dei contenuti di altissima qualità e per i quali ringraziamo Francesco ancora una volta.


Copyright © 2014 Alessandro Della Queva prove