martedì 29 aprile 2014

La mia “prima” Processione dei Misteri

Valeria Malknecht

Fa freddo, mi sento stanca e sono a malapena le 6 del mattino.

Ma non posso mollare proprio ora che l’Addolorata sta per attraversare il ponte girevole.

Il vento ed il gelo che ho sentito su di me questa notte sono i nemici che ora devo vincere. La paura che potesse piovere mi ha quasi esaurita, così come è accaduto alla batteria del mio i phone, a furia di controllare le previsioni del tempo.

Attendo che esca il sole così potrò scaldarmi.

In realtà, come mi aspettavo, a scaldarmi il cuore ci pensano le immagini che ho davanti agli occhi: la folla che abbraccia le sdanghe nere sul ponte, i confratelli del Carmine che vanno incontro all’Addolorata su via d’Aquino e la melodia di “Tuppe tuppe” che si adatta perfettamente al senso di inquietudine di una madre che disperata cerca il proprio figlio, bussando e chiedendo di lui davanti ad un portone.

Una telefonata mi porta via da quella piazza. Qualcuno ha bisogno di me e devo andare. La Madonna mi capirà.

La mattinata scorre veloce e non sono riuscita a mangiare, né a dormire nemmeno un’oretta. 

Non fa nulla, l’essenziale è che tutto il mondo si fermi per le prossime 18 ore. L’unica cosa che desidero è che mio padre possa fare la processione.

Merita di vivere questo momento, nonostante le preoccupazioni di questo periodo siano tante e gravi.

E come se non bastasse ci si mette anche il tempo.

Il troccolante ha tentato di uscire ma non c’è stato verso. Il suono della troccola non ha scacciato via le nubi, né ha spaventato l’acqua che copiosa continua a scendere.

Le porte della Chiesa, dopo essere state aperte per pochi minuti, si sono innaturalmente chiuse e hanno custodito per due interminabili ore i pensieri preoccupati di Luigi, di Salvo, di Mirko, di Aldo, di Antonello, di Mattia e di tutti i confratelli che, qualche sera prima, aggiudicandosi chi un simbolo, chi una posta, avevano realizzato un sogno.

Un sogno che qualcuno per un anno, qualche altro per una vita intera, ha immaginato di poter realizzare. Un desiderio che è costato sacrifici e privazioni ma che sono stati affrontati con gioia ed in piena consapevolezza.

Ora sono in un angolo della Chiesa, mi guardo intorno e ciò che vedo sono solo volti tesi e dita che scorrono freneticamente sui touch screen dei cellulari, ovviamente tutte alla ricerca di previsioni del tempo tanto attendibili quanto confortanti.

Qualcuno si raccoglie in preghiera, stringe fra le mani le sdanghe, si sofferma sui particolari delle statue così vicine, le bacia, le accarezza…riesco a leggere in quei gesti una inequivocabile richiesta di aiuto e di protezione.

In questo momento non ci sono più cifre, non ci sono più gare, né le critiche di chi queste cose non può capirle in pieno. Ora ci sono degli uomini che “vivono” Dio attraverso le statue dei Misteri e che vogliono uscire fuori da quel portone. Nient’altro.

Il suono della troccola mi batte nella testa. Il troccolante non smette di suonarla, quasi a voler rassicurare tutti che stasera quella troccola uscirà ed il suo crepitio risuonerà fra la gente.

Intanto qualcuno, l’unica persona che voglio sentire in questo momento, mi manda dei messaggi e mi dice ciò che sta riferendo il giornalista di Studio 100, mi aggiorna su come e quanto sta piovendo là fuori, mi chiede come sono gli animi e cosa succede all’interno della chiesa. È qui con me.

Finalmente si esce. 

Adesso sono ai piedi del Crocifisso e c’è solo silenzio. Do un bacio a mio padre ed al suo compagno di posta ed emozionati e fieri prendono il loro posto in processione.

I cappucci si abbassano sui loro volti ed è come se anche sul mio ne calasse uno.

Ed i pensieri improvvisamente corrono… alcuni mi riportano indietro nel tempo a quando desideravo che mio padre fosse un confratello. Ora realizzo che è tutto vero. È qui davanti ai miei occhi, nonostante tutto, ed insieme affronteremo questo cammino. Ringrazio quel Gesù che pende dalla croce perché gli ha dato la possibilità di esserci.

Altri pensieri sono rivolti ai miei affetti più preziosi…a te che stai soffrendo, a te che stai aspettando là fuori che tuo marito esca, a te che attendo di incontrare e con cui voglio condividere l’ennesima emozione.

Ed in questa giornata infinita le emozioni, sia belle che meno belle, sono state davvero tante.

Sono giunta in piazza, ora fa perfino caldo e non sento più la stanchezza. 

Vivo il momento del rientro in modo del tutto nuovo questa volta. Stupendo, non so descriverlo. 

Mi assicuro che mio padre sia entrato, mi soffermo sull’immagine del portone che si chiude dopo l’ingresso dell’Addolorata e vorrei che le note di Jone non finissero mai.

Quella di quest’anno la considero un po’ come la mia “prima” processione dei Misteri, perché così non l’avevo mai vissuta.
Mi ha regalato e fatto vivere dei momenti che difficilmente scorderò e che porterò nel cuore per sempre.

Questo è ciò che vorrei raccontare e far vivere a mio figlio un giorno.

E gli dirò che la pioggia non dovrà mai demoralizzarlo, né spaventarlo perché alla fine il sole ritorna…sempre. 

Decor.

domenica 27 aprile 2014

Il sacrificio, il cuore….e la fede!


Antonello Battista 

La Settimana Santa 2014 è terminata ed è ormai un ricordo, dolce ed indelebile ma solo un ricordo, asciugate le lacrime e riposto l’abito, ci restano le emozioni e le preghiere innalzate al Signore intimamente o con il nostro compagno di posta o di sdanga. Parlare della Settimana Santa è molto facile, a volte si abusa anche, ma viverla da protagonista con un cappuccio calato sul volto o un legno liscio sulla spalla è tutt’altra cosa: ti sembra di vivere in una dimensione parallela, il brusio, la folla che ti circonda, non sempre purtroppo composta e devota, sembra eclissarsi, quando sotto il cappuccio non è più il cervello, ma è il cuore a ragionare, a farti vivere ed a muovere i tuoi passi. È la dimensione intima della fede, che proietta ogni tuo gesto, ogni tuo pensiero, ogni tua intenzione, verso qualcosa di più grande e spirituale, verso colui che con la sua passione e resurrezione ci ha insegnato che non c’è notte che non venga seguita da un’alba, non c’è disperazione che non trovi sollievo nelle braccia amorevoli del Padre.

Questa Settimana Santa appena trascorsa è stata indiscutibilmente la metafora della speranza e della resurrezione in Cristo. Le incertezze metereologiche, hanno fatto temere il peggio e quando alle 17 del Venerdi Santo, il troccolante appena varcata la soglia del portone è dovuto rientrare a causa dell’intensa pioggia, siamo stati tutti, confratelli in primis, percorsi da un brivido di incertezza e quasi di sconforto nel timore che la processione dei Misteri, la nostra catarsi dell’anima, potesse essere interrotta o subire pesanti sconvolgimenti a causa del maltempo. Sono state due ore e mezza di interminabile attesa e preghiera all’interno della nostra amata Chiesa del Carmine, ma intorno alle 19.30, il tempo ha dato una tregua e mettendosi per il meglio, ha concesso forse una delle nottate più serene e placide di tutto l’anno, che seppur fredda è stata riscaldata dal calore della passione e dalle preghiere dei confratelli in processione. Questa è stata la prova della vittoria della luce sulle tenebre, è stata la nostra piccola resurrezione, il passaggio ad una vita nuova in Cristo. 

Non c’è notte senza alba, non c’è fede senza passione, ed è la fede che anima i nostri cuori in ogni nostro gesto o liturgia, è la preghiera che guida i nostri piedi nudi tra le pozzanghere e sulle fredde “chianche” di via D’Aquino. Ma cosa può portarti a compiere sacrifici, offrendo il frutto del tuo lavoro e della tua abnegazione, per poter partecipare a questa massima espressione di spiritualità; cosa può portarti a sopportare la fatica di una pesante sdanga sulla spalla o il dolore pungente dei polpacci e delle caviglie ingrossati da sedici ore di veglia e di posizione eretta, se non la forza della fede in Cristo e della preghiera?

Gli atti, i gesti le testimonianze (e ciò lo rivendico con cognizione di causa), sono la nostra risposta all’esercito di benpensanti che ogni anno sfoggia il proprio repertorio di luoghi comuni, volgarità, vouyerismo e ogni tipo di calunnia, sui sacrifici dei confratelli, sul loro reale senso di fede e sul senso del sacro in generale dei nostri Riti, cercando con blateranti dichiarazioni a volte anche pubbliche e a mezzo stampa di screditare in ogni modo l’ultimo baluardo di Tarentinità e di coesione sociale rimasto in questa lacerata terra, ottenendo forse l’effetto di cinque minuti di popolarità, ma in sostanza riempiendo con le loro parole il calderone delle ovvietà e del cattivo gusto.

È da Cristo che vogliamo essere guidati, è a Lui che vogliamo ritornare con la nostra passione e la nostra pietà popolare, è per Lui che compiamo i nostri sacrifici, chi non ci ama e non ama i Riti, ha da rassegnarsi, perché finchè anche uno solo dei confratelli del Carmine sarà mosso dalla fede e dalla passione per le nostre tradizioni, i Riti Pasquali Tarantini non moriranno mai, avranno altri 100 e poi 1000 anniversari della “Donazione” da festeggiare, portando indelebilmente impressi nei nostri cuoi i simboli della Passione di Nostro Signore Gesù Cristo.

Ancora una volta, Prosit fratelli miei!

giovedì 24 aprile 2014

Il sacrificio del pellegrino

Antonino Russo 

Ore 18:30 del Giovedì Santo. Caliamo il cappuccio, sistemiamo il cappello. Spalla contro spalla uno accanto all’altro. Antonio Russo, Collaboratore al Pellegrinaggio, ci dà le ultime indicazioni e ci accompagna all’uscita insieme a Giovanni Schinaia, Primo Assistente e direttore del Pellegrinaggio: primo passo a piedi nudi su Piazza Carmine, direzione “Borgo Antico” come amo chiamarlo.

La temperatura non è clemente ma non piove. Il primo volto amico ad avvicinarsi in via D’Aquino è quello del nostro Priore: “Avete molto freddo?” il tono della voce è premuroso, da fratello maggiore. Lo sguardo che incroci mentre ti sistema il cappuccio consente di capire che sono tante le poste del Pellegrinaggio e le Processioni vissute nelle condizioni meteo più svariate. 

33 il numero della posta. Come gli anni di nostro Signore quando sceglie la via della Croce. Un numero ricco di significato e di pienezza: tre come i miei figli, tre come i figli di Francesco Marangi che non ha esitato ad essere mio compagno di “Posta”.

Durante il pellegrinaggio si recita il Rosario. Sono tanti i momenti di silenzio: portiamo nel cuore tante intenzioni, i nostri affetti, le persone care che ora sono a contemplare il volto di Gesù.

I momenti di dialogo col mio compagno di posta : “Tutto bene Antonì?” “Sì, Frà”. Un altro passo ancora, un’altra “nazzicata” al suono delle bande o degli amplificatori che qualcuno ha avuto cura di preparare nelle proprie case o nelle propri botteghe. 

Scorgo l’orologio di Palazzo di Città: sono circa le 20:00 e il sole è già tramontato. Ora dai fori del cappuccio vedo ancora meno e le luci di Via Duomo consentono a stento di vedere le nostre ombre. Il bordone diventa sempre più un sostegno importante, il passo diventa man mano più incerto.

Passiamo tra la gente: c’è chi ci passa accanto distrattamente ma c’è chi scorge nella nostra presenza un segno. I bambini salutano timidamente e alcuni accennano ad un piccolo inchino con le mani giunte quasi a riconoscere la sacralità di un rito che tanti adulti confondono per teatralità anche a giudicare dagli autoscatto che qualche adulto si affannava a produrre affiancandosi a noi.

Davanti a noi, il Duomo. Siamo sul sagrato: togliamo il cappello e lo lasciamo cadere sulle spalle. Un gesto che ripeteremo arrivati a San Domenico e a San Giuseppe accompagnati lungo il tragitto dalla presenza discreta di Giovanni e Antonio. Ogni volta che raggiungiamo un Altare della Reposizione, dopo aver fatto la genuflessione e aver salutato la posta di confratelli che ci precede, scopriamo il volto: è un ritrovarsi, sempre nuovo, faccia a faccia con il Signore. Mi ha commosso il saluto alla Vergine Addolorata in una Chiesa di San Domenico piena di persone raccolte in preghiera in attesa della mezzanotte. 

Siamo sulla via del ritorno: sul Pendio la Riccia è il momento del saluto alla casa natale di Sant’ Egidio. Poco più avanti un parcheggiatore abusivo trova il tempo per rivolgerci alcuni sfottò: parole di conforto rispetto a quello che Gesù si è sentito dire lungo il Calvario.

Ora siamo diretti al Carmine: nonostante l’ora, sono tanti i fedeli che si attardano nel visitare la nostra Chiesa. Sul presbiterio, ai piedi di “Gesù alla Colonna” è il Priore ad attenderci a due a due, come gli Apostoli. Due, come i discepoli di Emmaus.

Per calare nuovamente il cappuccio sul nostro volto dovremo attendere poco meno di un anno ma non è tempo ancora di bilanci: il pensiero è già alla Processione dei Misteri.

mercoledì 23 aprile 2014

Discorso di S.E. mons. Filippo Santoro alla Processione dei Sacri Misteri



Ti adoriamo Cristo e ti benediciamo,
perché con la tua croce hai redento il mondo!




Sorelle e fratelli,


un saluto affettuoso a tutti voi. Saluto le autorità civili, religiose e militari. Saluto il Priore e il Padre Spirituale dell’arciconfraternita del Carmine, particolarmente in quest’anno in cui ricorrono i 250 anni della donazione delle due statue del Cristo Morto e dell’Addolorata. Durante quest’anno sarà possibile per tutti ricevere, per benevola disposizione di papa Francesco, l’indulgenza plenaria qui al Carmine.

Possiamo affermare alla fine di un primo percorso di riflessione intorno ai riti della Settimana Santa, con le confraternite coinvolte, di aver dato un segno di ascolto e di collegialità, di corresponsabilità. Vorrei ringraziare tutti i confratelli e le consorelle per la docilità e la maturità con cui sono state accolte le mie intenzioni per valorizzare il senso liturgico della domenica delle Palme posticipando le gare a fine giornata, dopo la celebrazione dei Secondi Vespri. Si è posto l’accento sull’attenzione ai confratelli meno abbienti, ai quali devono essere gratuitamente assegnati alcuni simboli, attenzione della quale i priori e i consigli di amministrazione si sono seriamente impegnati.
Altra attenzione è la partecipazione delle confraternite ad un’opera di carità diocesana, e cioè al dormitorio per senza fissa dimora. Sono state evidenziate due grandi direttrici: la gratuità e la carità. Anche prima le Congreghe facevano la carità, ma ora sono chiamate a contribuire con un segno concreto, alla comunione ecclesiale con tutte le realtà dell’arcidiocesi. Faremo questo centro notturno anche se, lasciatemelo dire; sono convinto che bisogna aiutare una persona prima che diventi un senza tetto. Dopo è già un fallimento per la comunità che deve correre ai ripari.
1. Siamo finalmente, anche quest’anno, intorno ai nostri amati simboli.
Silenziosamente, alla nostra vista appaiono, quelle scene di passione delle quali abbiamo ascoltato nella lettura del vangelo di san Giovanni oggi pomeriggio nell’azione liturgica dell’adorazione della croce. Chi ascolta la Parola di Dio e cerca di interiorizzarla, conosce quel passaggio che nella lectio divina è detto Contemplatio, contemplazione. Si ascolta, si rumina la Parola di Dio. Ora la si contempla. Così che i nostri sensi siano invasi dall’amore di Dio per noi.
Fratelli guardate i Misteri e ditevi in cuor vostro con le parole dell’apostolo Giovanni
Dio ha tanto amato il mondo! (cfr Gv 3) E con San Paolo “Il Figlio di Dio mi ha amato e ha dato se stesso per me” (Gal 2, 20).
Ecco il Signore che prende su di sé il peso dei nostri peccati, il peso che da soli non riusciremmo a portare. I peccati sono i nostri e il Signore li espia. Egli da schiavi ci trasforma in figli.
Fratelli e sorelle, il Santo Padre Francesco ci ha chiesto, con la sua semplicità, di guardare verso il crocifisso, di tendere le mani verso di lui, di baciarlo, di accarezzarlo. Non abbiate paura della tenerezza, non abbiate paura di far posto al cuore. La croce è ‘cosa’ di amore, di cuore. Lasciatevi infiammare dall’amore di Dio.
Sotto la croce avvengono i miracoli. Il miracolo che il dolore si trasforma in consolazione e che le nostre cattiverie vengano sovrastate dalla misericordia di Dio.
Gesù innalzato è il Gesù che ci attrae. Fratelli guardate a Gesù e sarete raggianti! (cfr. Sal 33)
2. Da un po’ di giorni mi accompagna una riflessione inizialmente amara, ma che gettata nel dolore del Signore, si carica di fiducia e di speranza. Riflettevo che magari il nostro popolo in questo periodo potrebbe scoraggiarsi perché tanti miglioramenti auspicati e invocati tardano ad arrivare, a povertà si aggiunge povertà, a sfiducia altra sfiducia.
Se penso ad esempio che tre anni fa proprio da questo balcone mi appellai perché la situazione dei due marò pugliesi si risolvesse. Speriamo che finalmente presto i nostri Latorre e Girone tornino tra noi. E se passiamo al mondo del lavoro che le cose si complicano ancora di più, come accade ai lavoratori dell’indotto della Marina, che ho visitato interpellando il ministro della difesa e ai quali rinnovo tutta la mia solidarietà. Proprio l’altro ieri nel precetto all’Ilva ho affermato in merito alle nostre complesse problematiche che “nonostante ne siano successe tante, se ne siano scritte e dette molte di più, le cose non sono cambiate di molto. Non basta salvare il salvabile bisogna innovare, cercare strade nuove”. Invito a che non ci siano ulteriori proroghe e ritardi perché la vita non può attendere.
E come non ricordare il piccolo Mimmo di Palagiano, caduto nella strage più sanguinosa accaduta in quel territorio. Che le nostre domande trovino risposta!
Se osservo le richieste senza numero da parte dei nostri poveri, le aziende che stentano o che chiudono, la fila di coloro che perdono il posto di lavoro, è inevitabile che la mia preghiera si fa più intensa.
“Alzo gli occhi verso i monti da dove mi verrà l’aiuto? Il mio aiuto verrà dal Signore (cfr Sal 120). perché noi siamo sue creature.
Nella Via Crucis per tre volte la tradizione ci fa meditare sulle cadute del Signore lungo la via dolorosa. Segno che non dobbiamo dubitare della bontà di Dio, non dobbiamo scoraggiarci perché Dio ci rialzerà, egli vuole rialzarci, non ci lascerà soccombere sotto il peso dei nostri peccati ma ci darà vigore. Non ci lascerà perire sotto la sferza dei nostri problemi, perché lui, semplicemente ci vuole bene, ci ama. Chiede però la nostra responsabilità ed il nostro impegno serio. Qualcosa abbiamo visto muoversi per la rigenerazione della Città vecchia e dopo l’assemblea che abbiamo fatto in episcopio, diverse entità si stanno interessando a partire dai bisogni e dalle necessità delle persone che vi abitano e da una visione d’insieme della nostra città. Per dare un segno concreto ieri nella messa, nella cena del Signore del Giovedì Santo, ho fatto la lavanda dei piedi a dodici pescatori della città vecchia. Ho baciato i loro piedi come Gesù ha fatto con gli Apostoli e come Papa Francesco ha fatto con dodici disabili.
Il Signore ci porta a sperare: “Sei tu Signore la mia risurrezione, sei tu Signore la mia vita, l’unica mia speranza, basta una tua parola ed io sarò salvato”
Badate bene che l’invito costante al perseguimento del bene comune non è un invito di circostanza ma un dovere ed un bisogno per questa Città. Non possiamo continuare ad essere divisi. Né tantomeno possiamo pensare di costruire qualcosa di serio facendo a meno gli uni degli altri, o semplicemente lamentandoci.
Il quadro è drammatico e duro. Gli effetti della crisi si stanno facendo sentire ora nella loro virulenza, ma non possiamo lasciarci inghiottire dalle tenebre, perché è possibile, tangibile, riscontrare tante manifestazioni luminose.
Penso ai giovani, abbiamo fatto la Giornata Mondiale della Gioventù nella sua edizione diocesana con la partecipazione di tanti giovani con preghiere e testimonianze molto belle di solidarietà. Penso al volontariato del nostro territorio, alle nostre parrocchie popolose, a tanta gente buona, creativa e generosa. Questo siamo noi. Certo vicino al Calvario si concentra il peggio, ma c’è anche la Madonna il giovane apostolo Giovanni, il Cireneo e le donne che rimangono fedeli. Da lì su si fa buio per tutta la terra, ma il Signore che è in alto, sulla croce, elevato, innalzato per noi, ha lo sguardo posato su ciascuno anche sul giardino che ci aspetta, la risurrezione, evento del Signore che irrora il passato il presente e il futuro.
3. Ora però dobbiamo avere fede di piantare fiduciosi il seme nella terra affidandolo ad essa, fidandoci di Dio. Il Cristo morto è proprio questo seme che deve essere calato in profondità, occultato agli occhi, ma non al cuore, perché sappiamo che lui è presente e allora si sprigionerà la vita. Seguiamo il Cristo che muore per i nostri peccati e ci ridona la vita! Ma allora pentiamoci dei nostri peccati personali e sociali, convertiamoci e avremo la pace.
“Un punto di riferimento noi lo abbiamo è la croce di Cristo, rimedio per il cuore e per tutta la società. La croce come segno di amore infinito totale e gratuito. “Infatti ciò che è stoltezza di Dio è più sapiente degli uomini e ciò che è debolezza di Dio è più forte degli uomini” (1 Cor 2,25).
Il Signore, essendo Dio, non è rimasto a guardare dall’ alto, ma si è mischiato con noi, con la nostra condizione, si è fatto uomo che conosce il dolore ed ha sofferto l’ ingiusta condanna che lo ha condotto all’ ignominia della croce, il supplizio degli schiavi e l’ignominia più profonda. Il crocifisso è davanti a noi; l’ uomo dei dolori, abbandonato da Dio perché nessun uomo nel momento della sofferenza e della morte si senta abbandonato.
A te gridiamo Signore Gesù. Aiutaci! Perdonaci! Salvaci!
Andando a piantare il seme della nostra speranza, siamo accompagnati dallo sguardo meraviglioso della Beata Vergine Addolorata, solo lei può insegnarci come gli annunci di salvezza diventino sangue e carne, storia vera.
Vogliamo lasciarci riconciliare dal Signore e così essere costruttori di solidarietà e di speranza per noi per la nostra città ferita per tutta la nostra società. Ti preghiamo per tutti; particolarmente per gli ammalati, specialmente le vittime dell’ inquinamento, per i disoccupati, per i lavoratori e i bambini. Ti preghiamo per i giovani, che non siano costretti ad emigrare per studiare e per lavorare. Ti preghiamo per quelli che ci governano: che lo facciano davvero, che siano saggi, efficienti e che costruiscano il bene comune.
Ti preghiamo per la Chiesa: che cresca nell’ amore e che con Papa Francesco sta offra a tutti la misericordia del Signore, che nessuno si senta escluso dall’amore di Dio.
Dall’alto del dolore della croce il Signore vi abbraccia e vi benedice tutti.
E il vostro vescovo vi è vicino, vi augura un buon pellegrinaggio dei Santi Misteri e la gioia della resurrezione.
+ Filippo Santoro
Arcivescovo Metropolita di Taranto

martedì 22 aprile 2014

La cascata

Claudio Capraro

Si era sempre chiesto perché quel nome. Probabilmente era il frutto della volontà di italianizzare un termine vernacolare. Anche nella via Crucis per tre volte si parla di cadute di Gesù sotto la Croce, mai di “cascate”, ma fatto sta che da oltre un secolo il nome di quella rappresentazione, appunto quella di Gesù che cade per tre volte sotto il peso della Croce sulla via del Calvario per i tarantini tutti ha il nome di Cascata.

L’opera del Manzo è, in maniera oggettivamente indiscutibile, di una bellezza da togliere il fiato. Il volto del Cristo che cade guardando il cielo, la fatica dipinta sul viso, le pieghe della tunica, la mano che tocca i sassi, il sangue che gocciola dalla fronte.

E’ una statua facilmente fruibile alla vista da parte di tutti i fedeli sia per la sua posizione orizzontale, così come Gesù morto che però è più bassa, sia per la sua altezza ed è quindi facile trovarsi a pochissima distanza dal volto del Cristo.

Era la statua, delle otto, che conosceva meglio in tutti i particolari proprio per queste sue caratteristiche e quella domenica sera assisteva alla via Crucis proprio sotto la nicchia chiusa dal vetro smerigliato con sopra disegnata la Croce china sul Calvario, in sottofondo ascoltava le note del Marinosci mentre il coro intonava “sotto i pesanti colpi della ribalda scorta, un nuovo inciampo porta a terra il mio Signor…” e pensava che si sentiva così, a terra con la sua croce addosso.

Mentre poco prima dell’inizio della funzione e subito dopo tutti avrebbero concordato gli ultimi dettagli per la formazione di squadre o poste, lui stava lì a pensare quale croce gli era capitata addosso: aveva perso il lavoro e essendo più vicino ai cinquanta che ai quaranta aveva paura di non essere più in grado di provvedere alla sua famiglia. Si sentiva spaventato, perso, solo. Sentiva forte il peso di quella croce, rappresentata da una lettera di licenziamento, che seppur non improvvisa causa la crisi che attanagliava la sua azienda, era stata comunque un duro colpo.

Si dava coraggio ripetendosi che doveva portare la sua croce senza lamentarsi e silenziosamente, ma da fragile essere umano, a volte non riusciva a restare fedele a questa promessa.

Il pellegrinaggio del giovedì Santo al quale avrebbe voluto partecipare, avrebbe avuto quest’anno un sapore differente. Più amaro, che sempre di penitenza si tratta, ma quando hai il cuore triste ti senti ancora più partecipe della sofferenza di Cristo Gesù.

E mentre era lì, davanti a quella nicchia dalla quale nonostante il vetro opaco si scorgeva il color vermiglio della tunica, fece una promessa a se stesso: su di un marciapiede, in abiti borghesi, quel venerdì santo sarebbe stato accanto a quella statua, alla Cascata, per tutta la durata della processione. Era il suo voto; non avrebbe potuto far parte di una squadra e gareggiare per sdanghe o forcelle (quanto gli sarebbe piaciuto!), i risparmi messi da parte sarebbero volati via velocemente in attesa di un nuovo impiego, ma sarebbe stato lì accanto ad uno dei “tre fratelli di nome Gesù”.



Dopo la morte c’è la Resurrezione, la base fondante del nostro Credo. Adesso si sentiva morto, ma sarebbe rinato a nuova vita e chissà un giorno avrebbe avuto modo di poter sentire sulla sua spalla il dolcissimo peso di quelle sdanghe, le più lunghe di tutte le altre, quelle che reggono la statua più pesante delle otto, e potersi nazzicare mentre la banda intonava le note di Christus.

lunedì 21 aprile 2014

Gli Esercizi Spirituali di Mons. Ravasi

Antonino Russo

Ho da poco letto il libro “L’Incontro – ritrovarsi nella preghiera” di S.E. Mons. Ravasi.

Si tratta degli Esercizi Spirituali predicati a Benedetto XVI da Ravasi nel febbraio 2013.

“Come il passeggiare, il camminare e il correre costituiscono esercizi fisici” gli Esercizi Spirituali sono “tutti quei modi di preparare e disporre l’anima” diceva S. Ignazio di Loyola. Gli Esercizi consentono di “scartare tutte le affezioni disordinate e cercare e trovare la volontà divina nella disposizione della propria vita per la salvezza dell’anima”.

Mi sono approcciato alla lettura con curiosità poiché per me Mons. Ravasi non è solo autore di bellissimi testi ma principalmente il volto che da anni, ogni Domenica mattina, commenta e illustra magistralmente, in un programma televisivo, la Parola che di lì a breve sarà proclamata nella Santa Messa. Fortunatamente questo appuntamento consente di apprezzare tante sfumature che nelle nostre parrocchie sfuggono per diversi motivi: in questo testo, che si legge davvero tutto d’un fiato, vengono analizzati alcuni versi del Salterio con la solita ricchezza di riferimenti alla letteratura, alla musica, alla filosofia che l’autore ama fare.

Ravasi cita Leopardi per il quale la meditazione rappresenta una medicina per l’anima, ma anche Antoine de Saint-Exupéry, autore del Piccolo Principe, passando per Kierkegaard che paragona la preghiera al respiro del corpo.

La prima parte del libro è un salire verso Dio “del quale la preghiera ci manifesterà i vari profili che la fede riesce a definire nei loro vari significati”. Viene tracciato il volto di Dio attraverso la creazione, la liturgia, la storia, Gesù e, infine, l’uomo.

Nella seconda parte la luce risplendente del volto di Dio illumina i “molteplici lineamenti del volto umano. Dio e creatura umana, teologica e antropologica s’incontrano quindi nel crocevia della preghiera”.

L’esercizio della adorazione della Croce che nelle Domeniche di Quaresima noi confratelli abbiamo il dono di vivere mi piace vederlo anche in questa prospettiva ovvero come parte di un percorso di esercizi spirituali che troveranno il momento più forte nel triduo di Pasqua.

In questi nostri giorni in cui è fondamentale essere “on line” e abbondano i selfie (cioè gli autoscatto, per i meno giovani) pubblicati sui social network, dovremmo (ri)scoprire la fatica e il dono degli Esercizi Spirituali ed arrivare così a fotografare ciò che conta, ovvero la nostra anima, attraverso un processo di liberazione dalle cose inutili e di sconfitta delle paure. 

L’ultima paura di cui ci libereremo, come dice S. Ignazio è quella della morte sconfitta dalla Croce di Gesù.


mercoledì 16 aprile 2014

...Settimana Maggiore 2014...


Da oggi saremo tutti, a vario titolo, impegnati nei nostri Riti, chi attivamente, chi con incarichi di Amministrazione, chi come prezioso supporto a noi Confratelli .

Da oggi è Settimana Maggiore, da oggi è Triduo, da oggi è l'inizio dei nostri giorni.

Un augurio dal coordinamento eventi culturali della nostra Congrega, che sia per tutti voi una Settimana Santa da ricordare e che possiate trascorrere una Santa Pasqua con le persone che amate in totale serenità.

Ci vediamo il 22 Aprile 2014.





martedì 15 aprile 2014

Con gli occhi di una bambina


Luciachiara Palumbo 

Sono le 14.45, di corsa scendo le scale e con passo veloce raggiungo via D'Aquino. Il battito è accelerato e nello stomaco avverto tante farfalle, esattamente come quando si è innamorati. Lungo la strada osservo i cordoni verdi ai lati e alzo lo sguardo al cielo… Si ci siamo, penso dentro di me. 
Le lacrime scendono lungo il volto e i ricordi riaffiorano alla mente. Non moltissimi anni prima una bimba piccola mano nella mano con il suo papà si dirigeva verso la stessa meta. Riempiva di domande il suo accompagnatore, il quale instancabile cercava di rispondere il più possibile. Arrivati davanti al portone della Chiesa del Carmine troppa gente aspettava ansiosa e la piccina, inutilmente, si metteva sulle punte ma non riusciva a vedere nulla.

"Papà mi prendi in braccio?", diceva con vocina dolce e lagnosa. Il padre con una smorfia e con i gesti la invitava a chiedere permesso e ad andare avanti, ma la testarda quanto timida figlia non ne voleva assolutamente sapere e così continuava imperterrita a scuotere il capo. Alla fine vincendo come al solito l'amore paterno, il forte uomo la prendeva sulle spalle e la bimba con le manine sulla sua testa si sorreggeva mentre guardava dall'alto l'uscita della prima posta. 

Poco dopo quelle stesse manine sarebbero state strette dai suoi amati nonnini, che la avrebbero portato in città Vecchia, quello strano luogo che vedeva una volta all'anno e che le piaceva tanto. Scesa dall'autobus vicino piazza fontana, il nonno si assicurava che nell'attraversare nessuno la investisse e poi stringendola a sé la portava sul pendio per arrivare a San Domenico. 

Quell'imponente scalinata le faceva paura e domandava, come al suo solito, come facessero quei "fantasmi buoni"a scendere con una Statua senza farla cadere. Il papà la prendeva in braccio e come un razzo arrivava all'ingresso della Chiesa. Allora l'allegra compagnia familiare si faceva il segno della Croce e ripeteva quella bella preghierina, che la bambina aveva facilmente imparato a memoria: Sia lodato e ringraziato ogni momento, il Santissimo e Divinissimo Sacramento. Gli adulti tutti stanchi si sedevano ma lei, tutta presa dalla folla, andava in giro cercando la sua bellissima mamma disperatamente. 

Quando finalmente la trovava con le mani giunte le rivolgeva la solita preghiera affinchè il suo amato nonno, che era molto devoto all'Addolorata, potesse sempre stare bene. Poi esausta anche lei si sedeva accanto alla zia e osservava il "Sepolcro". 

I suoi genitori avrebbero voluto che tornasse con loro a casa, visitando ancora qualche Chiesa ma era tradizione che ritornasse a casa con i nonni e che restasse a cena da loro. Tutti seduti sul divano davanti la tv guardavano l'uscita della Vergine e dentro di sé la piccola si domandava se da grande sarebbe mai riuscita a vederla di persona. 

Cara bimba ci sei riuscita eccome a osservare la tua dolce Mamma che scende la paurosa scalinata e ti dirò di più hai anche l'onore di seguirla in processione, cosa che penso alla tua età non potevi neanche immaginare… 

Molte cose sono cambiate d'allora ma il cuore è sempre quello di una bambina che con le manine giunte prega la sua Mamma.

lunedì 14 aprile 2014

La Settimana Santa, una certezza per noi!

Claudio Capraro


La nostra vita è fatta di tante incognite e di poche certezze. Ancora di più negli ultimi tempi; ancora di più per noi che viviamo in questa città afflitta da tanti mali, ma dalla quale non ci siamo voluti e continuiamo a non volerci staccare.

Tra le poche certezze, forse, una soltanto ha una storia così lunga: 250 anni che la processione dei Sacri Misteri è affidata alle amorevoli cure dell’Arciconfraternita del Carmine che per secoli ha portato in processione prima le due statue di Gesù morto e della Vergine Addolorata e poi man mano anche le altre sei, tra le vie dell’isola per poi dalla seconda metà del secolo scorso, trasferirsi nel borgo umbertino.

Le storie della processione dei Misteri e dell’Arciconfraternita del Carmine sono entrambe antecedenti al 1765, anno della donazione del Calò; quell’anno le due storie si sono incrociate, fuse, sono diventate un tutt’uno.

Sappiamo bene che la nobile famiglia Calò era proprietaria delle due statue e che le facesse portare in processione il venerdì Santo dalle diverse confraternite tra cui quella del Carmine; sappiamo anche che la Confraternita del Carmine praticava nei giorni della settimana Santa insieme con gli altri numerosi sodalizi il pellegrinaggio ai sepolcri e ci sono note le date e le modalità con cui Francescantonio Calò, innanzi al notaio Mannarini, stipulò l’atto di donazione delle statue all’allora Priore della Confraternita Omobono Locritani. Immaginiamo anche di conoscere le motivazioni che spinsero il nobile tarantino a compiere quell’atto dalla lettura del quale si evincono anche i motivi che avevano fatto sì che la scelta ricadesse sulla Confraternita del Carmine e non su di un'altra.

Insomma anche se ci sono ancora dei punti oscuri, sappiamo bene che da quel venerdì Santo del 1765 la processione dei Sacri Misteri è, appartiene, alla nostra Confraternita, ma è ed appartiene anche a questa città. Ancora oggi, nonostante la nostra città debba combattere contro tanti problemi che ogni anno sembrano aumentare invece di essere risolti; Taranto con affetto ed emozione si stringe attorno alla sua processione dei Misteri e più in generale attorno ai suoi riti ed alle sue tradizioni.

E noi, così come i nostri padri, i nostri nonni e via via indietro fino a quell’aprile di 250 anni fa, saremo per le vie di Taranto, saremo tra la gente. Quest’anno ancora di più, tra la gente, considerato che le transenne saranno ridotte per numero ad un minimo, fisiologico. Avremo l’onore di portare i simboli della Passione di nostro Signore e nello stesso tempo in chi osserva quei simboli, di portare la speranza, di riaccendere la fede sopita. Avremo a guardarci gente che soffre, uomini che forse a differenza di un tempo non si scopriranno il capo al passaggio di una statua o altri che dimenticheranno di silenziare il telefono, ma gente che si segnerà e rivolgerà la sua personalissima preghiera al simulacro che avrà di fronte in quel momento.

Saremo cioè, come disse l’ormai prossimo santo Papa Giovanni Paolo II, espressione di quella “religiosità popolare che può essere sempre più, per le nostre masse popolari, un vero incontro con Dio in Gesù Cristo” o per citare l’esortazione apostolica Evangeli Gaudium di Papa Francesco che definisce tali riti come “la manifestazione di una vita teologale animata dall’azione dello Spirito Santo che è stato riversato nei nostri cuori”.

Saremo con la nostra processione dei Misteri una certezza, una delle poche rimaste per noi confratelli e per la città tutta: la certezza che solo in Cristo Gesù morto e risorto per noi tutti, c’è la salvezza.

domenica 13 aprile 2014

L'orchestra di fiati "G.Chimienti" di Montemesola

Luca Tegas

Continuiamo con la serie di articoli riguardanti le bande che vedremo alternarsi nella processione dei Sacri Misteri di Venerdì Santo.
Come ha già egregiamente scritto il fratello Antonello Battista nel suo articolo del 3 aprile, le bande e le marce della Settimana Santa, sono la “chiave” con la quale il nostro spirito si immedesima e vive i giorni della Passione; qualcuno, molto più autorevole di noi, definì quelle note e quei complessi un ”condimento essenziale” per noi confratelli.
La lente d’ingrandimento è oggi puntata sull’uelQuello che avegteorchestra di fiati “Giuseppe Chimienti” città di Montemesola nasce nel 2003. Nasce grazie alla volontà ed alla passione di un nutrito gruppo di musicisti del territorio con la comune passione per la musica ed in particolare per la quella bandistica. Nel corso dei suoi 11 anni di attività, l’Orchestra, ha partecipato a diversi ed importanti raduni bandistici tenutisi in tutta la regione.

Numerosi sono i consensi e gli apprezzamenti che la “Giuseppe Chimienti” raccoglie nella provincia tarantina e non solo, grazie anche alle partecipazioni alle feste popolari del territorio jonico come quella di San Gregorio Magno a Manduria o quella della Madonna del Rosario a Montemesola.
L’Orchestra è dotata di un repertorio molto vasto e versatile, che spazia dalla musica leggera a quella classica, dalle marce sinfoniche a quelle militari, fino alle “nostre” marce, quelle della tradizione tarantina.
Dal 2012, in virtù dei consensi ottenuti, uniti alla grande passione e dedizione verso la musica, l’Orchestra prende parte alla processione dei Sacri Misteri e proprio grazie alla raffinatezza delle esecuzioni, all’attenzione e alla disponibilità dimostrata nei confronti delle esigenze dei confratelli, che la banda di Montemesola quest’anno espleterà il suo compito dietro la Sacra Sindone.
Dal 2011 l’Orchestra di Fiati è diretta dal Maestro Prof. Lorenzo De Felice, giovane musicista di Montemesola, diplomato in clarinetto presso il conservatorio Giovanni Paisiello di Taranto.
Nel 2008, il prof. De Felice, vince una borsa di studio assegnata dal Rotary Club Magna Grecia presso l’istituto di alta cultura musicale “G. Paisiello” “per essersi distinto per impegno, profitto e doti morali”. Ha frequentato diversi corsi di perfezionamento con maestri di fama internazionale quali: Vincenzo Mariozzi, Fabrizio Meloni, Romain Guyot, Michele Lomuto, Francesco Tamiati.
Durante la sua carriera concertistica il Maestro De Felice è stato premiato per ben 21 volte in vari concorsi nazionali ed internazionali tra i quali i concorsi città di Matera, città di Altamura, città di Massafra, città di Taranto. Vanta all’attivo numerose collaborazione con diverse formazioni orchestrali quali l’Orchestra dell’Istituto Musicale “G. Paisiello” della provincia di Taranto, l’Orchestra della Magna Grecia, l’Orchestra J. Futura di Trento e l’Orchestra della Lucania.

Attualmente il prof. De Felice è insegnante di clarinetto nelle scuole medie statali di Milano e Provincia e svolge attività concertistica spaziando dal duo con il pianoforte all’ ensemble di clarinetti.

venerdì 11 aprile 2014

Il cammino della Passione in musica

Valeria Malknecht

Manca poco alle 17:00…il troccolante, a volto ancora scoperto, sta per varcare la soglia del portone del Carmine.

Un portone chiuso ancora per pochi minuti, tanto quanto basta per realizzare che ciò che per un anno intero hai pazientemente atteso ora è lì ad una manciata di secondi da te. Tutto sta veramente accadendo.


All’improvviso, la navata della Chiesa si riempie di una luce nuova e il crepitio della troccola arriva finalmente nitido e diretto alle orecchie e al cuore della gente che attende assiepata in piazza.

Qualche minuto ancora, giusto il tempo di coprire il volto del troccolante e di sistemare il cappello, e la banda Lemma di Taranto, diretta dal maestro Francesco Bolognino, come è ormai tradizione intonerà le note di Tristezze.


Questa è la marcia dell’inizio, la marcia della prima nazzecata, la marcia in cui la troccola diventa, oltre che simbolo della processione, vero e proprio strumento musicale.

Il suono dei due piatti dà l’avvio al tutto, ma l’irruenza di questo motivo così forte cederà presto il passo alla pacatezza dei flauti e dei clarinetti.

Le prime poste dei confratelli sono già per strada ed inizia ad affacciarsi la statua di Gesù all’orto.

L’Uomo ha paura di ciò che sta per affrontare, è inquieto e si agita…intanto le note di a mio padre, con il suo ritmo così ben scandito e preciso, specie nella parte centrale dell’esecuzione, sembrano accompagnare quella Sua scelta così difficile, eppure così tanto consapevole.

Sarà consegnato alle guardie, sarà tradito da uno dei Suoi, sarà rinnegato perfino da Pietro. Sarà legato ad una colonna e flagellato… gli conficcheranno sulla testa una corona di spine. Sarà ricoperto da una tunica che non riusciranno a stracciare e a spartirsi e sarà deriso ed umiliato come l’ultimo dei re ed il primo dei malfattori.

È la volta della banda Paisiello di Palagiano, diretta dal maestro Rocco Cetere.

Le note finali di A mio fratello cercano di alleviare i colpi e le ferite di quei flagelli mentre subito dopo, le trombe che intonano il motivo iniziale di Venerdì Santo (del maestro Gregucci), annunciano l’ingresso della maestà schernita dell’Ecce Homo.

La banda Ass. Musicale G. Chimienti di Montemesola, diretta dal Maestro Lorenzo De Felice, accompagna Gesù al calvario.

Le cadute del Re sotto il peso della Sua croce, sono scandite dalla bellezza della marcia Venerdì Santo di Nicola Centofanti. Le trombe, la cassa ed i piatti sanno rendere bene come quel legno schiacci la fragilità di un Uomo che non ha più forze. Ma subito dopo, quelle note si trasformano in pura dolcezza…la dolcezza delle donne che lo piangono, della Veronica che asciuga il Suo volto, di Simone di Cirene che si fa carico della pesante croce. Ed, infine, con Convento il Re arriva sul Golgota.

In piazza Carmine sta scendendo la sera e si iniziano ad accendere le candele poste vicino alle statue.

Il maestro Giuseppe Gregucci dirige la Gran Orchestra di fiati Santa Cecilia di Taranto e da l’avvio a Giovedì Santo. Il Crocifisso è in piazza e sta per uscire la Sindone.


Il ripetersi di quel motivo per più volte, in un modo apparentemente sempre uguale, sembra voler tardare l’inevitabile…poi arriva la pace ed il dolce abbraccio del motivo centrale della marcia culla quel Corpo inchiodato alla Croce, ormai senza vita, ma che è pronto a risorgere.

La luce del giorno illumina il volto rassegnato di Maria, che fissa davanti a sé il corpo martoriato del Figlio.

Quel fazzoletto non ha più lacrime da asciugare ed il cuore è quasi anestetizzato, non sente più i colpi della spada del dolore.

Il rientro a casa dei confratelli è accompagnato dalle note di Jone, una delle marce che, secondo me, più di altre si adatta alla nazzicata.

Con il veloce decrescere della scala di note ed il ritmo che è proprio di tutta la composizione, la processione dei Misteri termina il proprio cammino di fede.
Tutto è compiuto.

Questo è lo scenario che ho immaginato ascoltando quei brani nel corso del “Concerto di musiche della passione” che si è tenuto il 10 aprile alla Chiesa del Carmine.
Le quattro bande si sono esibite nell’esatto ordine in cui quest’anno accompagneranno la processione dei Misteri.
La perfetta simbiosi fra quelle musiche e la passione di Gesù si èmanifestata anche nella “staticità” delle mura di una Chiesa, anche se non c’erano confratelli in abito di rito ed anche se le statue erano ancora riposte ai loro posti.
La mente viaggia trepidante a domenica prossima ed al 17 aprile ele note di queste marce ci tengono compagnia nell’attesa, in questa Settimana di Passione.

giovedì 10 aprile 2014

Claudio Capraro: "Otto giorni" - Sabato


Claudio Capraro: "Otto giorni" 

SABATO

Paolo si era posto dietro le transenne all’angolo di via Anfiteatro con via Regina Elena, di li avrebbe avuto un’ottima visuale per vedere l’ingresso della processione. Aveva lasciato Giulia a casa ed era tornato a prendere posto. Nei minuti che avevano preceduto l’arrivo della processione aveva incontrato un vecchio compagno di scuola con il quale si era intrattenuto a scambiare due chiacchiere. Era tornata a Taranto per la Settimana Santa e sarebbe ripartito per Bologna il giorno successivo alla Pasquetta; si scambiarono i propri racconti e le proprie esperienze. Armando si era dato alla carriera di attore e girava spot pubblicitari e fiction, ma soprattutto aveva avuto un ruolo da protagonista in un kolossal americano sulla passione di nostro Signore. I due si salutarono calorosamente promettendosi di “beccarsi” almeno via mail. Con il passare dei minuti quello che era un posto comodo non lo fu più e bisognava lottare per mantenere la posizione conquistata. 

Il troccolante finalmente varcò la soglia della chiesa di San Francesco di Paola, la banda terminò l’esecuzione di “Christus” e immediatamente i musicanti si dispersero diretti al bar più vicino. Appena il troccolante mise piede sui gradini della chiesa, fu aiutato a togliere il cappello che gli fu fatto cadere sulle spalle, gli fu alzato il cappuccio e lentamente con le forze residue percorse tutta la navata muovendo il suo strumento. Trac trac trac. A breve distanza lo seguiva il Gonfalone, dopo qualche minuto anche la Croce dei Misteri entrò in chiesa. Gli addetti della Confraternita sollecitavano i confratelli ad accelerare, si era leggermente in ritardo e nessuno aveva voglia di dover ridurre la durata della breve sosta. Le altre due bande, alternandosi continuavano a suonare e poco a poco i vari simboli facevano il loro ingresso in chiesa. 

I banchi erano stati spostati lateralmente in modo da lasciar spazio per posare le statue per terra. Il troccolante a volto scoperto arrivò all’altare; si genuflesse, baciò la troccola e la posò sullo stesso altare. Poi fu preso sottobraccio dal segretario della confraternita ed accompagnato attraverso una porticina nei locali della parrocchia. Percorsero un breve corridoio ed arrivarono ad un altro, perpendicolare, più lungo. Dove un tempo sorgeva l’Arena Charitas, cinema all’aperto in un’epoca in cui questi non erano esclusiva della litoranea, ma erano presenti in gran numero in città, erano stati issati dei gazebo di plastica e sotto di questi approntati dei lunghi tavoloni con relative panche. Su questi a cura della Confraternita erano stati posti i “cestini” per i partecipanti alla processione. Al di fuori della chiesa, intanto continuava la processione mentre dentro c’era già chi poteva godere del meritato riposo, di una bevanda calda, di un po’ di cibo.

Fabrizio ed Enzo passarono dall’asfalto al gelo del marmo della chiesa; gli fu alzato il cappuccio sugli occhi e lentamente avanzarono sino all’altare, poi anche loro presero la strada che gli avrebbe portati a sedersi e rifocillarsi. Si sfilarono i cappucci e gli infilarono nei bordoni, dalla parte superiore in maniera che non perdessero la loro forma.

Fabrizio si era seduto su una delle panche laterali all’altare. Aveva mangiato e bevuto con moderazione, non aveva voluto rimpiersi lo stomaco a dismisura. Accanto a lui, Enzo sembrava si fosse addormentato. Dopo pochi minuti che aveva preso posto e che anche lui stava per seguire il suo compagno in un sonnellino ristoratore, tutti i presenti furono ridestati dal suono della troccola. Bisognava ripartire, era passata l’una e trenta e tassativamente alle sette il troccolante avrebbe dovuto bussare al portone della chiesa del Carmine. Enzo sobbalzò, ci mise un po’ a capire dove si trovasse e perché, poi prese coscienza e fece per alzarsi, ma Fabrizio lo rimise a sedere, mancava ancora un po’ per la loro uscita. Intanto le squadre si andavano ricomponendo lungo la navata tant’è che dopo poco furono chiamati a riprendere il loro posto. Era uscito Cristo all’orto e la banda posta alle spalle del troccolante aveva ripreso a suonare. 

Quelle due ore scarse avevano avuto l’effetto di far dimenticare ai confratelli la temperatura esterna e rimettere piede per strada fu un trauma vero e proprio. Usciti dalla chiesa ci sarebbero state ancora una decina di metri di transenne, dopodichè non ci sarebbe stato alcun ostacolo a tener lontana la gente che considerata la temperatura particolarmente bassa si pensava dovesse essere scarsa; invece Fabrizio fu stupito di vedere, nonostante tutto, tanta gente. Ne fu contento: non ci sarebbe stato freddo a trattenere i tarantini quelle notti. Iniziò a girare la testa a destra e a sinistra in cerca di Daniela. Nonostante il buio ed i piccoli forellini del cappuccio, riusciva a scorgere abbastanza chiaramente le facce della gente sui marciapiedi. Le transenne erano terminate e le forze dell’ordine dovevano fare avanti e dietro per convincere la gente a restare sui marciapiedi, ma non c’era verso. Volersi avvicinare il più possibile ai simboli della Passione era un atto di amore, di condivisione; un tarantino non sarebbe mai rimasto buono sul marciapiedi, avrebbe potuto farlo uno scandinavo, ma un tarantino avrebbe provato ad avvicinarsi, a toccare le statue, addirittura se fosse stato possibile a prendere il posto di uno degli sdanghieri . Mentre era intento in questi pensieri, Fabrizio scorse la sua amata Daniela. Lei guardava fisso nella sua direzione in attesa che lui la vedesse. Anche con il cappuccio calato sugli occhi, quando i loro sguardi si incrociarono entrambi sapevano che l’uno aveva visto l’altra e viceversa.

Paolo continuava ad incontrare amici, parenti e conoscenti, si fermava a scambiare un saluto e qualche frase di circostanza, ma in realtà quella notte non voleva compagnia. Voleva stare da solo, ascoltare le marce funebri e fermarsi in preghiera davanti ai simboli della processione. Simboli e statue che avrebbe avuto modo di vedere ancora per poche ore e poi avrebbe dovuto attendere un anno intero. Soprattutto sperava che l’anno successivo sarebbe stato differente; sperava in un colpo di fortuna, in un guadagno inaspettato, si riprometteva risparmi quotidiani per poter riempire u’ frone, il salvadanaio, e ritrovarsi con un gruzzolo che gli avrebbe permesso di partecipare alla processione dei Misteri.

All’improvviso si rese conto che in quei due giorni non aveva mangiato più di tanto. A ricordarglielo fu il profumo che proveniva da un forno: panzerotti, focacce e pucce. Si ripromise di resistere ancora qualche ora, in fondo poteva anche fare qualche piccolo sacrificio; chi stava partecipando alla processione ne stava compiendo di più grandi.

Daniela si avvicinò a Fabrizio, un rapido saluto e le domande di rito: come và? Hai freddo? Hai mangiato. Fabrizio volle sapere da quanto tempo lei fosse in giro e fino a che ora aveva intenzione di fermarsi. Sarebbe rimasta fino al rientro e l’avrebbe aspettato all’uscita, se ne avesse avuto modo sarebbe entrata in chiesa ma quella era una possibilità più remota. Fabrizio vide da lontano il priore che, ripercorrendo avanti e dietro tutta la processione, veniva nella loro direzione e chiese a Daniela di allontanarsi, avrebbero avuto modo più tardi di parlarsi nuovamente.

Il vento rispetto alle ore precedenti forse si era leggermente calmato, ma la temperatura era scesa ancora. L’insegna di un ottico aveva oltre l’orologio anche il termometro che segnava +5. Fabrizio ed Enzo si chiesero quanto fosse attendibile quel dato visto che l’orario era decisamente sbagliato: secondo l’insegna luminosa sarebbero state le 18,20.

Erano arrivati all’incrocio con via Nitti quando, probabilmente a causa dei liquidi ingeriti, Fabrizio sentì la necessità di assentarsi un momento. Passò qualche minuto poi gli passò accanto la quinta mazza, quella con il cartiglio “INRI”, la chiamò e si fece sostituire. Il tempo di entrare in un bar li vicino, dove nonostante la fila gli fu concessa la precedenza. Uscito si sgranchì le gambe e tornò a riprendere il suo posto. Enzo avrebbe voluto fare altrettanto ma attese ancora un po’ e poi approfittò del passaggio di un altro mazziere per lasciare anche lui il corteo.

La stanchezza, con il passare delle ore aumentava sempre più e come al solito l’unica medicina per ritrovare le forze era la preghiera. Fabrizio aveva davanti ai suoi occhi la statua che gli precedeva e nel vedere le sofferenze di Cristo che cadeva sotto il peso della Croce, si ridestava e ritrovava l’energia che ancora aveva dentro.

La processione procedeva lungo via Anfiteatro, verso ovest. Il sole sarebbe spuntato di li a poco alle loro spalle, prima timidamente, poi si sarebbe alzato oltre i palazzi del borgo e avrebbe invaso le strade dopo la notte buia.

Paolo era rimasto solo e non era affatto dispiaciuto di ciò. Percorreva, lentamente, avanti e indietro tutta la processione; ora da un lato ed ora dall’altro. Si soffermava nei pressi di una delle tre bande per ascoltare una marcia funebre e poi proseguiva per rifermarsi vicino al troccolante per recepire meglio il suono del crepitacolo, oppure sostava nei pressi di una statua; scrutava le espressioni dei portatori, si immaginava al loro posto.

Il clima sembrava migliorare, perlomeno il vento si era calmato, addirittura sembrava che l’aria fosse ferma. Il brusio della gente di qualche ora prima era diminuito sensibilmente in proporzione al numero di persone presenti in quel momento. Tra un po’ sarebbero arrivati quelli che venivano per vedere il rientro, ma quello era il momento migliore della notte: poca gente, finalmente il silenzio.

I confratelli erano stanchi, le poste sempre più spesso incrociavano i bordoni e facevano qualche esercizio per stirare i muscoli. Ai balconi dei palazzi qualcuno era affacciato, altri si intravedevano al di la dei vetri. Erano le tre e mezza ed il troccolante era arrivato all’altezza di via Pupino.

Paolo camminava e pensava, pensava e pregava. Anche lui sentiva un po’ di stanchezza, ogni tanto gli passava per la mente il desiderio di tornarsene a casa ed infilarsi sotto le coperte, ma erano pensieri fugaci, che duravano un momento. Se l’avesse fatto, dopo qualche ora si sarebbe pentito di non essere rimasto fino alla fine. Certo un caffé caldo in quel momento sarebbe stato di grande aiuto e quindi si allontanò momentaneamente dalla processione ed entrò in un bar affollatissimo a bere un espresso. 

Ad un certo punto Enzo e Fabrizio sembrarono ridestarsi: all’improvviso si accorsero che il sole era spuntato e che il cielo da nero era diventato azzurro. Sembrava che questo fosse avvenuto nel giro di pochi istanti, in realtà non era così. Chi seguiva la processione potendo muoversi liberamente e senza un cappuccio sul volto aveva, già da una mezz’oretta, visto il cielo diventare via via sempre più chiaro; era il sole che alle spalle della chiesa di San Francesco stava sempre più velocemente sorgendo. Chi invece come loro due, procedendo in senso opposto, con il volto coperto e anche a causa della stanchezza non aveva avuto modo di verificare questo avanzamento, si trovò all’improvviso a passare dalla notte al giorno.

Nell’ultima ora i due erano stati in completo silenzio, appoggiati uno alla spalla dell’altro, sostenendosi a vicenda e nazzicandosi. Dopo tante ore il movimento ormai era sincronizzato alla perfezione, se in quei momenti non fosse stato così l’uno non sarebbe riuscito a reggere l’altro. Fabrizio aveva l’impressione che per qualche attimo avesse chiuso gli occhi e si fosse addormentato. Alzò gli occhi al cielo e lo vide terso, il sole ancora non era spuntato completamente. Cercò tra la gente, che stava riempiendo nuovamente via Anfiteatro, Daniela e dopo qualche minuto la vide. Muovendo leggermente la testa le chiese di avvicinarsi: voleva sapere qualche notizia: che ora fosse, dove fossero quelli che li precedevano e come fossero sistemate le statue che venivano alle loro spalle. Questa era un po’ una fissazione dei confratelli in processione, voler tenere sotto controllo l’andamento, capire se si fossero create delle spaccature, avere il polso della situazione. Daniela rispose a tutte le domande del suo fidanzato e poi passò lei a farne delle altre. Si, Fabrizio rispose che era stanco, ma non eccessivamente e che, si aveva fame e quel profumo di caffé e brioches che arrivava da un bar nei pressi era una vera tortura.

Mancava un quarto d’ora alle sei, Fabrizio ed Enzo ormai completamente svegli e rinvigoriti erano qualche metro prima dell’angolo con via De Cesare. Vedevano Cristo all’orto che stava per svoltare su Via Massari e quindi il Troccolante doveva essere già arrivato a quell’incrocio. La banda della “Sindone” intonava “Mestizia” e tutti quanti, sapendo che quelle sarebbero state le ultime occasioni per nazzicarsi, avevano i piedi incollati all’asfalto. Impercettibilmente ora Enzo spingeva su Fabrizio verso sinistra e una volta arrivato al punto prefissato il movimento veniva invertito ed era Fabrizio a spingere sul suo compagno in direzione opposta, il tutto in maniera lentissima, cadenzato dalle note della banda.

Paolo era combattuto se continuare a seguire la processione o dirigersi in piazza Giovanni XXIII per cercare di trovare un posto dal quale avere una visuale discreta per assistere al rientro. Da un lato il fatto che via Anfiteatro si fosse riempita nuovamente di gente e che fosse aumentato il brusio lo disturbava, ma non voleva rinunciare a stare accanto ai confratelli ed ai simboli della Processione. Stare pigiato in piazza Giovanni XXIII ad aspettare l’arrivo sarebbe stata comunque una tortura. A lui non interessavano i tre colpi che il troccolante avrebbe battuto sul portone della chiesa, a lui interessava tutta la processione e lo disturbava il fatto che grandissima parte della folla assiepata già da ore in piazza, una volta che il troccolante fosse entrato sarebbe sciamata via, come se tutto il resto non fosse importante; e ancora di più lo disturbava l’applauso che sarebbe partito nel momento in cui il troccolante avrebbe bussato. A nulla servivano gli inviti che da anni venivano rivolti per far comprendere che non c’era assolutamente nulla da applaudire, ma anzi sembrava che più inviti arrivassero in tal senso e contrario fosse il comportamento della gente. Qualcuno aveva cercato di trovare anche una chiave di lettura positiva a questi applausi, ma Paolo di positivo non riusciva a vederci proprio nulla.

Intanto le piccole sfilacciature avvenute nelle ore centrali della notte, si erano ricomposte: tutta la processione procedeva ordinata con le giuste distanza tra ognuno dei simboli e delle poste dei confratelli. Sembrava che il suono delle note si facesse sempre più straziante man mano che ci si avvicinava al traguardo; sui volti dei confratelli la stanchezza era stata sostituita da una enorme tristezza.

Paolo decise di provarci anche se il suo senso della disciplina non glielo avrebbe permesso. Non aveva titolo per essere al di qua delle transenne, ma – si chiese - quanti erano quelli che pur senza titolo ci stavano lo stesso, e quindi provò ad infilarsi tra i due poliziotti che sostavano all’incrocio di via Massari. E ci riuscì. La troccola stava per fare il suo ingresso e quindi, con la coscienza “sporca” di chi trovava in un posto senza averne diritto, si allontanò dall’incrocio e andò a prendere posto in piazza nei pressi del portale della chiesa. Si sistemò per terra accanto alle transenne in modo da non impedire a nessuno la visuale. Era di lato e di li avrebbe visto l’ingresso di tutta la processione. Sedersi, sia pure sul duro asfalto, fu piacevolissimo. Il rumore di sottofondo in piazza era elevato, ma non appena fu udito il suono della troccola tutti ammutolirono, almeno per pochi istanti. 

Erano le sei in punto ed il troccolante era entrato in via Massari. Paolo ricevette la telefonata di Giulia che era arrivata in centro. Paolo descrisse la sua posizione e lei condivise che difficilmente avrebbe potuto raggiungerlo, si sarebbe sistemata al di la delle transenne dove nel frattempo aveva incontrato una sua zia e un nutrito gruppo di cugine. Era contento che lei non fosse sola e non vedeva l’ora di rivederla, ma fino a quando la statua dell’Addolorata non fosse entrata e la banda non avesse terminato l’ultima marcia funebre non si sarebbe spostato di li.

Alle sette meno dieci il troccolante era in direzione del portale della chiesa del Carmine. Lo separavano dal rientro poco più di venti metri. La banda che per tutta la durata della processione era stata alle sue spalle, fu fatta disporre lateralmente dal maestro che già da quando erano entrati in via Massari aveva scambiato due parole con il troccolante per decidere quale marcia eseguire prima che lui bussasse. Per tutta la processione tra il troccolante e la banda alle sue spalle si crea un rapporto di collaborazione; spesso le marce che la banda esegue sono espressa richiesta del troccolante stesso. All’incrocio di via Massari si vedeva la Sacra Sindone che aveva già svoltato, mentre a causa dell’altezza non si scorgeva ancora la statua di Cristo Morto. Il maestro diede il via alla marcia e gli squilli di tromba di “A Gravame” si diffusero nella piazza facendo venire la pelle d’oca a molti dei presenti. Fabrizio ed il suo compagno erano arrivati quasi alla fine di via Massari, ancora qualche metro e la strada si sarebbe allargata diventando piazza. Nessuno parlava più. I loro volti erano nascosti, ma loro riuscivano a scorgere, attraverso i fori, i volti degli sdanghieri e delle forcelle e la tristezza che traspariva dalla espressioni di questi era enorme ed indescrivibile. I responsabili della confraternita erano in un momento di difficoltà: dovevano combattere con gli orari da rispettare, dovevano fare in modo che i confratelli non si attardassero, ma procedessero celermente verso il rientro e nel fare questo dovevano combattere con i loro stessi sentimenti che gli avrebbero suggerito di fare esattamente il contrario, di prolungare il più possibile quegli ultimi attimi, perché un anno è lungo e aspettare tanto per rivivere quei momenti non sarebbe stato facile. Come saggiamente qualcuno faceva ogni anno, riferendosi ai riti della settimana Santa, nel momento esatto in cui si chiudeva definitivamente il portone della chiesa del Carmine esclamava:

“E pure quest’anno li abbiamo visti. L’anno prossimo? Chissà?”

Il volto di qualche confratello iniziò a rigarsi di lacrime e Paolo avrebbe fatto volentieri un salto per gridare ciò che pensava al tipo che alle sue spalle attribuiva al fanatismo quelle lacrime, ma restò fermo al suo posto e cercò di non ascoltare concentrandosi invece sulla marcia eseguita magistralmente. Anche i bandisti, arrivati alla fine avevano recuperato quelle forze che solo qualche ora prima credevano di aver esaurito definitivamente. Il finale di “A Gravame” era in crescendo: i fiati e poi le percussioni, il rullante. Quando la banda ebbe finito, il Priore si avvicinò al troccolante per bisbigliare qualcosa al suo orecchio. Era sicuramente l’invito a procedere: erano le sette in punto. Il troccolante tirò fuori il crepitacolo che durante la marcia aveva posto sotto la mozzetta ed iniziò ad agitarlo, ma lui non si mosse. Stava chiamando tutti a raccolta; anche l’Addolorata era arrivata su via Massari. 

Trac, trac, trac. Il sole era ormai uscito e il freddo della notte era solo un ricordo. 

Trac, trac, trac. In tutta la piazza si udiva solo questo suono. Le altre due bande avevano cessato di suonare, di li a poco avrebbero ricominciato, ma in quel momento erano tutti in silenzio assoluto. 

Trac, trac, trac. Lentissimamente compì un passo, poi un altro e poi ancora un altro. Trac, trac, trac. 

I fotografi e gli operatori delle tv iniziarono ad accalcarsi per cercare la migliore inquadratura ed il pubblico iniziò a rumoreggiare chiedendo di avere la visuale libera. Le forze dell’ordine cercavano, senza riuscirci, di mediare alle richieste degli uni e degli altri.

Trac, trac, trac. Dieci metri. I sette mazzieri, avevano ormai abbandonato il loro compito e si erano sistemati in vari punti della piazza anche loro per vedere quegli attimi. 

Trac, trac, trac. Sei metri. Il confratello che si era aggiudicato la Croce dei Misteri piangeva a dirotto, sembrava un bimbo in preda ad un pianto irrefrenabile, quando neanche la mamma riesce a capire cosa voglia il suo piccino e non riesce a farlo smettere. 

Trac, trac, trac. Cinque metri.

Il padre spirituale e il Priore erano sistemati davanti al portale; uno da un lato ed uno dall’altro. Ai loro lati si erano posti due carabinieri e due vigili urbani in alta uniforme. 

Trac, trac, trac. Quattro metri. Piano, reggendosi sul bordone, stanco ma pronto a ricominciare nuovamente se ne avesse avuto modo, agitava il polso con un vigore che poco prima credeva di aver perso del tutto. Pubblico e fotografi continuavano a litigare e a disturbare la solennità del momento. 

Trac, trac, trac. Tre metri.

Il Gonfalone si teneva a debita distanza dal troccolante, la scena era una sua esclusiva. Il confratello a Decor della prima posta davanti a Cristo all’orto, aveva il cappuccio bagnato dalle lacrime. Le forcelle e gli sdanghieri della prima delle otto statue piangevano anche loro, qualcuno tirava su col naso. 

Trac, trac, trac. Due metri. Il troccolante mise il bordone sul marciapiedi e facendo forza su questo ci salì anche lui mettendo prima il piede destro e poi il sinistro. 

Trac, trac, trac. Un metro. 

Trac, trac, trac. 

Tum. Tum. Tum. 

Tre colpi. Tre volte il bordone che colpiva il portone della chiesa dedicata alla Vergine del Carmelo. 

Tum. Tum. Tum. Il portone si aprì, il troccolante, pellegrino, chiese ospitalità e fu accolto. 

Partirono gli applausi. Il troccolante entrò in chiesa continuando a suonare il suo strumento, la banda intonò “In morte di Vittorio Emanuele” e oltre la metà della gente che affollava la piazza si disperse. Lo spettacolo, per loro, era finito.

Paolo potè rimettersi in piedi, ormai non ostruiva la visuale di nessuno. Riuscì a scorgere sua moglie tra la folla e dopo qualche istante anche lei lo vide e si accorse anche a tanti metri di distanza che lui aveva gli occhi rossi e lucidi. Capì che non era il vento la causa di tutto ciò. Avrebbe voluto essergli fisicamente vicina, come tutte le donne che sono vicine ai loro uomini: mariti, figli, fratelli fidanzati durante quei riti. Si guardarono e si lessero reciprocamente nel pensiero e con un sorriso lo confermarono.

Il troccolante arrivato all’altare, baciò la troccola e la poggiò prendendo posto su di una sedia nei pressi. Li seduto avrebbe assistito al rientro di tutta la processione. Gonfalone, Croce dei Misteri e le poste che precedevano Cristo all’orto erano già entrate, ora toccava alla prima statua. All’interno della chiesa del Carmine c’era una luce strana, soffusa, crepuscolare. I suoni erano ovattati, sembrava che ci fosse un filtro invisibile che non permetteva ai rumori ed alla luce che c’erano li fuori nella piazza di entrare in chiesa. Chi portava i simboli, una volta che li riconsegnava al personale della confraternita, si abbracciava e si baciava, scambiandosi un ultimo “Prosit”.

Tutti quanti i partecipanti prendevano posto all’interno della chiesa per aspettare il rientro dell’ultima statua e la preghiera conclusiva con la benedizione finale del padre spirituale. Fabrizio ed Enzo erano ormai alla fine della processione. Si scambiavano giusto qualche monosillabo, non avevano voglia di parlare. Fabrizio pregava, rivolgeva al Signore le ultime preghiere. Era stanco, ma avrebbe ricominciato di nuovo, avrebbe avuto la forza per altre dieci, dodici, quindici ore di processione ed era certo che la stessa cosa valeva per tutti quanti gli altri.

Quando arrivò il loro turno di entrare, a malincuore compirono quei passi, misero piede sulla soglia della chiesa e furono aiutati a sollevare i cappucci sul volto. Lentamente percorsero la navata, ancora spalla a spalla quasi non volessero staccarsi più, poi gli si avvicinò l’economo che prese i due bordoni e solo in quel momento si staccarono quasi ridestandosi da una trance nella quale erano piombati. Si abbracciarono e andarono anche loro due a prendere posto. 

Fabrizio era soddisfatto. Tutti i suoi dubbi, le sue remore erano acqua passata. Era stanco ma si sentiva pieno, pulito. Ancora qualche minuto e sarebbe tornato a vestire gli abiti civili e la mozzetta e tutto il resto sarebbero tornati nell’armadio. Il pensiero andò a sua madre che sapeva essere li fuori da qualche parte e immediatamente dopo a Daniela e quando poi sarebbe uscito dal portoncino di via Giovinazzi le avrebbe trovate insieme, sottobraccio. Daniela sosteneva Maria. Le avrebbe abbracciate contemporaneamente.

La statua dell’Addolorata, che oramai aveva ritrovato il suo figliolo, era pronta per entrare. Erano passate le otto e mezza, le note di “Jone” riempivano l’aria e Paolo che era li fermo con le mani giunte, rivide in un minuto tutta la sua settimana. Rivide gli ultimi otto giorni: quando il sabato precedente più o meno alla stessa ora stava ascoltando da una cassetta le note della stessa marcia funebre, mentre lavava le tazze della colazione e con la mente fantasticava su quello che sarebbe stata l’asta del giorno successivo; la domenica della Palme, i vari impegni dei primi giorni della settimana Santa, il pellegrinaggio. Rivide un film; otto giorni, una settimana esatta. Le sue sensazioni cambiavano repentinamente: a ricordare alcuni avvenimenti sembrava fossero accaduti il giorno prima e a ricordarne altri sembrava fossero passati anni ed invece erano passati soltanto otto giorni. 

Fu colto da un brivido lungo la spina dorsale, poi sentì una mano sulla spalla. Si voltò di scatto, era Giulia. Si baciarono, poi lei gli sussurrò all’orecchio:

“Ieri sera sono andata in farmacia a comprare un test, e stamattina l’ho fatto. Auguri papà!”.
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